La vita è sogno, soltanto sogno, il sogno di un sogno (Edgar Allan Poe)

Articoli con tag “Natale

Ipocrisia in salsa natalizia

Da quando in qua un’autorità POLITICA stabilisce che il Natale ai tempi del Covid deve essere “più autentico, spirituale, intimo, lontano dalle orge consumistiche, autenticamente cristiano”?

Non compete certo ai politici (tra parentesi neppure all’autorità ecclesiastica) stabilire in quale modo ciascuno di noi voglia trascorrere questa ricorrenza. La spiritualità di ciascuno è insita nella nostra personale coscienza e non sarà certamente un estraneo a dettarci i comportamenti da tenere. Anche perché intrattenersi con parenti ed amici, riunirsi tutti attorno allo stesso tavolo, condividere non solo il cibo ed i regali ma anche l’affetto, le risate, gli abbracci, non può certo ritenersiorgia consumistica”, perché il Natale, anche per chi non è credente, è sempre una festa dei sentimenti e della convivialità.

Inoltre, e qui ritorna in campo la solita ipocrisia di coloro che si sentono superiori e ci guardano dall’alto un basso ritenendosi in grado di propinarci ordini sotto forma di consigli “per il nostro bene”, chi se non coloro che oggi ci stanno governando hanno distrutto la vera essenza del Natale, vietando recite e canti natalizi nelle scuole, proibendo i presepi o imponendone uno orrendo come quello eretto quest’anno in piazza san Pietro, il tutto per non urtare la suscettibilità dei nostri “fratelli musulmani”? Chi ha snaturato le nostre tradizioni, le nostre usanze, persino la nostra identità?

A questi “predicatori” chiedo di risparmiarci almeno i soliti sermoni pieni di retorica e di fare silenzio.


Abbasso i decretini

Un Natale da schifo attende molti anziani, che dovranno trascorrerlo in totale solitudine grazie ai demenziali decreti di questo governo e soprattutto di colui che lo presiede, imbevuto ormai di delirio di onnipotenza.

Per molte persone in età molto avanzata potrebbe essere davvero l’ultimo da trascorrere in compagnia di figli e nipoti, ma a questo i dementi non hanno pensato. Non esiste solo la salute fisica, esiste anche la salute mentale, e questa è stata minata con l’obbligatorietà della distanza anche dagli affetti più cari ed in altri casi con la perdita del lavoro.

In cambio però i geni che ci governano hanno stabilito che ci sarà una lotteria che potrebbe far rimborsare ai potenziali partecipanti e vincitori il 10% di quanto pagato tramite bancomat e carte di credito, naturalmente al fine di sgominare la pericolosissima evasione fiscale di negozi, bar e ristoratori che hanno visto i propri incassi ridotti al minimo grazie alle chiusure imposte.

Il guaio è che la “vincita” verrà pagata anche da quanti non hanno carte di credito e probabilmente neppure un conto corrente, quindi i premi andranno ovviamente a chi ha più possibilità di spendere, a scapito di chi ha minori possibilità economiche.

Io per natura sono il classico bastian contrario: da sempre, per mia comodità, uso esclusivamente carta di credito e bancomat per i miei acquisti, ma da quando ci sono queste restrizioni sto usando esclusivamente il contante, perché dei contentini di questo governicchio non so che farmene.

E dopo questo ennesimo sciupio di denaro pubblico (lotteria scontrini, bonus vacanze, bonus monopattini, banchi a rotelle, ingenti percentuali per l’acquisto di mascherine ecc. ecc.), tremo al pensiero di come questa gentaglia potrebbe “investire” i soldi del recovery fund, visto che si prevede l’ennesima infornata di Comitati Tecnici che dovranno studiare come sperperarli: l’ultima speranza è che la U.E. non ci conceda neppure un euro.

 

 


Canto di Natale…a modo mio

Vorrei ritornasse il primo Spirito del Natale, quello dei Natali passati.
I Natali con la neve, con le strade sfolgoranti di luci, con gli alberi addobbati (bene o male non importa) con fragili palline di vetro, le ghirlande sulle porte d’ingresso, le musiche di Stille Nacht o White Christmas in sottofondo, il presepe con il muschio vero e il laghetto fatto con lo specchio, i regali ammucchiati sotto l’abete che profumava ancora di resina, gli occhi dei miei figli che li scartavano con gioiosa impazienza, tutti intorno alla tavola apparecchiata con la tovaglia rossa ed il servizio buono, noi, i figli e i miei genitori. Il profumo dei cibi quando ancora non c’erano problemi di colesterolo, l’aroma delle bucce d’arancio sulla stufa…
Ogni abitazione era un piccolo, gioioso mondo a sé: addobbi, luci, profumi dai quali percepivo chi abitasse in quell’appartamento.

Ora guardo dalla finestra e mi accorgo che non è più il natale di un tempo.
Forse perché nel condominio e nel cortile di fronte non ci sono più bambini e abitano molti extracomunitari per i quali Natale è un giorno come un altro.
Su nessuno dei balconi, su nessuna finestra risplendono le lucine intermittenti, presso i bidoni dei rifiuti si vedono pochissime scatole vuote, nastri ed incarti di regali.
Nessun profumo particolare di arrosti e paste al forno, pastiere o torte Sacher, o semplici panettoni messi a scaldare quell’attimo necessario per esaltarne il profumo.
Neve neppure a parlarne, solo una spruzzata sulle montagne circostanti.
I figli sono lontani, hanno la loro vita, com’è giusto che sia: un augurio per telefono, qualche messaggio, un abbraccio da lontano.
Siamo rimasti solo noi due, e questo è il regalo più bello.
Buon Natale, amore mio.

 


Epifania…tutte le feste porta via.

E così anche queste feste sono terminate.

Basta con le abbuffate di pandoro e panettone, basta sgranocchiare torrone, basta caffè corretto con l’anice – una tradizione tramandatami da mio padre – basta con i film di Natale.

Nell’ordine, abbiamo visto, per l’ennesima volta, Miracolo nella 34^ strada (l’originale del 1947), La vita è meravigliosa, Bianco Natale, National Lampoon’s Christmas Vacation, Bufera in Paradiso, Natale in affitto, Polar Express, L’appartamento (questo è dedicato alla fine dell’anno per via della scena finale) SOS fantasmi, Canto di Natale di Topolino, La più bella storia di Dickens, Fuga dal Natale, Babbo bastardo e, questa sera, c’è in programma La banda dei babbi Natale.

Poi ritorneremo a guardare i “soliti” film (abbiamo una sfilza di horror per smaltire il miele 🙂 )


La stella di Natale

Era inverno.
Soffiava il vento dalla steppa
E aveva freddo il Bambino nella grotta
Sul pendio della collina.

Lo scaldava l’alito del bue.
Gli animali domestici
stavano nell’antro,
Sulla mangiatoia aleggiava un tiepido vapore.

Scossisi dalle pelli la paglia del giaciglio
E i grani di miglio,
I pastori assonnati
Guardavano alla lontananza di mezzanotte.

Lontano c’era un campo innevato e un cimitero,
Staccionate, pietre tombali,
Stanghe di carri nella neve,
E il cielo sul cimitero pieno di stelle.

Ma vicino, ignota fino allora,
Più timida di un lumino
Alla finestrina di un capanno
Baluginava la stella sulla via di Betlemme.

Ardeva come un pagliaio, in disparte
Da cielo e da Dio,
Come il riverbero di un incendio,
Come masseria in fiamme e fuoco in un granaio.

Si alzava come un covone ardente
Di paglia e di fieno
In mezzo all’universo intero,
Allarmato da questa nuova stella.

La sovrastava un bagliore sempre più acceso
E qualcosa significava,
E i tre scrutatori di stelle
Accorrevano al richiamo di fuochi mai visti.

Li seguivano i doni sui cammelli.
E gli asinelli bardati, uno più piccolo
Dell’altro, scendevano la montagna a piccoli passi.

E, come strana visione di tempi futuri,
si alzò in lontananza tutto ciò che avvenne poi.
Tutti i pensieri dei secoli, tutti i sogni, tutti i mondi,
Tutto l’avvenire di gallerie e musei,
Tutte le burle delle fate, tutte le opere dei maghi,
Tutti gli alberi di Natale del mondo, tutti i sogni dei bambini.

Tutto il tremolio delle candele accese, tutti i festoni,
Tutto lo sfarzo del luccichio colorato…
… Sempre più cattivo e furioso soffiava il vento dalla steppa…

Parte dello stagno era nascosta dalle cime degli ontani,
Ma l’altra si vedeva benissimo anche da qui.
Attraverso i nidi dei corvi e gli apici degli alberi.
I pastori riuscivano a distinguere bene
Come sull’argine andavano gli asini e i cammelli.
“Andiamo con tutti, inchiniamoci al miracolo”
Dissero allacciandosi le pelli.

Avevano caldo per la camminata nella neve.
Orme di piedi scalzi portavano alla capanna
Sulla radura chiara come fogli di mica.
A quelle orme, come a fiamma di moccolo,
Ringhiavano i cani sotto la luce della stella.

La notte di gelo pareva di fiaba,
E qualcuno dai monti nevosi di tormenta
Continuava a unirsi non visto a loro.
I cani si trascinavano guardandosi in giro inquieti,
E si stringevano al pastore e attendevano sventure.

Proprio per quella strada, proprio per quel luogo
passò qualche angelo nel folto della folla.
L’incorporeità li rendeva invisibili,
Ma il passo lasciava l’impronta del piede.

La gente in frotta s’affollava alla rupe.
Albeggiava. Si profilavano i tronchi dei cedri.
“E voi chi siete?” chiese Maria.
“Siamo stirpe di pastori e inviati dal cielo.
Siamo venuti a dar lode a entrambi voialtri.”
“Non si può tutti insieme. Aspettate all’ingresso.”

Grigia come cenere la foschia del mattino,
Battevano i piedi mulattieri e pecorai,
Chi era a piedi litigava con chi era a cavallo,
Presso il tronco cavo dell’abbeveratoio,
Mugghiavano i cammelli, scalpicciavano gli asini.

Albeggiava. L’alba spazzava dalla volta celeste
le ultime stelle, come granelli di cenere.
E di tutta l’innumerevole folla solo i Magi
Maria fece entrare nella fenditura della roccia.

Lui dormiva, tutto raggiante, nella mangiatoia di quercia,
come raggio di luna nelle profondità di un albero cavo.
Invece che pellicce di pecora
aveva labbra di asino e nari di bue.

Rimasero nell’ombra, in quel buio di stalla,
Sussurravano, trovando a stento le parole.
D’un tratto qualcuno nell’oscurità con la mano scostò
dalla mangiatoia un Mago verso sinistra,
E quello si voltò: dalla soglia alla Vergine
come un ospite guardava la Stella di Natale.

Boris Pasternak


Adeste fideles

Questa, per me, è la più bella melodia natalizia. E su queste note, lascio a tutti i migliori auguri per queste feste. ❤


Natale

È Natale da fine ottobre.

Le lucette si accendono sempre prima, mentre le persone sono sempre più intermittenti.

Io vorrei un dicembre a luci spente e con le persone accese.

Charles Bukowski

 

 

(Fotografia di ieri a Merano)


Adeste fideles


Luci

​25 dicembre, ore 17.30

Dopo una bella giornata passata presso Padova in famiglia arriva purtroppo l’ora di tornare a casa.  Ormai è buio, data la stagione, rotto solo dalle luci.

Ci sono i serpenti luminosi in autostrada,  rosso quello delle luci di posizione delle auto  davanti a noi e bianco quello dei fari dei veicoli sulle corsie opposte.

Poi le solite insegne delle ditte e dei distributori, i fanali giallastri delle strade, che si infittiscono in prossimità degli svincoli. In questo periodo però tutto è più sfavillante. I grandi centri commerciali risplendono da lontano, con figure fantasmagoriche che si accendono ad intermittenza con un effetto psichedelico, ma le cose più belle si scorgono in lontananza.

Luci di paesetti distanti che sembrano tanti presepi, ogni tanto una chiesetta illuminata debolmente con un campanile snello e dalla punta aguzza come quello della poesia di Rio Bo. Sulle colline, tra Verona e Trento, ogni tanto una cometa: per essere visibile da lontano immagino debba essere davvero enorme. Ogni tanto, sempre su quel tratto di strada, anche dei presepi luminosi: capanne con le effigi di Maria, Giuseppe ed il Bambino: pure questi debbono essere di dimensioni considerevoli. 

E poi alberi, per lo più abeti, ricchi di luci e scintillanti, pieni di globi colorati o di minuscoli LED simili a brillantini Swarowsky. Anche in città – dopo l’aberrazione falsamente risparmiatrice protrattasi per qualche anno – è ritornata l’usanza di un tempo e sulle strade è tutto un fiorire di stelle, cerchi luminosi, piogge di luce. La magia del Natale è anche qui,  in questa luminosità che sembra voler diradare le tenebre in cui la cattiveria di pochi vuole gettarci.


Pace agli uomini di buona volontà

 

 

 

berlino-attentato-camion21-1000x600Si avvicina Natale…L’ambasciatore russo è stato assassinato in diretta in Turchia. Un TIR ha compiuto una strage nel mercatino natalizio di Berlino, accanto alla Gedaechtniskirche: le luci natalizie delle bancarelle mescolate a quelle dei mezzi di soccorso.

Qualche giorno prima un dodicenne indottrinato per bene ha cercato di farsi saltare assieme al proprio zainetto imbottito di esplosivo e chiodi. A Zurigo c’è stata una sparatoria nel centro islamico.

Qual è il periodo migliore per compiere attentati, se non questo che stiamo vivendo? Giorni che dovrebbero essere di pace e tranquillità, insanguinati dagli adepti di una “religione di pace” che invece seminano il terrore.

L’odio aumenta, da parte di chi compie gli attentati, ma anche da chi li subisce, però il mio odio ed il mio disprezzo sono rivolti a coloro che hanno permesso che si arrivasse a questo: politici, giornalisti, religiosi, intellettuali e pseudo-intellettuali, ossia i cattivi maestri che da anni ci tacciano di razzismo e predicano un’accoglienza indiscriminata. I migranti che arrivano sui nostri territori sono tutte indistintamente brave persone che con gli attentati non c’entrano per nulla, e dobbiamo esser loro grati perché sono quelli che ci pagheranno le pensioni e ripopoleranno i nostri paesi.

E come al solito, i mezzi di informazione esitano molto prima di pronunciare la parola TERRORISMO. I meno cauti parlano di “probabile attacco di matrice terroristica”, e non sia mai che venga fuori la parola “matrice islamica”. Se si ha paura di pronunciare questi termini, la battaglia contro il nemico è già persa.

Anzi, inizia la solita solfa: non sono veri islamici, sono depressi o squilibrati, colpa di chi vende le armi (anche di chi vende i TIR?) ed amenità del genere. L’Europol aveva già avvisato dell’eventualità di attentati nei mercatini, ma la Merkel ed i suoi hanno preferito minimizzare il pericolo per celare i legami tra il terrorismo e l’accoglienza senza alcun controllo.

Sono stanca di leggere e vedere persone uccise, violentate, distrutte, di vedere la nostra civiltà soccombere senza che nessuno faccia nulla per fermare questo scempio. In parte è anche colpa nostra, di quanti continuano a sostenere questi governi scellerati ed a votare personaggi che agiscono in quanto siamo noi che concediamo loro questo potere.

E chi si ribella a questo stato di cose, viene additato come razzista, guerrafondaio ed è lui la persona da combattere, non “gli altri”.


A Natale siamo tutti più buoni


parenti

A Natale si diventa tutti più buoni.

Sicuri?

Un corno!

Ed è ben evidenziato nel film di Mario Monicelli “Parenti serpenti”, in cui recitano Paolo Panelli (il suo ultimo film), Pia Velsi, Cinzia Leone, Alessandro Haber, Marina Confalone.

Un film sull’ipocrisia del buonismo natalizio e sulla falsa facciata del perbenismo anche tra consanguinei, che evidenzia la mediocrità di certi personaggi.

Saverio, un appuntato dei carabinieri in congedo, e sua moglie Trieste, ormai anziani, festeggiano il periodo natalizio in casa propria a Sulmona invitando i loro quattro figli con le rispettive famiglie.

All’inizio le giornate trascorrono piacevolmente, ma un giorno a pranzo Trieste annuncia che lei ed il marito non se la sentono più di restare da soli ma nemmeno vogliono ritirarsi in una casa di riposo: avrebbero quindi deciso di lasciare la casa con tutti i suoi arredi a quello dei figli che si occuperà di loro durante la vecchiaia.

I figli allora iniziano a litigare tra di loro. Nessuno di essi vuole rinunciare alla vita che ha condotto fino a quel momento per occuparsi dei due vecchi, ma nemmeno vuole rinunciare alla quota della casa che spetta loro. Una guerra fratricida dove vengono scoperchiati molti segreti: l’omosessualità di uno dei figli, il professore Alfredo, l’unico celibe (Haber) che confessa di convivere da un decennio con un vigilante, o la relazione segreta tra i due cognati, Michele e Gina, sposati con due dei figli dei due anziani; l’impossibilità di avere figli dell’altra coppia, Milena e Flippo; l’aspirazione a diventare ballerina in “Fantastico” della figlia di Alessandro e Gina. L’unico “normale” sembra essere il piccolo Mauro, che fa anche da voce narrante del film.

Così tra litigi e rinfacci vari, di comune accordo,i familiari decidono cinicamente di sopprimere i genitori simulando un incidente domestico, ma tutto verrà scoperto nel modo più banale:la lettura in classe del tema del nipotino che descrive in quale maniera ha trascorso le vacanze di Natale.

Un modo neppure troppo velato di denuncia di una certa provincia italiana, con i suoi scheletri nell’armadio, la grettezza, le gelosie, l’ipocrisia imperante che si evidenzia nel finale tipico di una tragicommedia.


pranzo di Natale

image

Ancor prima  di sederci a tavola – eravamo stati invitati a pranzo da parenti – mio marito si è  sentito male.
Avevo avuto appena il tempo di togliermi il giaccone, fare un filmatino col cellulare al presepe e consegnare i regali, che è diventato pallido come uno straccio, accusando nausea e crampi allo stomaco ed ai muscoli dorsali.
Per un po’ ha cercato di resistere,  poi, per non guastare il pranzo ai parenti, abbiamo preferito farci accompagnare  a casa.
Visto che non stava meglio, anzi peggiorava, ho chiamato un taxi (la macchina nostra è in un garage piuttosto distante) e l’ho accompagnato al pronto soccorso di un noto ospedale.
Devo dire che già anni addietro – sempre in occasione di un malore di mio marito – ho avuto modo di verificare la professionalità dei medici di questo ospedale, e pure questa volta l’hanno subito visitato facendogli pure varie analisi.
Mentre stavano effettuando gli esami, un assistente è uscito per avvisarmi che le cose andavano un po’ per le lunghe, ma che con tutta probabilità  era un virus di natura intestinale e che avrebbe potuto essere rilasciato subito dopo.
Non mi è  rimasto che attendere in sala d’aspetto che dimettessero mio marito. Avrei voluto mangiare almeno un toast, ma il bar interno non era agibile.
Così il mio favoloso pranzo di Natale è  constato nel mangiare una barretta al mousli ed un caffè al distributore automatico all’ingresso; per “commensale” – medesimo menu – un simpatico signore ultraottantenne che aveva accompagnato lì la moglie, ed aspettava pure lui.
Sempre durante l’attesa, gli auguri di mio figlio via Skipe dalla casa dei suoi suoceri con visione della tavola imbandita.
Dopo oltre due ore finalmente mio marito è uscito: una flebo gli aveva calmato i dolori, poi una ricetta per un paio di medicinali antispastici e la ricerca di una farmacia di turno. Il che,  spostandoci in taxi, è  costato quanto un pranzo luculliano in un locale alla moda.
Ieri, santo Stefano, abbiamo passato in casa l’intera giornata, lui è rimasto quasi del tutto a digiuno, ma almeno i crampi si erano molto attenuati.
Oggi, finalmente, è riuscito a mangiare qualcosa, in compenso credo di star covando qualcosa io, dato che ho un fortissimo mal di gola.

Un Natale da dimenticare.


finalmente Natale…

25_natale_20151118_152219

Natale
Né qui, né ora.
Inutile promessa d’altro calore e di nuova scoperta
sotto l’ora che annotta viene meno.
Brillan le luci in cielo ? Brillan da sempre.
Questa vecchia illusione abbandoniamo.
Oggi è Natale. E proprio niente avviene.

José Saramago

auguri

 


Un giretto in galleria…

Lo so, filmini simili girano già da tempo, ma lasciatelo fare pure a me 🙂

Mi scuso sempre per la mia scarsa capacità di “cinereporter”,ma sono alle prime armi 🙂

 


Epifania…tutte le feste porta via…

Come ha scritto in un suo post un blogger a me caro, finalmente Natale, e con esso anche le feste seguenti, è passato, portandosi dietro tutta la sua follia consumistica, anche se quest’anno è stata sottotono per via della crisi.

Natale ha perduto nel tempo quell’aura di spiritualità che permeava anche chi non è credente, per trasformarsi in una sfrenata corsa agli acquisti. Basta con i mercatini, che da me si chiamano Christkindlmarkt – ossia mercato di Gesù bambino, quel Gesù che scaccerebbe tutti i mercanti -, basta con i jingle commerciali che hanno sostituito “Adeste fideles” o i canti tradizionali, basta con gli orpelli luminosi made in China (che ne sanno loro del Natale?), basta con le sfacciate pubblicità televisive.

Tutto questo perché il Natale “commerciale” dura troppo tempo. Anni addietro c’era solo la domenica d’oro, poi si è aggiunta quella d’argento per arrivare infine ai negozi aperti tutte le domeniche sin da novembre: un’esagerazione. Addio ai regali “poveri”, quali il maglioncino che la mamma sferruzzava alla sera tardi, ed ai regali “utili”. Oggi, per praticità, si compra tutto già preconfezionato: più costoso, ma anche più veloce.

Basta anche con l’esaltazione della bontà solo in quel giorno, al pranzo offerto ai poveri e servito da personaggi altolocati che per l’occasione, si trasformano in camerieri, mentre durante l’anno mangiano, e come mangiano (ogni riferimento alle cozze è voluto)…

Ovvio che il “finalmente” si estenda anche al Capodanno, con tutte le ostentazioni che lo caratterizzano, incluse quelle culinarie. Ed oggi, “finalmente”, è l’Epifania…si disfa l’albero ( io ne ho due, quello vero, piccolo, in vaso, sul terrazzino, decorato con fiocchi e meline rosse, e quello sintetico all’interno, con ornamenti argento ed azzurri), si toglie la decorazione dalla porta di casa, si tira un sospiro di sollievo perché lo stress delle prossime festività è distante circa un anno…


Il dono dei Magi – O. Henry

Per Natale, assieme ai soliti auguri, un tenero raccontino…

Un dollaro e ottantasette centesimi. Questo era tutto. E sessanta centesimi erano in penny.

Penny risparmiati uno o due alla volta maltrattando il droghiere, il verduraio e il macellaio, fino a

quando ti senti le guance rosse per l’accusa di taccagneria che tale atteggiamento comporta, anche

se non te lo dicono. Della li contò tre volte. Un dollaro e ottantasette centesimi. E il giorno dopo

sarebbe stato Natale.

Non c’era chiaramente nulla da fare, se non afflosciarsi sullo squallido divanuccio e mettersi a

urlare. E Della fece proprio così. E questo ci porta a riflettere che la vita è fatta di singhiozzi, tirate

sù col naso, e sorrisi, con prevalenza delle tirate sù.

Mentre la padrona di casa si calma piano, piano, passando dalla prima fase alla seconda, date

un’occhiata alla casa. Un appartamento ammobiliato da 8 dollari a settimana. Non certo un posto da

mendicanti, ma la forse squadra anti-mendicità lo indicava come tale.

Nel vestibolo sottostante, una cassetta per lettere in cui non sarebbe arrivata mai nessuna lettera,

e un pulsante elettrico da cui nessun dito di mortale avrebbe ottenuto uno squillo. A tutto ciò si

aggiungeva anche un cartellino che recava il nome “Mr. James Dillingham Young.”

Il “Dillingham” era stato sbandierato in un periodo precedente di prosperità quando il suo

possessore veniva pagato 30 dollari a settimana. Ora, con il reddito ridotto a 20 dollari, stavano

pensando seriamente di contrarlo in un più modesto e senza pretese “D”. Ogni volta che il signor

James Dillingham Young tornava a casa e raggiungeva il suo appartamento di sopra, veniva però

chiamato “Jim” e abbracciato stretto dalla signora Dillingham, che già vi abbiamo presentato come

Della. E tutto questo è molto bello.

Della aveva finito di singhiozzare e si occupava delle guance con il piumino della cipria. Se ne

stava alla finestra e guardava fuori senza pensieri verso un gatto grigio che camminava lungo un

recinto grigio in un cortile grigio. Domani sarebbe stato il giorno di Natale e lei aveva solo 1 dollaro

e 87 con cui comprare un regalo a Jim. Aveva risparmiato ogni centesimo che aveva potuto, per

mesi, con questo risultato. Con venti dollari alla settimana non si va lontano. Le spese erano state

maggiori di quanto lei aveva calcolato. Lo sono sempre. Solo 1 dollaro e 87 per comprare un regalo

per Jim. Il suo Jim. Aveva trascorso tante ore felici pensando a qualcosa di bello per lui. Qualcosa

di bello e raro e speciale — qualcosa che fosse degno di appartenere a Jim.

C’era uno di quei comuni specchi stretti, tra le finestre della stanza. Forse avete visto uno di

questi specchi in un appartamento da 8 dollari. Una persona molto sottile e molto agile può,

osservando il suo riflesso in una rapida sequenza di strisce longitudinali, avere un’idea abbastanza

precisa del suo aspetto. Della, essendo magra, aveva imparato quest’arte.

Improvvisamente si girò dalla finestra e si fermò davanti allo specchio. I suoi occhi brillavano di

scintille, ma il suo viso perse di colore in venti secondi. Rapidamente tirò giù i capelli e li lasciò

cadere per tutta la loro lunghezza.

3

Ora, vi erano due beni in possesso alla famiglia Dillingham Young di cui entrambi erano

orgogliosissimi. Uno era orologio d’oro di Jim, che era stato suo padre e di suo nonno. L’altro erano

i capelli di Della. Se la regina di Saba fosse vissuta in un appartamento di fronte, Della qualche

volta avrebbe steso i suoi capelli fuori dalla finestra ad asciugare solo per far impallidire i gioielli e i

beni di Sua Maestà. Se Re Salomone fosse stato il portiere, con tutti i suoi tesori ammucchiati nello

scantinato, Jim avrebbe tirato fuori il suo orologio ogni volta che passava, solo per vederlo

strapparsi la barba dall’invidia.

Così ora i bei capelli di Della scivolarono su di lei ondeggianti e splendenti come una cascata di

acque castane. Arrivavano fin sotto il ginocchio e le facevano quasi da abito. Poi li raccolse di

nuovo nervosamente e rapidamente. Vacillò per un attimo e poi si fermò, mentre una lacrima o due

cadevano sul logoro tappeto rosso.

Indossò la vecchia giacca marrone, indossò il vecchio cappello marrone. Con un turbinio di

gonne e con quel brillante scintillio ancora negli occhi, sgonnellò fuori dalla porta e giù per le scale

fino alla strada.

Dove si fermò il cartello diceva: “Mme. Sofronie. Tutto per i capelli.” Della corse su per una

rampa, e si sistemò, ansimando. Madame, grossa, troppo bianca, fredda, poco sembrava una

Sofronie.”

Vuole comprare i miei capelli?”, chiese Della.

“Io compro i capelli”, disse la signora. “Si tolga il cappello e diamo un’occhiata a come sono.”

La cascata castana scivolò giù.

“Venti dollari”, disse la signora, sollevando la massa con mano esperta.

“Me li dia, presto”, disse Della.

Oh, e le due ore successive si spostò con ali rosate. Scusate questa trita metafora. Stava

setacciando i negozi per il regalo di Jim.

Alla fine lo trovò. Era stato fatto proprio per Jim e per nessun altro. Non ce n’era di uguale in

nessun altro negozio, e li aveva rivoltati proprio tutti. Era una catenina da orologio in platino,

semplice e pura nel disegno, che dichiarava il suo valore di per sé stessa e non come vile ornamento

proprio come dovrebbe essere per tutte le cose belle. Era degna dell’Orologio. Appena la vide,

seppe che doveva essere di Jim. Era come lui. Tranquillità e valore – la descrizione si applicava ad

entrambi. Per la catena le presero ventuno dollari, e lei si precipitò a casa con gli 87 centesimi. Con

quella catena al suo orologio Jim poteva preoccuparsi decorosamente dell’orario in qualunque

compagnia si fosse trovato. Per quanto il suo orologio fosse magnifico, a volte lo guardava di

nascosto, a causa del vecchio cinturino di cuoio che usava al posto della catena.

Quando Della giunse a casa, la sua eccitazione cedette un po’ alla prudenza e alla ragione. Tirò

fuori il suo arricciacapelli, accese il gas e si mise a riparare i danni fatti dalla generosità aggiunta

all’amore. Che è sempre un compito enorme, cari amici – un compito immane.

In quaranta minuti la sua testa era coperta da piccoli ricci, vicini l’uno all’altro, che la facevano

splendidamente somigliare a uno scolaro che ha marinato la scuola. Guardò a lungo la sua

immagine riflessa nello specchio, con attenzione e in modo critico. 4

“Se Jim non mi ammazza”, si disse, “prima di darmi una seconda occhiata, dirà che sembro una

ragazza del coro di Coney Island. Ma che cosa potevo fare – oh! Che cosa potevo fare con un

dollaro e ottantasette centesimi?”

Alle 7 il caffè era pronto e la padella era sul retro della stufa, calda e pronta a cuocere le

costolette.

Jim non era mai in ritardo. Della addoppiò la catenina in mano e si sedette in un angolo del

tavolo vicino alla porta da cui lui entrava sempre. Poi sentì il suo passo sulla scala giù, al primo

piano, e impallidì per un attimo. Aveva l’abitudine di recitare in silenzio una preghiera per le

semplici cose di ogni giorno, e ora sussurrò: “Ti prego Dio, fagli pensare che sono ancora carina “.

La porta si aprì e Jim entrò e la richiuse. Aveva un aspetto magro e molto pensieroso. Poverino,

aveva solo ventidue anni – ed essere gravati da una famiglia! Aveva bisogno di un cappotto nuovo

ed era senza guanti.

Jim si fermò appena superata la porta, immobile come un setter all’odore di una quaglia. I suoi

occhi erano fissi su Della, e vi era in essi un’espressione che lei non sapeva comprendere, e che la

terrorizzava. Non era rabbia, né sorpresa, né disapprovazione, né orrore, né uno dei sentimenti a cui

era preparata. Egli semplicemente la guardava fisso, con quella strana espressione sul viso.

Della girò intorno al tavolo e gli si avvicinò.

“Jim, caro,” esclamò, “non guardarmi in quel modo. Mi sono tagliata i capelli e li ho venduti,

perché non potevo passare il Natale senza farti un regalo. Ricresceranno — non ti importa, vero? Ho

dovuto farlo. I miei capelli crescono così in fretta. Di’ ‘Buon Natale! ‘ Jim, e cerchiamo di essere

felici. Non sai che bel regalo- che bellissimo regalo ho per te.”

“Hai tagliato i capelli?” chiese Jim, faticosamente, come se non fosse ancora arrivato a capire

questo fatto, anche dopo un duro sforzo mentale.

“Tagliati e venduti”, disse Della. “Non ti piaccio ugualmente, comunque? Io sono io, anche

senza i miei capelli, non è vero?”

Jim guardò per la stanza, curioso.

“Dici che i tuoi capelli non ci sono più?” chiese, con un’aria quasi da idiota.

“Non li devi cercare”, ha detto Della. “Li ho venduti, ti dico – venduti e andati, anche. E’ la

vigilia di Natale, ragazzo. Sii buono con me, perché li ho dati via per te. Forse i capelli del mio capo

erano contati”, proseguì lei con un’improvvisa grave dolcezza, “ma nessuno potrebbe contare il mio

amore per te. Devo mettere su le costolette, Jim?”

Jim sembrava svegliarsi rapidamente dalla sua trance. Abbracciò la sua Della. Per dieci secondi

guardiamo con interesse qualche inutile oggetto che sta nella direzione opposta. Otto dollari la

settimana o un milione all’anno – qual è la differenza? Un matematico o un uomo di spirito

darebbero la risposta sbagliata. I Magi portarono doni preziosi, ma quello non c’era. Questa

affermazione oscura vi sarà chiarita in seguito.

Jim estrasse un pacchetto dalla tasca del cappotto e lo gettò sul tavolo. 5

“Non ti sbagliare sul mio conto, Della.” disse, ” Non credo che ci sia qualcosa nel modo in cui ti

tagli i capelli o te li lavi che potrebbe farmi piacere di meno la mia ragaza. Ma se scarti il pacchetto

puoi capire perché mi hai fatto imbambolare un po’ in un primo momento.”

Dita bianche e agili strapparono la corda e carta. E poi un urlo di gioia estatica e poi, ahimè! un

rapido femmineo cambiamento in un pianto isterico e in lamenti, che richiesero l’impiego

immediato di tutti i poteri di consolazione del padrone di casa.

Perché lì dentro c’erano I Pettini – una serie di pettini, laterali e posteriori, che Della aveva

adorato a lungo in una vetrina di Broadway. Bellissimi pettini in vero guscio di tartaruga, con bordi

di pietre preziose – proprio della sfumatura da portare tra i suoi magnifici capelli scomparsi. Erano

pettini costosi, lo sapeva, e il suo cuore li aveva semplicemente agognati e desiderati senza la

minima speranza di possesso. E ora erano suoi, ma le trecce che gli ambìti ornamenti avrebbero

dovuto adornare erano sparite.

Ma lei li stringeva al petto e alla fine fu in grado di guardarli con gli occhi velati e un sorriso e

dire: “I miei capelli crescono così in fretta, Jim!”

E poi Della balzò in piedi come un gatto che si è bruciato e gridò: “Oh, oh!”

Jim non aveva ancora visto il suo bel regalo. Lei glielo porse con entusiasmo sul palmo aperto.

L’opaco metallo prezioso sembrava lampeggiare per il riflesso dello spirito brillante e ardente di lei.

“Non è elegante, Jim? L’ho cercato per tutta la città per trovarlo. Dovrai guardare l’ora un

centinaio di volte al giorno adesso. Dammi il tuo orologio. Voglio vedere come ci sta. ”

Invece di obbedire, Jim si buttò sul divano e si mise le mani sotto la nuca e sorrise.

“Della”, disse, “mettiamo via i nostri regali di Natale e lasciamoli stare per un po’. Sono troppo

belli per usarli proprio ora. Io ho venduto l’orologio per avere i soldi per comprare i tuoi pettini. Ed

ora penso che tu debba mettere su le costolette.”

I Magi, come sapete, erano uomini saggi – meravigliosamente saggi – che portarono doni al

Bambino nella mangiatoia. Furono loro a inventare l’arte di fare regali per Natale. Essendo saggi, i

loro doni erano senza dubbio saggi, e sicuramente avevano la possibilità di essere cambiati, se una

ne aveva già di simili.

E qui vi ho raccontato alla meglio la pacifica storia di due bambini sciocchi, in un appartamento,

che incautamente hanno sacrificato l’un l’altra i più bei tesori della loro casa. Ma va detta un’ultima

parola al saggio di oggi, che di tutti coloro che fanno regali, questi due sono stati i più saggi. Di tutti

coloro che fanno e ricevono regali, come loro, sono i più saggi. Ovunque sono i più saggi. Sono

loro i Magi. 

Da “Memorie di un cane giallo” di O.Henry edizioni Adelphi . Traduzione di Giorgio Manganelli


buon natale animato

A tutti, i migliori auguri di Buon Natale

Loredana

 


Natale

 

 

Da qualche anno, all’approssimarsi del Natale, mi viene in mente la ristrutturazione della cantina.

Strano accostamento, vero? Ma c’è un nesso logico.

Le cantine condominiali infatti erano sbarrate da cancelli costituiti da listelli di legno fermati, oltre che da una serratura rudimentale, anche con sistemi più disparati, come catene e lucchetti per biciclette. Si erano verificati dei furti, e dai vani erano stati asportati attrezzi da lavoro, sci, biciclette, slitte, scorte di olio ed altre cose. Per ovviare a ciò, l’amministratore del condominio aveva quindi deciso di sostituire i listelli con vere porte in ferro con serrature yale, ma per provvedere a questa modifica era necessario svuotare, almeno in parte, le cantine. Avevamo contattato quindi un ragazzo che si era incaricato di far ciò, dicendogli di portare in discarica la marea di scatole e scatoloni che ingombravano il locale, lasciando stare le cose riposte in un armadio e sugli scaffali. Tutto bene, la cantina era diventata subito più agibile e spaziosa… Una meraviglia. Però…già, c’è un però.

Arrivato Natale, bisognava fare l’albero, e tra gli scatoloni finiti in discarica c’erano anche quelli contenenti gli addobbi accumulati negli anni, tra i quali il piccolo presepe con le statuine di terracotta ed anche le deliziosa palline di vetro risalenti alla mia infanzia, compreso l’angelo da mettere sulla punta dell’albero, le campanelline che suonavano davvero e il mio preferito, l’uccellino in vetro argentato con la coda di vere piume. Abbiamo ricomperato nuovamente le palline, che non sono certo belle come le originarie.

 

 

Dell’uccellino però, per ricordo, resta solamente una fotografia in bianconero, mentre, fissato ad un ramo, osserva una bambina di poco più di tre anni, in piedi su una sedia, con la gonnellina di lana rossa ed un grande fiocco bianco tra i capelli, accendere sorridendo le candeline dell’abete…

 

 

 


Non per tutti è Natale

Il nome Giovanni Valentin non dice molto, ma qui a Bolzano era noto con il soprannome di Hans (o Hansele) Cassonetto. Un barbone sessantaseienne o, più poeticamente, un clochard noto per la sua abitudine di rovistare tra le immondizie da dove recuperava quanto noi, con il nostro sfacciato consumismo, buttavamo via e che lui invece riciclava, e per questo motivo veniva chiamato anche “l’ecologico”. Rifiutava ostinatamente di trascorrere le notti, anche le più fredde, nel dormitorio, preferendo la libertà.. Ed è morto nella notte di Natale, con una fine tragica, arso vivo dal fuoco che si era attaccato alle sue vesti da un cumulo di cartoni che aveva acceso per riscaldarsi.In questo giorno in cui sfoggiamo (nonostante il periodo di crisi) opulenza e spreco, un episodio che ci invita invece a meditare. Riposa in pace, Hansele, in un cielo che ti accoglierà meglio di questo mondo pieno di egoismo.


Natale di pioggia in Veneto

Un Natale in un Veneto “alluvionato”. Già dopo Vicenza est c’era una distesa di campi sommersi dall’acqua o, nel migliore del casi, ridotti in un pantano fradicio. Mio figlio abita a pochi passi dal Bacchiglione, gonfio da far paura, ma l’argine dalla sua parte è alto e resistente, quindi non c’era la massima allerta, nonostante le piogge ininterrotte.


Ma è stato pur sempre Natale perché c’erano tutti gli ingredienti giusti.

Non sarebbe stato Natale…

Senza essere tutti riuniti, di persona ma alcuni virtualmente grazie a Skype (dall’Ungheria, dall’ Irlanda e dalla Germania per la precisione), anche se a tratti la connessione cadeva…

Senza la cena della Vigilia a base di pesce (spaghetti con le vongole cucinati da mio marito, mentre il secondo per fortuna lo ha preparato mia nuora, bravissima, mentre io sono una frana)…

Senza la successiva visione de “La vita è meravigliosa” (che, anche se lo conosciamo a memoria lo vediamo sempre volentieri)…

Senza l’apertura mattutina dei regali da parte della piccola (che mi fanno rivivere le emozioni passate con i miei figli da piccoli)…

Senza il pranzo di natale con i piatti preparati da me (la pasta al forno con le polpettine, le “mie” melanzane alla parmigiana -solo la mamma le cucina così’- l’arrosto glassato, il panettone, quello classico e non manipolato con crème varie) pranzando con molta calma fino alle 15, 15.30…

Senza il pomeriggio trascorso giocando tra di noi, intervallandolo con telefonate e messaggini agli amici più cari (sempre connessione permettendo)…

Una cena “leggera” (?) con una fetta di dobos torte ed una tazza di tè, anche troppo dopo l’abbuffata di mezzogiorno…


Mercatino di Natale

Piazza Walter…stanno già preparando per il mercatino natalizio. Un enorme abete, alto una quindicina di metri a dir poco, è stato eretto nella piazza e fa pena sapere che per allietare un periodo di pochi giorni debba essere sacrificato un albero che senza dubbio ha un sacco di anni. Ormai il Natale ha solo un significato puramente commerciale, ed il mercatino ne è la riprova: una serie di bancarelle, certamente belle, illuminate, musiche di sottofondo adatte, profumi di vin brulè, cannella e chiodo di garofano che si mescola a quello dei dolci natalizi, come i Lebkuchen, molto speziati, od i Christstollen, dal sapore di marzapane. Tra poco inizierà anche la confusione: gente che viene da varie parti d’Italia proprio per visitare questo mercatino che, nato sulla scia di quelli in auge nei paesi di lingua tedesca, ormai è diventato tradizionale ed ha fatto da battistrada ad altre manifestazioni simili in tutta Italia. Non amando la confusione, tranne una breve visita prima della ressa che inizierà durante il periodo di Sant’Ambrogio in cui Bolzano diventerà una piccola succursale di Milano, me ne starò ben lontana….



Natale G.Ungaretti

Non ho voglia di tuffarmi
in un gomitolo di strade
Ho tanta stanchezza
sulle spalle
Lasciatemi cosi come una
cosa posata in un
angolo e dimenticata
Qui non si sente
altro che il caldo buono
Sto con le quattro
capriole di fumo
del focolare

 

 

Ho postato questa poesia, invece delle solite filastrocche natalizie, perché il Natale ormai è puro consumismo. Quante volte abbiamo regalato qualcosa solo perché era dispendioso e ci faceva fare bella figura? Lo ammetto, sono cascata pure io in questo vortice, ma da qualche tempo ho deciso di non caderci più. Tranne che per i bambini, agli amici basta un pensiero affettuoso, con qualcosa che rispecchi i loro gusti ed i loro desideri, ma senza eccedere…Del resto avendo molti amici…Sorriso


Natale……………………………

Ridatemi i Natali della mia infanzia…
Non sono affatto religiosa, quindi  considero Natale solo come una festa della famiglia, però rivorrei tanto  i Natali di una volta con poche cose, ma molto più sentiti. Con l’albero vero, magari  un poco storto e spelacchiato e  le fragili palline di vetro multicolori, che ogni anno aumentavano di una o due unità, tra i quali l’uccellino con la coda di piume vere ed il puntale sgargiante con l’angelo,  e non quelli finti con le decorazioni infrangibili e monocromatiche che tanto vanno di moda  adesso. Quando si preparava il presepe con il muschio vero e  le statuine di gesso, anche quelle incrementate di anno in anno, e non le “Made in China” di plastica piena di sbavature e facce imbambolate. Il Natale di quando il bottegaio sotto casa ti faceva un regalino per ringraziarti della fedeltà al suo negozio nel corso dell’anno, mentre ora ci sono solo le povere cassiere stressate dei supermercati e dei grandi magazzini. Ora qui da me c’è il Mercatino, puro prodotto del consumismo odierno, tutta luce, ma niente anima, portatore di fiumane di folla e nuvole di smog. Un tempo  c’era ancora la cultura dell’attesa del Natale, mentre oggi i negozi propongono  le strenne già mesi prima. Si intrecciava la corona dell’avvento, con le quattro candele rosse da accendere una alla volta nelle 4 settimane antecedenti il Natale, ed il calendario i n cartoncino con le finestrelle da aprire giorno per giorno, contenenti solo immagini in tema e non cioccolatini o gadget vari. Rivoglio le letterine da inviare a Babbo Natale, -(quello con la zimarra, e non con i pantaloni tipo CocaCola)- piene di brillantini e con le righine uso  quaderno di scuola, dove elencare le piccole cose che si desideravano allora, e non i videogiochi che oggi i bambini pretendono. E per favore, compriamo il panettone, non quello elaborato e farcito di creme, ma quello classico, con l’uvetta ed i canditi, che, se non graditi, venivano tolti pazientemente.
Forse sarà una questione di età…ma comincio a dire “Ai miei tempi”…quando le cose erano migliori…..