Genitori e figli
Essere genitori è difficile.
Non ci si nasce, ma si diventa ASSIEME ai nostri figli, commettendo a volte anche degli errori.
Non me la sento di tirare la croce addosso a quella povera mamma di Lavagna, che deve già confrontarsi con il rimorso di essere stata la causa della morte del figlio per aver chiamato lei stessa la Guardia di Finanza.
L’accusano in quanto è una “madre adottiva”, come se l’aver allevato un figlio per sedici anni non conti nulla.
L’accusano perché, secondo loro, l’uso di marjuana non doveva considerarsi droga.
L’accusano di aver cercato un riscontro mediatico per aver parlato in chiesa della morte del ragazzo davanti alle telecamere, mentre era solo un monito per altri coetanei del figlio a non cedere alle tentazioni della droga e ad avere maggior comunicatività con i propri genitori.
Una madre non si rivolge alle forze dell’ordine per danneggiare scientemente il figlio, ma per salvarlo dalla rovina: pensava certamente che con l’intervento delle forze dell’Ordine, si sarebbe spaventato e non avrebbe più fatto uso di marjuana.
Anche il padre si è autoaccusato di non aver saputo comprendere il ragazzo, interiormente fragile per essere arrivato ad un gesto così estremo.
Noi genitori sbagliamo, sia per troppo permissivismo che per troppa severità. Qualche volta, magari solo per fortuna, ci va bene, ed escono dei bravi ragazzi; altre volte, anche per fattori esterni alla famiglia, invece va male, e non esiste il manuale per diventare genitori perfetti.
Alzi la mano chi non ha mai commesso errori nell’allevare i figli, ma sia sincero nell’ammetterlo.
I genitori perfetti non esistono (e neppure i figli perfetti se è per questo).
Eutanasia
Discussione con un’amica su Facebook.
Premetto: sono favorevole all’eutanasia, a patto che sia una libera scelta dell’individuo.
L’amica, di professione medico, invece è contraria, forse indotta dal giuramento d’Ippocrate, e mi spiega che l’importante è sedare il dolore e che nel solo ospedale di Aviano si eroga la medesima quantità di morfina che viene usata in TUTTI gli ospedali del resto d’Italia .
Certamente, ribatto io, eliminare il dolore è un’ottima soluzione, ma se ad un certo punto le dosi di morfina mi dovessero ridurre come una larva , incapace di intendere e volere, distesa su un letto, estraniata dal mondo circostante, al puro stato vegetativo… la chiamiamo vita questa?
Sotto l’effetto della morfina, mi si obietta, se non sei cosciente che t’importa se sei vivo o morto? M’importa certamente, perché così evito lunghe trafile per cure, pratiche sanitarie ed igieniche che possono essere invece destinate a chi invece ne abbisogna maggiormente.
Mi si risponde, (lei ed un altro contatto) che esiste sempre il suicidio, anzi l’altra mi invita caldamente e con molta gentilezza, a gettarmi da un cavalcavia. Al di là del conoscere o meno l’etimologia della parola “eutanasia”
quest’ultima persona forse non ha presente l’espressione “dignità della morte “. Perché impedire a chi vuole (e sceglie questa via in modo consapevole ) di evitare una morte così violenta quando può farlo nel suo letto (ospedale, clinica o casa non ha importanza )?
Io non voglio impedire a te di soffrire o di ridurti ad una larva, se questo è il tuo pensiero, ma tu non devi permetterti di impedire a me di pensare diversamente, tanto più che non danneggerei nessuno con questo mio atto e addirittura nemmeno il giuramento di Ippocrate verrebbe intaccato,
(GIURO
…di perseguire la difesa della vita, la tutela della salute fisica e psichica dell’uomo e il sollievo della sofferenza, cui ispirerò con responsabilità e costante impegno scientifico, culturale e sociale, ogni mio atto professionale;
…
di non compiere mai atti idonei a provocare deliberatamente la morte di una persona)
in quanto viene preparato un beverone che il malato deve bere personalmente, libero quindi di tirarsi indietro anche all’ultimo istante. Quindi resterebbe sempre salvo il giuramento d’Ippocrate, senza tramutarsi nel giuramento d’Ipocrita, come invece accade talvolta in certi ospedali dove, si mormora, l’eutanasia viene comunque praticata, ma senza renderlo noto.
E mi vengono in mente scene terrificanti.
Io ad esempio non avrei il coraggio di Rossana Benzi, che trascorse la maggior parte della sua vita – 29 anni – imprigionata in un polmone d’acciaio, vedendo le persone solo attraverso il riflesso in uno specchio…
Io non sarei capace di trascorrere il resto della mia vita come l’indimenticabile Ambrogio Fogar, tetraplegico, accudito in tutto e per tutto, anche nelle necessità più intime, da persone a volte estranee.
Davanti a me si prospetterebbero giornate sempre uguali, monotone, piatte… non resisterei, non sarebbe vivere, per mio conto, anzi mantenermi in vita sarebbe solo un atto di estrema crudeltà.
Questo nel caso di malattie altamente invalidanti, ma per malattie terminali? Cercherei di resistere finché posso, poi domanderei senza dubbio di morire… Chi si credono di essere coloro che vorrebbero negarmi una simile scelta?
Cosa ne pensate?