Schiavi
Il termine schiavo deriva da slavus, ossia prigioniero di etnia slava
I romani avevano schiavi, per lo più prigionieri di guerra o debitori insolventi.
Gli egiziani ridussero in schiavitù gli ebrei.
I cristiani riducevano in schiavitù i saraceni. I musulmani facevano altrettanto con cristiani ed ebrei.
Questi ultimi poi gestivano un fiorente traffico di eunuchi provenienti dalla Polonia e destinati agli harem turchi ed arabi.
E come definire la “manodopera” sfruttata dai nazisti nei campi di concentramento,se non schiavismo puro e semplice?
C’erano poi altre categorie non realmente schiave, ma che rasentavano questa condizione di sfruttamento del lavoro.
Le ferrovie americane furono costruite in gran parte da cinesi sottopagati rispetto ai loro colleghi di colore bianco: lavoravano tantissimo, tanto da lasciarci spesso letteralmente la pelle, in cambio di un minimo di vitto.
I servi della gleba erano pure una sorta di schiavi, legati alla loro condizione fino alla morte: non erano propriamente “cose”, come i veri schiavi, ma la loro condizione non era poi molto diversa.
Al giorno d’oggi, schiave sono le ragazzine dell’Est Europa buttate sui marciapiedi a prostituirsi, o le donne rapite dai movimenti estremisti islamici, che diventano forzatamente schiave sessuali.
Ma per le anime belle gli schiavi hanno un solo colore: nel loro immaginario esiste solo lo schiavo nero incatenato e portato nelle piantagioni di cotone degli Stati Uniti meridionali, tipico di chi ha letto solo “La capanna dello zio Tom”: in realtà un “buon” padrone, teneva alla salute degli schiavi in quanto rappresentavano per lui un capitale investito da far fruttare. Altri tempi, vero, ma allora era così. C’è solo ipocrisia nel denunciare solo questo tipo di “razzismo”.
Quindi, per coerenza, se HBO censura “Via col Vento”, dovrebbe censurare innumerevoli altri film, iniziando da “Spartacus”, e mettere un “cappello”, come si dice in gergo cinematografico, in caso di riproposizione del film a spiegazione del razzismo, significa solo sottovalutare l’intelligenza delle persone che assistono alla proiezione, giudicandole incapaci di comprendere il periodo storico in cui si svolge questa vicenda.
NB.
Lo stereotipo di schiavista solitamente è descritto con tali caratteristiche:
Etnia:bianco/caucasica
Religione: Cristiana/Cattolica
Orientamento politico: di destra/estrema destra.
Secondo il Global Slavery Index queste sono le nazioni che maggiormente praticano la schiavitù oggi.
Le cifre rappresentano il numero di schiavi per MILLE abitanti.
Eritrea-Dittatura Comunista-Presidente Isaias Afewerki (di colore): 93
Repubblica Centrafricana: Presidente Faustin-Archange Touadéra(di colore): 22,3
Afghanistan-Repubblica Islamica- 22,2
Mauritania-Repubblica Islamica: 21,4
Sud Sudan-Repubblica di ispirazione Marxista-Presidente Salva Kiir Mayardit (di colore): 20,5
Pakistan- Repubblica Islamica: 16,8
Cambogia-Monarchia Parlamentare- Primo Ministro Hun Sen del Partito Comunista Cambogiano: 16,8
Iran- Repubblica islamica presidenziale teocratica presidente Hassan Rouhani: 16,2
Come vedete nel 2020 di schiavisti bianchi/caucasici, Cristiani e di destra , manco l’ombra!
365000
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Felicità
Certe statistiche mi lasciano perplessa.
Italia al 47^ posto nel mondo per quel che concerne la felicità.
La felicità si può misurare? Come? Da cosa?
Le statistiche si sono limitate a considerare dei parametri relativi alla salute, all’istruzione, al reddito, allo stato sociale, alla libertà, alla corruzione e, da quest’anno, viene valutata anche la felicità degli immigrati (?).
Per mio conto, la felicità è qualcosa di impalpabile ed è un valore estremamente soggettivo. Ciò che può fare felice una persona, non è detto che possa farne felice un’altra.
C’è chi ambisce al successo, chi ad una tranquilla vita familiare, chi gode di una giornata di sole e chi la paventa perché indice di siccità, chi si bea di buone letture e chi invece di compagnie chiassose. Personalmente non mi interessa vivere in un paese dall’aspettativa di vita piuttosto lunga se questa non è accompagnata anche dalla salute; avere un buon reddito è certo importante, purché non vada a scapito del tempo da dedicare a se stessi ed alle persone care; ci sono poi paesi dove la corruzione è considerata “normale”, quindi non costituisce di per sé un ostacolo alla felicità.
L’importante è sentirsi bene, a posto con se stessi, e credo che questo basti a considerarsi felici. Per mio conto ho fatto mio l’aforisma di Oscar Wilde: “la felicità non è avere tutto ciò che si desidera, ma desiderare ciò che si ha” e non è, come potrebbe sembrare, un “chi si accontenta gode” ma significa saper apprezzare quello che già abbiamo, senza avere ambizioni al di sopra delle nostre capacità ed aspettative, cosa che potrebbe procurarci ansia e stress.
Oppure, ed è sempre valida, la frase di Totò in un’intervista rilasciata ad Oriana Fallaci: “Vi sono momenti minuscoli di felicità, e sono quelli durante i quali si dimenticano le cose brutte. La felicità, signorina mia, è fatta di attimi di dimenticanza”.
Ecco, riuscire a dimenticare le cose brutte è già sintomo di felicità anche se la ritengo maggiormente patrimonio dei più giovani: per noi adulti parlerei piuttosto di soddisfazione. La felicità la vedo negli occhi dei bambini, anche quelli che vivono in zone misere e disagiate ma che, nonostante tutto, riescono ancora a sorridere per quelle che noi riteniamo piccole cose e per loro sono invece un regalo immenso, come un piatto di cibo in più, un quaderno o un paio di scarpe, e pronti a trasformare in gioco anche le cose più semplici, come una scatola di cartone o una ruota di bicicletta.
La felicità è qualcosa di inaspettato, quell’attimo che arriva all’improvviso e ti illumina giusto per quell’istante, per poi nascondersi nuovamente, pur restando viva nella nostra memoria.
Statistica della felicità
Qualche giorno fa l’ISTAT ha scritto che l’indice di soddisfazione degli italiani è risalito dallo scorso anno, e che quindi siamo tutti più felici.
Certo è che le statistiche bisogna saperle interpretare: se il 41% delle persone oltre i 14 anni è più soddisfatto delle proprie condizioni di vita, significa per contro che un 59% non lo è per nulla.
Di questa totalità di persone, solo il 34,4% degli ultrasettantacinquenni è molto soddisfatto delle proprie condizioni come il 54,1 dei giocavi tra i 14 ed i 19 anni. Del restante 65,6% degli anziani e del 45,9 dei giovani rimanenti che ne facciamo? L’indice di soddisfazione quindi è parecchio “annacquato” da un buon numero di insoddisfatti!Aumenta pure la soddisfazione economica sempre tra la pololazione dai 14 anni in poi, dal 47,5 dello scorso anno al 50,5, Certo, poco è meglio di niente, però non mi sembrano cifre strabilianti da poter vantare pubblicamente: una metà circa della popolazione non è per nulla soddisfatta.
L’unico dato positivo sembrerebbe essere quello relativo alla sfera personale: il 90,1 è soddisfatto delle relazioni familiari, l’82,8 delle relazioni amicali e l’81,2 del proprio stato di salute, ma sembrano piuttosto dati espressi tanto per dire. E la fiducia negli altri? Solo il 19% delle persone dichiara di averne, e di questi tempi è ben comprensibile.
Gli altri indicatori? Mah, non so quale valenza abbiano: se il 31,6 persone dichiarano di avere un problema per la sporcizia nelle strade, credo che il restante 68,4 se ne sbatta altamente e non lo consideri un fatto rilevante, e così per altri indici statistici.
In breve: se si sbandiera ai quattro venti che la felicità della nazione è aumentata, e se si fa parte di quel fortunato 50% circa che asserisce di essere contento più per esasperazione che altro, tutto va bene e qualcuno magari ci crede pure…
Per chi volesse consultare l’archivio, ecco qui i link
http://www.istat.it/it/archivio/192991
Fai clic per accedere a Report-soddisfazione-cittadini.pdf
Cosa ne pensate?