Scrivere
« Volevo scriverti, non per sapere come stai tu, ma per sapere come si sta senza di me. Io non sono mai stato senza di me e quindi non lo so. Vorrei sapere cosa si prova a non avere me che mi preoccupo di sapere se va tutto bene, a non sentirmi ridere, a non sentirmi canticchiare canzoni stupide, a non sentirmi parlare, a non sentirmi sbraitare quando mi arrabbio, a non avere me con cui sfogarsi per le cose che non vanno, a non avermi pronto lì a fare qualsiasi cosa per farti stare bene. Forse si sta meglio, o forse no. Però mi e venuto il dubbio e vorrei anche sapere se ogni tanto questo dubbio è venuto anche a te. Perché sai, io a volte me lo chiedo come si sta senza di te, poi però preferisco non rispondere che tanto va bene così. Ho addirittura dimenticato me stesso per poter ricordare te.»
Soren Kierkegaard, Diario di un seduttore
Ricordando Paolo Limiti
Ha scritto i bellissimi testi di molte canzoni…questa è una delle mie preferite, nell’interpretazione di Mina
Segreti e silenzi
Quando una persona mi piace moltissimo
non ne dico mai il nome a nessuno :
è come rinunciare a una parte di lei.
Ho imparato ad amare il segreto :
mi sembra l’ unica cosa che può
rendere misteriosa – o splendida –
la vita moderna.
Oscar Wilde
E mi manchi
Succede che una mattina ti svegli e vedi che fuori non piove più e allora ti chiedi – beh? Che è successo?
Ecco, quella mattina successe a me che da tanto tempo non amavo, ma non per chissà quale motivo, non amavo e manco io sapevo il motivo preciso, ma forse sì che lo sapevo: che senso poteva avere per me l’amare se non amare che te?
Quella mattina io avevo una gran voglia di dirti – ti amo -, almeno credo.
Quanto mi manchi amore mio. Certo, io lo sapevo già dentro di me di questa cosa che mi manchi ma l’ho capita bene solo quando fuori ha smesso di piovere e a me mi giocava il cuore.
È che prima avevo la scusa per non vedere il sole, pioveva, mica era colpa mia, ma le nuvole ora sono andate via portandosi dietro tutte le scuse. Ok, tu non ci sei, ok, ma va bene, va bene anche se va male, va bene perché io ti amo lo stesso.
C’è come un diario che ho chiuso nel petto, sento che devo tirarlo fuori e devo farlo senza schemi se non gli schemi che mi porto nel cuore.
Ah! Mannaggia mannaggia, mannaggia al cuore che non sa far calcoli ma che pure spesso sbaglia i conti.
Ma io non ero riuscito a dirti quel ti amo.
Era una primavera quando andasti via, lo ricordi? Io cercavo di farmi forza, la vita andava avanti sentivo dirmi da tutti.
Quando te ne sei andata io mi sono un po’ rincoglionito.
Mi persi, diciamoci la verità, perdendoti io mi persi. E tu? Ah! No scusa, non volevo chiederti se anche tu ci sei rimasta male, era un e tu come stai? Roba del genere insomma, un e tu cosa fai ora? Che stai facendo adesso, adesso è in questo momento, che stai facendo in questo momento? Non mi interessa cosa stai facendo nella vita, io non ci sono più nella tua vita, cosa vuoi che mi importi?
Sicuramente starai facendo tante cose belle, bellissime, ma a me importa adesso, adesso adesso mi importa, adesso in questo momento. Io adesso ti sto pensando facendomi del male. Io vorrei non pensarti ed averti invece qui, qui vicino a me.
Ma non ci sei. Non voglio pensarti ma non lasciarmi solo, non andare via anche dai miei sogni.
Tu dolce ferita mi tagli il cuore, ma io sorrido sai? Non mi fa male questo maledetto male. Sorrido perché dentro ci sei te e ti vedo, almeno posso vederti. Ti vedo pure che dai un bacio a quello lì e questo un pò a dirti il vero mi fa incazzare.
Ma tu non lasciarmi lo stesso, tienimi con te pure se sono incazzato.
Tienimi con te. Non mi fa male la ferita al cuore, no, non mi fa male, sei tu che non ci sei, non andare via oltre.
A volte mi sento tanto forte da poterti dire che non esisti senza di me.
Ma non è vero sai? È che ci provo ad andare avanti, bisogna comunque provarci o almeno provo a convincermi che bisogna provarci.
Fossi riuscito a dirti ti amo oggi me ne fotterei della pioggia che smette o che non smette, facesse cosa cavolo vuole la pioggia, fossi riuscito a dirti ti amo io ora non sarei qui a pensare a dimenticarti senza cancellarti.
Sei incancellabile tu.
Sei come quelle macchie di inchiostro sul taschino della camicia, solo che sulla camicia ci puoi mettere una giacca, un maglioncino, ma su di te cosa ci posso mettere?
Charles Bukowskj
E ritrovare gli amici del posto
l’odore del bosco
quel vento caldo che mi spettina piano
le serate su un divano
a cantare canzoni d’amore
senza sapere le parole,
e poi ridere, scherzare
farsi raccontare
le mille storie del cuore.
Sorseggio un pò il caffé
penso molto a te
il tempo passa in fretta ma
mi manchi,
un’altra sigaretta
ma mi manchi,
tiro il fiato e guardo su,
circondata dal silenzio,
gli amici intorno a me
io parlo e penso a te,
sorrido, abbasso gli occhi e tu
mi manchi,
le carte sopra il tavolo
e mi manchi
gioco il cuore, penso a te,
se tu fossi qui con me
sarebbe un’emozione
un splendida occasione
per ricominciare
ma è solo un’illusione,
soltanto un’illusione
da dimenticare.
Sorseggio un pò il caffé
e penso ancora a te,
la luce che rinasce
tu mi manchi,
tra poco sarà giorno
e tu mi manchi,
vedo il sole andare su
circondato dal silenzio,
gli amici intorno a me,
saluto e sento che
è stato bello ritrovarsi ancora,
la festa ormai è finita già da un’ora,
torno a casa e penso che
ci mancavi solo te.
Mina
Mina compie oggi 75 anni. Mia madre mi rallegrava cantando “Le mille bolle blu”,
canzone che mi faceva sempre tanto ridere assieme a “Tintarella di luna”…poi Mina è maturata come interprete, diventando in assoluto la migliore nel panorama italiano. Qui una delle canzoni che più apprezzo (ma le sue sono TUTTE belle, grazie alla sua voce inconfondibile).
C’è che stasera non mi va
di fingere con te
stavolta parlo e non mi pento
è inevitabile tra noi
chiarire prima o poi
rischiando tutto in un momento
credimi, non so più vivere così
non so dove ho sbagliato
so di averti dato
tutto il bello che ho di me
la cena è pronta già da un po’
sai che t’aspetterò
leggendo sul divano bianco
è un abitudine oramai
tra poco arriverai
portando il tuo sorriso stanco
guardati, va tutto bene tra di noi
ma ti si legge in faccia
che per altre braccia
tu dimentichi chi sei
che male che mi fa
mi fai sentire stupida
per me amore è solo verità
sempre, sempre
no, bugiardo no
piuttosto ti combatterò
basta favole
ed io che ascolto con amore
ore…ore…e ore
non ci pensi mai
che forse mi rimpiangerai
tu rispettami
oppure perdimi se vuoi….vuoi…
c’è che stasera non m i va
di piangere per te
ti guardo e non ti riconosco
chissà che qualche volta anch’io
non faccia a modo tuo
e poi magari ti ferisco
odiami, almeno sento che ci sei
io te lo leggo in faccia
che tra le mie braccia
tu col cuore te ne vai
che rabbia che mi fa
sentirmi così stupida
per me è amore se c’è verità
sempre, sempre
no, bugiardo no
non dirmi ancora cambierò
basta favole
ed io che aspetto con amore
ore…ore…e ore
non ti accorgi mai
di tutto il male che mi fai
tu rispettami
oppure perdimi se vuoi…….vuoi…
vuoi?! ……se … vuoi
Ballata d’autunno
Piove, là dietro la finestra
piove, piove
sopra quel tetto rosso e spaccato
sopra quel fieno tagliato
sopra quei campi piove.
Si gonfia di grigio il cielo
e il suolo è già grondante di foglie
si è profumato d’autunno.
Il tempo che si addormenta
mi sembra
un bimbo in braccio al vento
come in un canto d’autunno.
Una ballata d’autunno
un canto triste di malinconia
vien dietro al giorno che va via,
una ballata in autunno
pregata a voce spenta
soffiata come un lamento
che canta il vento.
Piove, là dietro la finestra
piove, piove
sopra quel tetto rosso e spaccato
sopra quel fieno tagliato
sopra quei campi piove.
Io ti racconterei
che sta bruciandosi l’ultimo legno al fuoco e poi
che la mia povertà
è anche di un sorriso ché sono sola ormai
ma io da sola son finita
e ti racconterei
che i giovani son giovani perché non sanno mai
che no, non è la vita
la bella cosa che, che loro gira in mente
io questo lo so.
Magari si potesse del domani e del passato
dire quello che ho sognato.
Ma il tempo passa
e ti canta, pian piano
con voce sempre più stanca
una ballata d’autunno.
Piove, là dietro la finestra
piove, piove
sopra quel tetto rosso e spaccato
sopra quel fieno tagliato
sopra quei campi piove.
Il corvo
Era una cupa mezzanotte e mentre stanco meditavo
Su bizzarri volumi di un sapere remoto,
Mentre, il capo reclino, mi ero quasi assopito,
D’improvviso udii bussare leggermente alla porta.
“C’è qualcuno” mi dissi ” che bussa alla mia porta
Solo questo e nulla più. ”
Ah, ricordo chiaramente quel dicembre desolato,
Dalle braci morenti scorgevo i fantasmi al suolo.
Bramavo il giorno e invano domandavo ai miei libri
Un sollievo al dolore per la perduta Lenore,
La rara radiosa fanciulla che gli angeli chiamano Lenore
E che nessuno, qui, chiamerà mai più.
E al serico, triste, incerto fruscio delle purpuree tende
Rabbrividivo, colmo di assurdi tenori inauditi,
Ebbene ripetessi, per acquietare i battiti del cuore:
“È qualcuno alla porta, che chiede di entrare,
Qualcuno attardato, che mi chiede di entrare.
Ecco: è questo e nulla più”
Poi mi feci coraggio e senza più esitare
“Signore, ” dissi “o Signora, vi prego, perdonatemi,
Ma ero un po’ assopito ed il vostro lieve tocco,
Il vostro così debole bussare mi ha fatto dubitare
Di avervi veramente udito”. Qui spalancai la porta:
C’erano solo tenebre e nulla più. ”
Nelle tenebre a lungo, gli occhi fissi in profondo,
Stupefatto, impaurito sognai sogni che mai
Si era osato sognare: ma nessuno violò
Quel silenzio e soltanto una voce, la mia,
Bisbigliò la parola “Lenore” e un eco rispose:
“Lenore”. Solo quello e nulla più.
Rientrai nella mia stanza, l’anima che bruciava.
Ma ben presto, di nuovo, si udì battere fuori,
E più forte di prima. “Certo” dissi “è qualcosa
Proprio alla mia finestra: esplorerò il mistero,
Renderò pace al cuore, esplorerò il mistero.
Ma è solo il vento, nulla più. ”
Allora spalancai le imposte e sbattendo le ali
Entrò un Corvo maestoso dei santi tempi antichi
Che non fece un inchino, né si fermò un istante.
E con aria di dame o di gran gentiluomo
Si appollaiò su un busto di Palladie sulla porta
Si posò, si sedette, e nulla più.
Poi quell’uccello d’ebano, col suo austero decoro,
Indusse ad un sorriso le mie fantasie meste,
“Perché” dissi “rasata sia la tua cresta, un vile
Non sei, orrido, antico Corvo venuto da notturne rive.
Qual è il tuo nome nobile sulle plutonie rive? ”
Disse il Corvo: “Mai più”.
Ma quel corvo posato solitario sul placido busto,
Come se tutta l’anima versasse in quelle parole,
Altro non disse, immobile, senza agitare piuma,
Finché non mormorai: “Altri amici di già sono volati via:
Lui se ne andrà domani, volando con le mie speranze”
Allora disse il Corvo: “Mai più”.
Trasalii al silenzio interrotto da un dire tanto esatto,
“Parole” mi dissi “che sono la sua scorta sottratta
A un padrone braccato dal Disastro, perseguitato
Finché un solo ritornello non ebbe i suoi canti,
Un ritornello cupo, i canti funebri della sua speranza:
Mai, mai più”.
Rasserenando ancora il Corvo le mie fantasie,
Sospinsi verso di lui, verso quel busto e la porta,
Una poltrona dove affondai tra fantasie diverse,
Pensando cosa mai l’infausto uccello del tempo antico.
Cosa mai quel sinistro, infausto e torvo anomale antico
Potesse voler dire gracchiando “Mai più”.
Sedevo in congetture senza dire parola
All’uccello i cui occhi di fuoco mi ardevano in cuore;
Cercavo di capire, chino il capo sul velluto
Dei cuscini dove assidua la lampada occhieggiava,
Sul viola del velluto dove la lampada luceva
E che purtroppo Lei non premerà mai più.
Parve più densa l’aria, profumata da un occulto
Turibolo, oscillato da leggeri serafini
Tintinnanti sul tappeto. “Infelice” esclamai “Dio ti manda
Un nepente dagli angeli a lenire il ricordo di Lei,
Dunque bevilo e dimentica la perduta tua Lenore! ”
Disse il Corvo “Mai più”.
“Profeta, figlio del male e tuttavia profeta, se uccello
Tu sei o demonio, se il maligno” io dissi “ti manda
O la tempesta, desolato ma indomito su una deserta landa
Incantata, in questa casa inseguita dall’Onore,
Io ti imploro, c’è un balsamo, dimmi, un balsamo in Galaad? ”
Disse il Corvo: “Mai più”.
“Profeta, figlio del male e tuttavia profeta, se uccello
Tu sei o demonio, per il Cielo che si china su noi,
Per il Dio che entrambi adoriamo, dì a quest’anima afflitta
Se nell’Eden lontano riavrà quella santa fanciulla,
La rara raggiante fanciulla che gli angeli chiamano Lenore”.
Disse il Corvo: “Mai più”.
“Siano queste parole d’addio” alzandomi gridai
“uccello o creatura del male, ritorna alla tempesta,
Alle plutonie rive e non lasciare una sola piuma in segno
Della tua menzogna. Intatta lascia la mia solitudine,
Togli il becco dal mio cuore e la tua figura dalla porta”
Disse il Corvo: “Mai più”.
E quel Corvo senza un volo siede ancora, siede ancora
Sul pallido busto di Pallade sulla mia porta.
E sembrano i suoi occhi quelli di un diavolo sognante
E la luce della lampada getta a terra la sua ombra.
E l’anima mia dall’ombra che galleggia sul pavimento
Non si solleverà “Mai più” mai più.
Cosa ne pensate?