La vita è sogno, soltanto sogno, il sogno di un sogno (Edgar Allan Poe)

Articoli con tag “new orleans

Una canzone per Bobby Long

Ci sono quelle cose che si acquistano e poi si dimenticano: in un armadio, in fondo ad un cassetto, sul ripiano di uno scaffale… Mi succede a volte con libri, che non riesco ad iniziare e si accumulano sul comodino ed è accaduto anche con un DVD acquistato non so quanto tempo fa…. Vedere “Una canzone per Bobby Long” è stato quindi una bella sorpresa…

Un film di Shainee Gabel che rivela uno strepitoso John Travolta che si cimenta perfino nel blues, e molto bene per giunta ed una bravissima Scarlett Johansson.

La storia è alquanto strana: un’adolescente, Purslane, avuta notizia della morte della madre Lorraine con la quale era sempre in contrasto, si reca al suo funerale a New Orleans però a causa di un contrattempo, (il convivente la avvisa in ritardo), non giunge per tempo alle esequie.

Là entra in contatto con Bobby Long ed il suo amico Lawson Pine, due disadattati, alcolizzati incalliti, paghi di quel poco che possiedono e che vivono nel ricordo di Lorraine in una squallida abitazione di proprietà della defunta che l’ha lasciata in eredità alla figlia, ma con la condizione che i due possano abitarci per un anno. La loro esistenza trascorre in modo monotono, trasandato, priva di emozioni. di aspettative, di sogni per un futuro migliore, ultimi tra gli ultimi, anzi tra gli invisibili, come spesso amava citare Bobby, tra una sbronza e l’altra e qualche seduta di pesca al fiume.

Solo più tardi, notando la marea di libri che ci sono in casa, la ragazza viene a conoscenza del fatto che Bobby era un insegnante universitario e Lawson il suo assistente ed ora scrittore fallito che desidera sempre scrivere un libro sulla vita del suo amico, ma ogni volta, insoddisfatto del risultato, distrugge le pagine scritte. Per tutto il film, tantissime le citazioni letterarie e poetiche, di Robert Frost, di Dylan Thomas, di Thomas Stearns Eliot ed altri….

Desiderosa di rendersi indipendente, Purslane cerca lavoro come cameriera, ma i due uomini invece cercano di elevarla intellettualmente costringendola a frequentare la scuola.

La storia si dipana tra i contrasti esistenti tra il duo di amici e la ragazza che convive forzatamente con loro e sull’aleggiare del ricordo di Lorraine, cantante di blues,che permea tutto il film, amata da tante persone, ed il ricordo amaro che invece ne ha la figlia.

Piano piano, la convivenza porta a galla le vite dei tre personaggi che imparano così a conoscersi meglio, rivangando episodi ormai sopiti nella memoria, specie relativi all’infanzia della ragazza che aveva preferito dimenticarli.

Ognuno dei tre personaggi alla fine trova un’occasione di riscatto dall’abisso in cui era caduto. Purslane raggiunge il diploma e riesce ad accedere all’Università. Bobby Long, pur ammalato di tumore, accertato che la ragazzina è sua figlia – particolare che non appare nel libro dal quale è tratto il film – rinuncia a bere mentre Lawson finalmente riesce a terminare la biografia dell’amico.

Per sfondo una insolita New Orleans, assolata e calda, niente “Mardi gras”, niente quartiere francese, ma c’è comunque il Mississippi dove si recano a pescare i due uomini e ci sono le baraccopoli negre, in più dei bellissimi blues, un paio interpretati dall’autore, un grande Grayson Capps, un altro paio da John Travolta, come cantante una vera e piacevole sorpresa….

Ed alla fine Purslane e Lawson porteranno il libro, finalmente edito, sulla tomba di Bobby mentre in sottofondo si ode una citazione di Robert Frost, quella che appare come suo epitaffio …

“Ho avuto una lite d’amore con il mondo”


Milano, 1 marzo

Siamo stati a vedere i dipinti della collezione Netter, della quale riferitò in seguito.

All’uscita, una vera sorpresa, una serie di dipinti di Bob Dylan. Lo conoscevo come cantante, autore, poeta, ma pittore proprio non lo supponevo. Ventitré quadri di grandi dimensioni, di forte impatto visivo, un paio con soggetti fortemente erotici, altri raffiguranti personaggi comuni di una New Orleans anni ’40-50, quali un regista cinematografico, un pastore negro, alcuni coristi in una chiesa, una seduta dal barbiere, un ballo in maschera.

Lo stile è molto personale, quasi fumettistico, tinte scure che ricordano la terra, neri, grigi, marroni, evidenziati da qualche riga bianca o beige. Solo gli ultimi quadri, raffiguranti una villa (sembra), sono a colori.

Qualcuno ha criticato l’artista perché i soggetti non sono “originali” , ma tratti da fotografie dell’epoca, resta però il fatto che lo stile ha una sua personalità, un tratto “forte”, ben delineato.

Una passione che l’artista ha sviluppato anni fa, nel 1966, mentre era immobilizzato a causa di una caduta dalla motocicletta. Molte delle sue opere sono esposte alla Galleria Gagosian di New York, anche se molti critici hanno snobbato le sue esposizioni, proprio per il fatto che sono copie di fotografie, però l’artista non se ne è rammaricato più di tanto, in quanto tiene maggiormente al giudizio della gente comune, e proprio per questo motivo desidera che le sue mostre siamo sempre gratuite.

Artista dunque molto eclettico, tanto da aver pure meritato il premio Pulitzer 2008, per l’impatto che hanno avuto i testi delle sue canzoni sulla cultura popolare americana. E peccato solo che le ue canzoni non siano state messe come sottofondo musicale della sua mostra.


salto nel buio

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi-
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla

Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

(Cesare Pavese)

Masticone, dal suo blog, mi aveva domandato qualche tempo fa se avevo mai scritto nulla sulla morte. Ho risposto di no, forse perché è una forma per esorcizzare quel momento che tutti temiamo. Lo temiamo perché il più delle volte arriva inaspettato ed accompagnato dal dolore che è quello, più che la morte in se stessa, che ci fa maggiormente paura, oltre al fatto che non sappiamo cosa avviene “dopo”.

E qui inizia il bello, perché il concetto del dopo-morte implica uno stretto legame con la religione, anzi le religioni anche se, parere mio personale da agnostica qual sono, qualora davvero ci fosse un qualcosa di soprannaturale la religione dovrebbe essere unica.

Senza pensare alla classica iconografia dei paradisi dei vari culti, con nuvole, angioletti, arpe che suonano o, per i mussulmani, un sacco di vergini (e per noi femminucce?), dato che nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma, mi piacerebbe rigenerarmi in qualcosa o qualcuno di utile, ma in cosa esattamente non lo so.

Le religioni ce le siamo ideate noi, all’inizio dei tempi, dapprima per timore di fenomeni atmosferici ed astrali (fulmini, terremoti, eclissi, carestie), in seguito per dare una speranza a chi, in tempi andati, conduceva un’esistenza assai grama e poteva quindi sperare in un’eternità colma di quello che non aveva avuto in vita.

Coloro che credono sanno quindi che nell’aldilà avranno la ricompensa o la punizione che si meritano, e di questa loro fede ho perfino un poco di invidia, perché dà loro una speranza che a me, più materialista, manca del tutto, traducendosi quindi la morte in un vero salto nel buio.

Si dice però che si vive fino a che restiamo nella memoria altrui. Fino a che si ricorda qualcuno, fino a quando rammentiamo le sue parole, il suo sorriso, la sua vicinanza… questa persona, non più presente fisicamente, è comunque vicina a noi e continua a far parte del nostro vissuto, della nostra esistenza, e quindi non è scomparsa del tutto.

Ecco perché nel tempo si è sviluppato il culto della morte, un po’ per ricordare chi ci ha lasciato, un po’ per collegare questa esistenza reale, terrena a quella ipotetica e futura; e si è concretizzato, nei tempi remoti, nella conservazione del corpo mediante la mummificazione e con la sepoltura accanto all’estinto di oggetti di uso quotidiano, mentre ai giorni nostri si onorano i defunti con l’offerta di fiori e l’accensione di lumini, quasi ad illuminare il percorso nel mondo dell’Adilà, mentre in epoca recentissima, si moltiplicano le pagine sui network, primo fra tutti FB, dove parenti ed amici ricordano la persona scomparsa.

La morte è un distacco dalle cose terrene, dalle persone che amiamo e che ci amano, dalle nostre abitudini. I funerali, che celebrano questo rito hanno quindi una connotazione triste, consona allo stato d’animo di chi resta (o per lo meno, consono a quello che si suppone sia lo stato d’animo). Per me invece sognerei una cerimonia simile ai funerali di New Orleans, gente allegra, bella musica, bei ricordi, o almeno quel poco di bello che posso aver lasciato nel ricordo altrui.

 

Ed alla fine, come saluto, un

“ARRIVEDERCI”,

perché la speranza in un mondo migliore è sempre l’ultima a morire, magari accompagnati dalla classica “When the Saints Go Marching In”  

🙂