Gastarbeiter
Nei nostri giretti in Germania abbiamo incontrato spesso italiani trasferitisi là per lavoro. Sono i cosiddetti Gastarbeiter, ossia, traducendo alla lettera, “lavoratori ospiti”, di fatto invece sinonimo di “immigrati”. Alcuni vivevano là da anni, molti, i più giovani erano là da poco tempo.
A Stoccarda abbiamo incontrato un pugliese che lavorava alla Mercedes; a Düsserdorf un giovane torinese che faceva il cameriere in un ristorante; a Francoforte un ragazzo siciliano che faceva il netturbino; a Bispingen una cameriera sarda; a Monaco una signora veneta che dopo tre rapine subite nel suo esercizio in Italia si è trasferita in Germania. Per non parlare dei ristoratori che hanno aperto ristoranti italiani: ricordo ad esempio Peppino, campano, a Erlangen e Luigi, pugliese, a Bad Windsheim. Tutti hanno detto di trovarsi benissimo: qualcuno ovviamente ha nostalgia di casa, ma solo uno ha espresso il desiderio di ritornare in Italia.
Lo stesso per altri paese nordici che abbiamo visitato: Olanda e Danimarca in testa.
Tanti si sono portati appresso la famiglia, altri si sono accasati con gente del posto, rispettando le leggi ed usanze locali.
Questo per evidenziare come molti italiani ormai preferiscano emigrare in quanto il nostro paese non offre più opportunità, e questo è palese vedendo i dati della disoccupazione specie giovanile ed il numero di piccoli negozi o grandi fabbriche che chiudono per mancanza di una seria politica economica di sostegno al lavoro, non certo quella dei voucher che considera lavoratore anche chi abbia solo un’ora di lavoro al suo attivo.
A quanti espatriano per lavoro o per studio, si aggiungono quei pensionati che titolari di un vitalizio troppo basso riescono a vivere decentemente in paesi in cui il costo della vita è meno alto che da noi.
Solo lo scorso anno sono usciti dai nostri confini oltre 107mila italiani. Quest’anno circa 50mila ragazzi hanno scelto università estere per laurearsi, un decimo dei quali negli Stati Uniti: difficilmente costoro rientreranno in Italia e non posso che dar loro ragione. Ma intanto noi ci stiamo impoverendo di professionalità.
In compenso gli emigrati sono stati “rimpiazzati” da 110mila extracomunitari, la maggior parte dei quali senza arte né parte. Li chiamiamo “profughi “, ma ben pochi di loro hanno diritto all’asilo (politico, religioso od umanitario che sia).
Non sono tra quanti gridano al complotto o al noto piano Kalergi, però è evidente come sia in atto una vera e propria sostituzione etnica: già in molte scuole il numero di studenti non italiani (pur se naturalizzati) è superiore a quello quello degli autoctoni, e di certo non può bastare quella cavolata del “Fertility day” per incrementare le “nostre ” nascite.
Di per se stesso il multietnicismo non è un male: sono varie etnie che però convivono pacificamente unite da una medesima cultura (per questo gli italiani vivono tranquillamente nel nord Europa). Invece il guaio risiede nel multiculturalismo che una certa politica ci IMPONE. Se le differenze culturali (specie nel campo religioso e del ruolo femminile ) sono troppo evidenti la società si sfascia sotto il peso delle rivendicazioni o, ancor oggi, delle pretese e delle prevaricazioni.
È quindi urgente che il governo dia un giro di vite all’immigrazione selvaggia: questa, e non la battaglia referendaria, è la maggior preoccupazione dei cittadini.
Cosa ne pensate?