Nostalgia
È la nostalgia a dare colore al passato. C’è un proficuo esercizio d’amore per animare la nostalgia nell’intimità. Chiudete gli occhi e concentratevi a ricordare a una a una le voci delle persone più care e assenti. Per dare più forza a quell’esercizio ripartite dalla memoria della vostra voce che li chiama. Li vedrete apparire e sentirete la loro voce che vi parla e il loro sguardo che vi guarda. Questa è l’arte di procurarsi i sogni, di rianimare il passato e di con-vocare gli assenti in un simposio di nostalgia. Un esercizio difficile e delicato, come risalire la corrente, sfidando le rapide impetuose che invece trascinano verso il basso, nella valle dell’oblio. La pietà della vita è protesa a risalire la corrente del tempo. La nostalgia è quel dolore dolcissimo che pervade l’anima per una lontananza che sentiamo vicina e per un’assenza che sentiamo presente.
Marcello Veneziani
Centaura XLI
Siamo figli di catene infinite di morti
e ne portiamo i segni, il richiamo e la sorte.
Marcello Veneziani
Foto di San Bernardino alle Ossa, Milano
Centaura LVIII
Quando muore chi ami, non lo perdi del tutto
ma lo incorpori dentro di te
come una gravidanza senza parto
che può durare una vita.
Marcello Veneziani
In ricordo del mio babbo, che oggi avrebbe compiuto gli anni
Vuoti a perdere
Leggo un articolo su un quotidiano, dove parla Giuseppe Spagnuolo, l’unico abitante di Roscigno Vecchia, un paesino nel Cilento in provincia di Salerno abbandonato da tutti i suoi abitanti, e per questo intervistato perfino da National Geographic.
Già, perché moltissime persone lasciano i paesini per recarsi in città o, almeno, in paesi molto più grandi.
Così, piano piano, molti bellissimi borghi si trasformano in paesi fantasma.
Case che piano piano si svuotano, un fenomeno che riguarda praticamente tutta la nostra nazione.
Che sconforto vedere finestre senza vetri ed ante, come orbite vuote… Che tristezza vedere che, piano piano, la natura si impossessa nuovamente di questi borghi, ricoprendo di erba ed arbusti le stradine, che diventano impraticabili, mentre i rampicanti ricoprono le pareti e le sgretolano… Che malinconia aggirarsi tra vecchi edifici che diverranno presto dei ruderi, mentre intorno si aggira solo un silenzio irreale…
Ed allora mi viene in mente una “Centaura” di Marcello Veneziani, che riporto qui sotto.
LIV
Case senza famiglia,
disabitate d’anime, nascite e cuori;
non case, ma vuoti a perdere.
Parlate agli uccelli – Marcello Veneziani
Vorrei fare un discorsetto serio a quella razza superiore che giudica dall’alto il mondo, il prossimo e chi non la pensa come loro. Dico alla sinistra e alle loro insopportabili autocertificazioni di superiorità. Lo dico dopo la catastrofe elettorale del 4 marzo, la caduta di Renzi e del renzismo, l’esodo delle Boldrini, dei Grasso, dei governanti dalle istituzioni. Ma lo dico partendo alla larga e da lontano, da altri ambiti non politici. Per esempio, io non ce l’ho con le attrici, gli attori, i registi e i cineasti di sinistra che s’indignano contro il sessismo e le violenze alle donne e poi non solo tolleravano ma trescavano coi produttori maiali e il loro disgustoso mercato del sesso; molti di loro sapevano, facevano e tacevano. Io non ce l’ho poi contro i cantanti di sinistra che portavano i soldi guadagnati in nero in Svizzera o in qualche paradiso fiscale, dopo aver predicato per la giustizia e i più deboli.
E ancora. Io non ce l’ho con gli intellettuali di sinistra che hanno goduto di privilegi, cattedre e carrozzoni coi soldi pubblici da cui mungere soldi, viaggi e premi, o che pretendono di essere pagati in nero, salvo tuonare contro i privilegi e i ricchi. Io non ce l’ho con gli intellettuali e gli scrittori di sinistra sorpresi a plagiare testi altrui. Non ce l’avevo nemmeno con gli intellettuali di sinistra che furono fascisti, ebbero cattedre, giurarono fedeltà al regime e alle leggi razziali, ma esercitarono poi un intransigente magistero antifascista e toglievano la parola e la dignità a chi non si professava antifascista. Io non ce l’ho con tutti loro, a volte amo le loro canzoni, leggo i loro testi, mi confronto con le loro idee, vedo i loro film e in ogni caso so distinguere il loro lato umano miserabile dalle loro qualità, che riconosco quando non sono palloni gonfiati. No, non ce l’ho con loro.
Ce l’ho col loro ditino. Quel ditino ammonitore che ruota nell’aria quando pretendono d’insegnare agli altri la morale e la coerenza che non praticano o peggio quando disprezzano, ignorano, escludono chi sta a destra, i populisti o i cattolici, i moderati, comunque non nella loro brigata. È quel ditino che decreta solo per appartenenza i lodati e i dannati, le opere e gli autori da recensire e da premiare, e quelli da ignorare e vituperare. Ma ora che sappiamo quanto prendevano, come prendevano, dove portavano, da dove copiavano, come si facevano strada, a prezzo di cosa, quel ditino non lo sopporto più. Non voglio vedervi in galera, alla gogna, censurati, ma col ditino abbassato. Non li mettiamo all’indice, ma all’indice voi non mettete più nessuno.
Fatta quest’ampia premessa sul brutto vizio della sinistra “culturale” scendiamo sul terreno della sinistra politica o di quel che ne resta. Anche qui non ce l’ho con la sinistra di governo che ci ha lasciato in eredità un paese a pezzi, ingovernabile, coi grillini primo partito e il rancore come sentimento pubblico prevalente. Salvo inveire contro i populisti, fingendo di non sapere che tutto quanto essi denunciano come abnorme, patologico, eversivo – dal neofascismo presunto al nazismo immaginario, dai berlusconiani ai leghisti fino ai grillini – è nato in reazione e per rigetto al loro modo di essere, di fare e di governare, alla loro presunzione e alla loro cecità, all’aver ceduto la dignità di un paese, all’aver barattato la morale tradizionale col moralismo ideologico bigotto, all’aver tradito le istanze popolari e sociali senza mai diventare classe dirigente, ma restando sempre – come diceva Gramsci – classe dominante. E lo dico riferendomi ad ogni sinistra: infatti l’unica cosa che accomuna Renzi ai suoi nemici di sinistra e alla vecchia casta radical-progressista o ex-pci, compreso l’episcopato a mezzo stampa e tv, è la spocchia, l’arroganza, il complesso di superiorità. Quella che Giacomo Noventa già nei primi anni 50 definiva “boria”. O “l’albagia” come ama dire di sé e del suo teo-narcisismo il marcescibile Eugenio Scalfari.
Vi sorprenderà, ma io credo che il segreto del fallimento di Renzi non sia stato quello di essersi discostato dalla sinistra ma, al contrario, di esserne stato figlio e prototipo. Renzi ha perduto per la sua arroganza, per la presunzione di usare gli altri come corrimano o materiale di scarto; per il culto di sé, l’autoincoronazione di Migliore e di Predestinato che può permettersi tutto. Anche di piazzare mezze calzette al potere. In una parola, si è reso indisponente per quel vizio antico della sinistra di ritenersi superiori e rivelarsi antipatici – per dirla con Luca Ricolfi. Renzi e il suo cerchio magico si sono resi insopportabili, così come fu per i D’Alema e gli altri sinistrati, fino ai radical chic di lotta e di salotto.
Non mettiamo all’indice nessuno, non alziamo il ditino contro nessuno. Ma ora che siete ridotti a quattro ossa elettorali, cenere politica e fumo intellettuale, smettetela di dare lezioni agli altri, come ancora fa il Frankenstein creato da Renzi, quel Martina che spiega al mondo come si pensa seguendo una visione… Erano insopportabili le lezioni col ghigno dei trionfatori, ma sono insopportabili e grottesche le lezioni con la boria dei nobili decaduti, la vanteria dell’élite sconfitta dalla vile plebe populista, che lascia le ultime istruzioni alla servitù e ai parvenu. Non fate più i maestrini, please.
Siate francescani, e non nel senso di rifugiarvi sotto la tonaca di Papa Francesco. Recuperate del poverello l’umiltà e l’ascolto. E come Francesco, parlate agli uccelli, perché la gente non vi vuole più sentire”.
Marcello Veneziani
Incanto
“Spio la dolcezza di una coppia d’anziani in viaggio e ne colgo la raggiante intimità. Il segreto non è invecchiare insieme ma il contrario, ritrovare intatta negli occhi dell’altro la propria giovinezza di un tempo. Tu sei testimone e intimo complice che sono stato ragazzo. Tu sai la mia identità segreta che maschero nella vecchiaia.”
Marcello Veneziani – La Sposa Invisibile
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Tempo
I
Vivere è una perdita di tempo.
Morire è una perdita di spazio.
LXXII
Il solo esistere è un vivere spento.
Non c’è dignità nell’assoluta libertà
ma nel disegno intelligente di vita.
Essere è avere un destino.
(Marcello Veneziani – Centaura I – LXXII)
La Crante Cermania
Vabbè , non è un economista, e non lo sono neppure io, però Marcello Veneziani dice, molto più educatamente di quanto abbia fatto io, quello che avevo scritto qualche tempo fa.
Quello che leggerete è un corso intensivo di economia surreale, ma non troppo,per salvare la Grecia, l’Italia e l’Europa.
Cominciamo dalla mozione degli affetti e dalla memoria storica: la Grecia non può uscire dall’Europa, perché è l’Europa, anzi il suo grembo.
Non si abbandona la Madre per gli interessi. Torniamo a Foscolo e Santorre di Santarosa che andò a morire per la Grecia. Certo, c’è un abisso tra i greci antichi e i greaculi moderni, ma c’è pure un abisso tra i romani antichi e i romaneschi d’oggi. Piuttosto che far uscire la Grecia dall’euro, entriamo noi nella dracma, una moneta gloriosa e antica.
Ma avviciniamoci dal paradosso alla realtà: perché non svalutare l’euro fino a pareggiarlo nel cambio col dollaro? Sarebbe la salvezza di tre quarti d’Europa, volerebbero le esportazioni, il debito non ci stritolerebbe, faremmo come abbiamo fatto per decenni. Meglio il trauma della svalutazione che la tragedia annunciata.
Qual è l’ostacolo alla svalutazione? L’eccesso di salute della Germania. Soluzione subordinata, ratifichiamo l’Europa a due velocità: separiamo dall’area germanica il destino dell’Europa mediterranea, Grecia, Spagna, Italia, Francia e Portogallo, più minori.
Resta un paradosso: il problema dell’Europa oggi non è la Grecia, è la Germania che scoppia di salute e fa scoppiare noi. Che dite, le chiediamo gentilmente di uscire? Esagero. Ma se fosse la Germania a doversi adeguare al resto d’Europa e non noi? Invertiamo la clessidra dello spread. Gli ultimi saranno i primi, si ricomincia dalle origini.
(il Giornale, 22 maggio 2012 – Cucù di Marcello Veneziani)
Vero, la Germania è troppo forte economicamente, e se pur fa bene a chiedere che l’area Euro rispetti determinati criteri di bilancio, non può nemmeno pretendere che ci si strangoli per far piacere a Frau Merkel.
E’ che prima di costruire un grande stato, hanno costruito un’unione monetaria. Però non necessariamente grande vuol dire forte, potente… E’ il caso dell’Europa: una superNazione che si è rivelato il classico gigante dai piedi di argilla. Prima ancora di amalgamare le varie nazionalità, di creare un vero spirito europeo, hanno voluto fare un’unione economica, composta inizialmente di dodici stati, le dodici stelle iniziali, con paesi dalla differente potenzialità economica, dalla forte Germania alla debole Grecia che, pur di entrare nell’area Euro ha perfino truccato i bilanci. Poi sono stati aggregati altri stati dell’Est europeo, anch’essi con un’economia debole, il che ha solo causato un’indiscriminata emigrazione di questa gente nei paesi ritenuti più ricchi, ma con il solo risultato di indebolire le nazioni che hanno accolto questi immigrati, a tutti gli effetti cittadini europei.
Così adesso abbiamo un gigante malaticcio, solo lo scheletro, la Germania, è forte e detta le sue leggi, mentre chi se la cava meglio sono gli stati piccoli non dell’Unione Europea (come la Svizzera) o quelli che puer europei non hanno aderito all’area Euro, Danimarca e Regno Unito ad esempio.
Cosa ne pensate?