La vita è sogno, soltanto sogno, il sogno di un sogno (Edgar Allan Poe)

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Il vecchio professore

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Gli ho chiesto di quei tempi, 
quando ancora eravamo così giovani, 
ingenui, impetuosi, sciocchi, sprovveduti. 
È rimasto qualcosa, tranne la giovinezza
-mi ha risposto. 
Gli ho chiesto se sa ancora di sicuro 
cosa è bene e male per il genere umano. 
È la più mortifera di tutte le illusioni 
-mi ha risposto. 
Gli ho chiesto del futuro, 
se ancora lo vede luminoso. 
Ho letto troppi libri di storia 
-mi ha risposto. 
Gli ho chiesto della foto, 
quella in cornice sulla scrivania. 
Erano, sono stati. Fratello, cugino,  cognata, 
moglie, figlioletta sulle sue ginocchia, 
gatto in braccio alla figlioletta, 
e il ciliegio in fiore, e sopra quel ciliegio 
un uccello non identificato in volo 
-mi ha risposto. 
Gli ho chiesto se gli capita di essere felice. 
Lavoro 
-mi ha risposto. 
Gli ho chiesto degli amici, se ne ha ancora. 
Alcuni miei ex assistenti, 
la signora Ludmilla, che governa la casa, 
qualcuno molto intimo, ma all’estero, 
due signore della biblioteca, entrambe sorridenti, 
il piccolo Jas che abita di fronte e Marco Aurelio 
-mi ha risposto. 
Gli ho chiesto della salute e del suo morale. 
Mi vietano caffè, vodka e sigarette, 
di portare oggetti e ricordi pesanti. 
Devo far finta di non aver sentito 
-mi ha risposto. 
Gli ho chiesto del giardino e della sua panchina. 

Quando la sera è tersa, osservo il cielo. 
Non finisco mai di stupirmi, 
tanti punti di vista ci sono lassù 
-mi ha risposto. 

Wislawa Szymborska

Dipinto di Nils Kreuger

 

 

 


Sono saltati giù

Screenshot_20210911_145623_com.mewe_edit_8075938244079Sono saltati giù dai piani in fiamme
uno, due, ancora qualcuno
sopra, sotto.
La fotografia li ha fissati vivi,
e ora li conserva
sopra la terra verso la terra.
Ognuno è ancora un tutto
con il proprio viso
e il sangue ben nascosto.
C’è abbastanza tempo
perchè si scompiglino i capelli
e dalle tasche cadano
gli spiccioli, le chiavi.
Restano ancora nella sfera dell’aria,
nell’ambito di luoghi
che si sono appena aperti.
Solo due cose posso fare per loro
descrivere quel volo
senza aggiungere l’ultima frase.
Wislawa Szymborska


11 settembre 2001

Sono saltati giù dai piani in fiamme

uno, due, ancora qualcuno

sopra, sotto.

La fotografia li ha fissati vivi,

e ora li conserva

sopra la terra verso la terra.

Ognuno è ancora un tutto

con il proprio viso

e il sangue ben nascosto.

C’è abbastanza tempo

perchè si scompiglino i capelli

e dalle tasche cadano

gli spiccioli, le chiavi.

Restano ancora nella sfera dell’aria,

nell’ambito di luoghi

che si sono appena aperti.

Solo due cose posso fare per loro

descrivere quel volo

senza aggiungere l’ultima frase.

Wislawa Szymborska


Labirinto

E ora qualche passo
da parete a parete,
su per questi gradini
o giù per quelli,
e poi un po’ a sinistra,
se non a destra,
dal muro in fondo al muro
fino alla settima soglia,
da ovunque, verso ovunque
fino al crocevia,
dove convergono,
per poi disperdersi
le tue speranze, errori, dolori,
sforzi, propositi e nuove speranze.
Una via dopo l’altra,
ma senza ritorno.
Accessibile soltanto
ciò che sta davanti a te,
e laggiù, a mo’ di conforto,
curva dopo curva,
e stupore su stupore,
e veduta su veduta.
Puoi decidere
dove essere o non essere,
saltare, svoltare
pur di non farsi sfuggire.
Quindi di qui o di qua,
magari per di lì,
per istinto, intuizione,
per ragione, di sbieco,
alla cieca,
per scorciatoie intricate.
Attraversi infilate di file
di corridoi, di portoni,
in fretta, perché nel tempo
hai poco tempo,
da luogo a luogo
fino a moli ancora aperti,
dove c’è buio e incertezza
ma insieme chiarore, incanto
dove c’è gioia, benché il dolore
sia pressoché lì accanto
e altrove, qua e là,
in un altro luogo e ovunque
felicità nell’infelicità
come parentesi dentro parentesi,
e così sia
e d’improvviso un dirupo,
un dirupo, ma un ponticello,
un ponticello, ma traballante,
traballante, ma solo quello,
perché un altro non c’è.
Deve pur esserci un’uscita,
è più che certo.
Ma non tu la cerchi,
è lei che ti cerca,
è lei fin dall’inizio
che ti insegue,
e il labirinto
altro non è
se non la tua, finché è possibile,
la tua, finché è tua,
fuga, fuga.

Wisława Szymborska – Labirinto

Dipinto di Mautits Cornelis Escher


Basta così

C’è chi meglio degli altri realizza la sua vita.
È tutto in ordine dentro e attorno a lui.
Per ogni cosa ha metodi e risposte.
È lesto a indovinare il chi il come il dove…
e a quale scopo.
Appone il timbro a verità assolute,
getta i fatti superflui nel trita documenti,
e le persone ignote
dentro appositi schedari.
Pensa quel tanto che serve,
non un attimo in più,
perché dietro quell’attimo sta in agguato il
dubbio.
E quando è licenziato dalla vita,
lascia la postazione
dalla porta prescritta.
A volte un po’ lo invidio
– per fortuna mi passa.

Wislawa Szymborska


Tutto

Tutto

una parola sfrontata e gonfia di boria.
Andrebbe scritta fra virgolette.
Finge di non tralasciare nulla,
di concentrare, includere, contenere e avere.
E invece è soltanto
un brandello di bufera.

 Wislawa Szymborska

 


Stupore

Perché mai a tal punto singolare?
Questa e non quella? E qui che ci sto a fare?
Di martedì? In una casa e non nel nido?
Pelle e non squame? Non foglia, ma viso?
Perché di persona una volta soltanto?
E sulla terra? Con una stella accanto?
Dopo tante ere di non presenza?
Per tutti i tempi e per tutti gli ioni?
Per i vibrioni e per le costellazioni?
E proprio adesso? Fino all’essenza?
Sola da me con me? perché mi chiedo,
non a lato né a miglia di distanza,
non ieri, né cent’anni addietro, siedo
e guardo un angolo buio della stanza
– come, rizzato il capo, sta a guardare
la cosa ringhiante che chiamano cane?

Wislawa Szymborska


Calcolo elegiaco

Quanti di quelli che ho conosciuto
(se davvero li ho conosciuti),
uomini, donne
(se la divisione resta valida),
hanno varcato questa soglia
(se è una soglia),
hanno attraversato questo ponte
(se può chiamarsi ponte) –
Quanti dopo una vita più o meno lunga
(se per loro fa ancora differenza),
buona, perchè è cominciata,
cattiva, perchè è finita
(se non preferiscono dire il contrario),
si sono trovati sull’altra sponda
(se si sono trovati e se l’altra sponda esiste) –
Non mi è data certezza
della loro sorte ulteriore
(sempre che sia una sorte comune
e ancora una sorte) –
Hanno tutto
(se la parola non è riduttiva)
dietro di sè
(se non davanti a sè) –
Quanti di loro sono saltati dal tempo in corso
e svaniscono sempre più mesti in lontananza
( se ci si fida della prospettiva) –
Quanti
(se la domanda ha senso,
se si può arrivare alla somma finale
prima che chi conta aggiunga se stesso)
sono caduti nel più profondo dei sonni
(se non ce n’è di più profondi) –
Arrivederci.
A domani.
Al prossimo incontro.
Questo non vogliono più
(se non vogliono) ripeterlo.
Rimessi a un infinito
(se non diverso) silenzio.
Intenti solo a quello
(se solo a quello)
a cui li costringe l’assenza.

Wislawa Szymborska

 


La visita

Abbiam tirato a sorte coi fiammiferi, chi ci doveva andare.
E’ toccato a me. Mi alzai dal tavolino,
Si avvicinava l’ora di visita in ospedale.


Non ha risposto nulla al mio saluto.
L’ho preso per la mano – l’ha ritratta
Come un cane affamato, che non vuole mollare l’osso.


Sembrava, che quasi si vergognasse di morire.
Non so, cosa si dice a uno come lui.
Ci alternavamo sguardi come un fotomontaggio.


Non mi ha chiesto di restare, né di andarmene.
Non ha chiesto di nessuno del nostro tavolino.
Né di te, Beppe, né di te, Titti, né di te, Lello.


Mi è venuto mal di testa. Chi a chi muore?
Lodavo la medicina e tre violette nel bicchiere.
Raccontavo del sole e mi spegnevo.


Che bello, che ci sono le scale, per correre giù.
Che bello, che c’è il portone, che si apre.
Che bello, che mi aspettate qui al tavolino.


L’odore dell’ospedale mi fa proprio svenire.

 

Wislawa  Szymborska, 1967
da “Sto pociech” (Cento consolazioni)

(traduzione di Alessandra Czeczott)


La cipolla

Ben altro è la cipolla.
Non ha interiorità.
E’ di per sé cipolla anche in sezione
E fino al grado massimo della cipollità
Cipollinea di fuori,
cipollosa di dentro,
potrebbe in sé scrutare senza turbamento.
Dentro di noi selvatico ed estraneo
coperto a malapena dal velo della pelle,
si contiene un inferno
di anatomia in tormento,
nella cipolla invece c’è cipolla soltanto,
non viscere contorte.
Essa è più volte nuda
E uguale a sé fin nel profondo.
Non è contraddittoria la cipolla,
creatura riuscita la cipolla.
E’ semplice, alla prima sta dentro la seconda,
nella grande la piccola,
e poi la successiva,
cioè la terza e quarta.
Centripeta fuga.
Eco composta in coro.
La cipolla, ora capisco:
il più leggiadro ventre del mondo.
Da solo si adorna
Di aureole a sua gloria.
In noi – grassi, nervi, vene,
muchi e secrezioni.
E ci viene interdetta
L’idiota perfezione.

 

Wislawa Szymborska
Grandi Numeri


La lattaia

     “Finché quella donna del Rijksmuseum

      nel silenzio dipinto e in raccoglimento

      giorno dopo giorno versa

      il latte dalla brocca nella scodella,

      il Mondo non merita

      la fine del mondo”.

   (Wislawa Szymborska)


Ritratto di donna

Deve essere a scelta.
Cambiare, purché niente cambi.
È facile, impossibile, difficile, ne vale la pena.
Ha gli occhi, se occorre, ora azzurri, ora grigi,
neri, allegri, senza motivo pieni di lacrime.
Dorme con lui come la prima venuta, l’unica al mondo.

Gli darà quattro figli, nessuno, uno.
Ingenua, ma ottima consigliera.
Debole, ma sosterrà.
Non ha la testa sulle spalle, però l’avrà.
Legge Jaspers e le riviste femminili.
Non sa a che serva questa vite, e costruirà un ponte.
Giovane, come al solito giovane, sempre ancora giovane.

Tiene nelle mani un passero con l’ala spezzata,
soldi suoi per un viaggio lungo e lontano,
una mezzaluna, un impacco e un bicchierino di vodka.

Dove è che corre, non sarà stanca?
Ma no, solo un poco, molto, non importa.
O lo ama o si è intestardita.
Nel bene, nel male, e per l’amor del cielo!  

Wislawa Szymborska


La vita

La vita – è il solo modo
per coprirsi di foglie,
prendere fiato sulla sabbia,
sollevarsi sulle ali;
essere un cane,
o carezzarlo sul suo pelo caldo;
distinguere il dolore
da tutto ciò che dolore non è;
stare dentro gli eventi,
dileguarsi nelle vedute,
cercare il più piccolo errore.
Un’occasione eccezionale
per ricordare per un attimo
di che si è parlato
a luce spenta;
e almeno per una volta
inciampare in una pietra,
bagnarsi in qualche pioggia,
perdere le chiavi tra l’erba;
e seguire con gli occhi una scintilla di vento;
e persistere nel non sapere
qualcosa d’importante.

Wislawa Szimborska

 


La fine e l’inizio

macerie-guerra-siria

Dopo ogni guerra
c’è chi deve ripulire.
In fondo un po’ d’ordine
da solo non si fa.


C’è chi deve spingere le macerie
ai bordi delle strade
per far passare
i carri pieni di cadaveri.


C’è chi deve sprofondare
nella melma e nella cenere,
tra le molle dei divani letto,
le schegge di vetro
e gli stracci insanguinati.


C’è chi deve trascinare una trave
per puntellare il muro,
c’è chi deve mettere i vetri alla finestra
e montare la porta sui cardini.


Non è fotogenico
e ci vogliono anni.
Tutte le telecamere sono già partite
per un’altra guerra.


Bisogna ricostruire i ponti

e anche le stazioni.
Le maniche saranno a brandelli
a forza di rimboccarle.
C’è chi con la scopa in mano
ricorda ancora com’era.


C’è chi ascolta
annuendo con la testa non mozzata.
Ma presto
gli gireranno intorno altri
che ne saranno annoiati.


C’è chi talvolta
dissotterrerà da sotto un cespuglio
argomenti corrosi dalla ruggine
e li trasporterà sul mucchio dei rifiuti.


Chi sapeva
di che si trattava,
deve far posto a quelli
che ne sanno poco.
E meno di poco.


E infine assolutamente nulla.
Sull’erba che ha ricoperto
le cause e gli effetti,
c’è chi deve starsene disteso
con la spiga tra i denti,
perso a fissare le nuvole.

Wisława Szymborska