Cambio di rotta
Come ho scritto l’altro giorno, dopo tanti anni ho smesso di acquistare “il Giornale”, dopo gli articoli livorosi contro Matteo Salvini ed ora contro il prevedibile, prossimo Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte.
Ora sto provando con “la Verità”.
Sia ben chiaro: non cerco un quotidiano che decanti le lodi dei politici che ho votato, ma neppure voglio un giornale che utilizzi contro un avversario la stessa macchina del fango che Silvio Berlusconi denunciava nei confronti di molte testate (Repubblica, il Fatto Quotidiano etc), ma che non si fa scrupolo di utilizzare contro Salvini, – diventato scomodo in quanto ha minato la sua leadership – e contro altri avversari.
Cerco una voce critica, che esponga obiettivamente sia il bene che il male, che spieghi esaurientemente quanto succede osservando le situazioni da vari punti di vista, senza scadere nel personale e nelle “piccole” vendette individuali. Qualcuno che mi metta in grado di capire chiaramente le cose, permettendomi quindi di scegliere in piena autonomia, anche da punti di vista differenti dai miei.
Adesso, ad esempio, di questo nuovo governo non mi piacciono diverse cose, guardacaso provenienti tutte dall’area grillina. La chiusura dell’ILVA, ad esempio, o quella prospettata della Piaggio in Liguria., per non parlare della ventilata sospensione dei lavori della TAV.
Inoltre ho dato una scorsa al “contratto” tra le due forze politiche, ma non vedo nulla di stampo liberale, anzi, noto un accentuarsi dello statalismo,mentre altre buone iniziative sono solo accennate. Mi ripropongo di leggerle con calma e con maggior attenzione.
Una cosa è certa: che il livore di certe parti politiche sta aumentando. È ridicolo sentire affermare da Maria Elena Boschi che vigilerà sui risparmi degli italiani; è penoso sentire Martina che dice che darà ascolto al paese reale, quel paese reale che fino ad ora è rimasto inascoltato e che ha sonoramente bocciato il PD alle elezioni.
Per adesso mi accomodo ed aspetto.
La voce del padrone
Una settimana in Germania, girando tra Offenbach e Francoforte.
Pensavo, al ritorno, di trovare un governo bell’e fatto, invece mi toccherà aspettare, se va bene, fino a lunedì prossimo. Logico che mi tenessi comunque informata, tramite internet, delle vicende italiane e di tutto il resto, però non mi aspettavo tanti tira e molla.
L’unica cosa che mi ha fatto imbufalire è stato “il Giornale”.
Ovvio che tenga bordone a Berlusconi, ma una caduta di stile così grossolana non me la sarei proprio aspettata, con delle bassezze inimmaginabili per screditare Salvini a vantaggio del “padrone”.
Innanzitutto il titolo di ieri.
“Primo flop del governo, l’imprenditore sfrattato”. Forse l’estensore dell’articolo non si è reso conto che al governo c’è ancora Gentiloni e che Salvini e Di Maio non è che potessero fare molto, in ogni caso. Naturalmente nell’articolo si spiega un pochino meglio come è andata la faccenda, ma il titolo resta comunque fuorviante.
Poi la prima pagina di oggi .
“Premier nessuno. Al via il governo da Scherzi a parte”.
E giù con la macchina del fango, quella che lo stesso Berlusconi denunciava nei confronti di Repubblica, Il Fato quotidiano ed altre testate, ma che non si fa scrupolo di utilizzare contro chi non sostiene la sua leadership.
E con questo ho deciso di non comperare più tale quotidiano. Montanelli si rivolterebbe nella tomba.
Personalmente non sono contenta dell’accoppiata Salvini-Di Maio, con idee diametralmente opposte, e ritengo il M5S troppo statalista ed assistenzialista e reputo responsabile di questa situazione il presidente Mattarella: se avesse affidato l’incarico a Salvini quale rappresentante del partito di maggioranza nell’ambito della coalizione che ha vinto le elezioni, il problema della paura per i “populismi” non si sarebbe presentato, in quanto alcune derive leghiste sarebbero state mitigate da Forza Italia e Fratelli d’Italia. Però, guarda caso, tutto il fango che il Giornale sta gettando su Salvini è iniziato dal momento in cui Berlusconi è stato riabilitato, ridiventando candidabile proponendosi addiritura quale premier. La riabilitazione è giunta in un momento assai strano, fatto apposta per dividere il CDX nel momento in cui anche il PD sta passando una crisi non da poco. E sembra anche assai strano che i poteri forti europei che tanto hanno fatto per affossare a suo tempo il leader di FI, ora lo cerchino e lo appoggino, in quanto filoeuropeista ed amico di Frau Merkel, pur di non avere al governo italiano elementi come Salvini.
Però Berlusconi ormai politicamente conta poco: il suo partito è in caduta libera, e Renzi, sul quale contava neppure troppo velatamente, è in fase discendente pure lui. In Germania la Merkel non è più tanto ben vista, ed ha faticato per formare un governo (molto più di quello che stiamo faticando noi). Berlusconi e Renzi sono i rappresentanti di un potere morente e in disgregazione e sferrano gli ultimi colpi di coda di una corrente che ha concluso il suo ciclo politico che sta per essere cancellata dal panorama parlamentare.
Quasi mi aspetto che Mattarella rifiuti il nominativo proposto congiuntamente dalla Lega e dal M5S, magari affidando l’incarico al solo Di Maio, ritenuto, non so a quale titolo, più affidabile di Salvini, che quest’ultimo rifiuti e che si vada a nuove elezioni.
Romanticismo…
Dallo scorso mese “il Giornale” pubblica lettere d’amore di vari, illustri personaggi. Ce ne sono di romantiche, di passionali, anche di ciniche e piene di disillusioni, ma credo che questa di Albert Einstein le batta tutte. Sembra che si riferisca ad un contratto di lavoro di una domestica.
rosa
Giusto tre anni fa scrivevo il mio parere sulle quote rosa, un ghetto che alcune donne vogliono deliberatamente costruirsi occupando determinate posizioni solo in virtù del proprio sesso e non per il proprio merito.
https://ombradiunsorriso.wordpress.com/2011/03/12/color-di-rosa/
Allora si parlava di quote al 30% divenute ora il 50% perc
Giusto il 12 marzo di tre anni fa scrivevo il mio parere sulle quote rosa, un ghetto che alcune donne vogliono deliberatamente costruirsi occupando determinate posizioni solo in virtù del proprio sesso e non per il proprio merito.
https://ombradiunsorriso.wordpress.com/2011/03/12/color-di-rosa/
Allora si parlava di quote al 30% divenute ora il 50% perché, come dice con la sua solita spocchia saccente la Boldrini il 50% della popolazione femminile è costituito da donne (sigh… chissà l’altro 50%sempre della popolazione femminile da chi è composto!).
)
Personalmente non mi interessa se chi è demandato a rappresentarci in parlamento sia uomo, donna o gay, bianco o di colore, alto o basso, mi basta che sia onesto e capace, il resto sono solo dettagli di nessuna importanza. Tremo al pensiero che, per ottemperare alle quote, si riempiano le Camere di gente come Bindi, Madia e la stessa Boldrini. Però, tornando alle donne, mi è piaciuto uno stralcio di un articolo di Salvatore Tramontano sul Giornale di ieri, quando la solita Boldrini dice all’Annunziata che le quote rosa sono un vantaggio per il paese. “Tutte e due hanno raggiunto il vertice delle loro carriere. Se dicono che il loro successo è dovuto solo a “quote privilegiate” non rispettano il proprio lavoro. Non credono in se stesse. Oppure confessano che stanno là per grazia ricevuta.”
Vignetta di Baldelli da “il Giornale” del 12 marzo 2014, sì, proprio lui, quello delle spassose imitazioni compreso quella della Boschi.
Vostra Eccellenza che mi sta in cagnesco…
Da una intercettazione… (ripresa da “il Giornale”)
“Antonio Ligresti: Anna Maria? Sono Antonino
Anna Maria Cancellieri . Qui non c’è nessuna Anna Maria. Mi chiami eccellenza.”
Adesso non voglio difendere a spada tratta la Cancellieri, però non mi sembra opportuno che un ministro abbia delle preferenze per un carcerato piuttosto che per un altro, date le migliaia di persone che stazionano nelle patrie galere. Certamente per la Ligresti c’erano tutte le condizioni per la scarcerazione viste le precarie condizioni di salute, però il punto principale, per mio conto, è un altro. NON deve esserci la carcerazione preventiva, almeno per questo tipo di reati. Se poi il caso Ligresti si dovesse rivelare simile, se non uguale, al caso Scaglia? E poi non c’è equità: abbiamo investitori drogati ed alcolizzati liberi, abbiamo uno Schettino senpre libero e voi, con un processo ancora da istruire e per dei reati di natura economica tenete in carcere della gente?
Povera Italia
Anzi, povero italiano, visto che perfino i traduttori ormai commettono sempre più errori di grammatica, sintassi e, maggior orrore, ortografia!
Ma non si potrebbe ripristinare la figura del correttore di bozze invece di affidarsi ai correttori automatici dei PC?
Per dovere d’ufficio (?)
In montagna, al fresco, dopo una buona merenda a base di Kaiserschmarren, mi riposo e me la sto ridendo mentre leggo il fondo di Vittorio Feltri sulla condanna di Emilio Fede….
estratto da “il Giornale” di oggi
“Secondo le accuse, – confermate in sentenza – il giornalista, oltre a mandare in onda i notiziari, mandava zoccole ad Arcore. E che zoccole! Tutte giovani, avvenenti, disponibili per non dire felici di correre in villa allo scopo di assecondare i desideri del principe-satrapo. Di più. Emilio avrebbe compiuto esercizi assai raffinati: non si limitava all’attività di selezionatore all’ingrosso delle candidate; gli è stato attribuito anche il ruoli di assaggiatore. Nel senso che egli, per essere sicuro che le fanciulle fossero all’altezza di cotanto cliente, le avrebbe personalmente sperimentate sul piano orizzontale.
Un bel daffare, povero Fede. Se si sobbarcava tale defatigante impegno, avrà avuto la sua convenienza. Quale? Riscuoteva dalle sgualdrine una percentuale su ogni marchetta? Questo no, non è emerso. Forse percepiva un lauto compenso dall’utilizzatore finale? E’ escluso. Si desume quindi che l’ultraottantenne direttore si sottoponesse gratis alla funzione sfiancante di assaggiatore per compiacere il padrone. Converrà il lettore che a una certa età è difficile e complicato scopare per gusto proprio, figuriamoci per dovere d’ufficio, tra l’altro senza un vantaggio eccetto la gratitudine del padrone.”
Anche scopare su commissione gli toccava? Beh, in effetti è poco plausibile, anche data l’età…però la motivazione dei giudici (anzi, delle giudici…caso strano…tutte donne a giudicare Berlusconi come poi a giudicare fede, Mora e Minetti) questo dice.
Sempre sul Papa
Oggi l’ultimo saluto pubblico del Papa. No, non riesco a vedere complotti o quant’altro…Hanno tirato in ballo le questioni di salute, che sono più che legittime in un uomo della sua età, legami con lobby finanziarie e pure il suo passato nella gioventù hitleriana, quando aveva appena 14 anni, senza considerare che in quel periodo tutti i ragazzini vi aderivano. Io ho visto solamente un uomo dalla voce stanca e gentile, che ha salutato tutti con grande commozione. Ci vuole coraggio, ma soprattutto una grande umiltà per decidere di abbandonare un posto non solo di responsabilità, ma anche di potere.
In una intervista pubblicata oggi da “il Giornale”, vedo che sono sulla stessa lunghezza d’onda di Massimo Fini, uno scrittore che amo ed odio allo stesso tempo. Lo odio per il suo maschilismo nemmeno tanto mascherato ( http://ineziessenziali.blogspot.it/2010/04/massimo-fini-invidioso-confesso.html ) anche se ha cercato di rigirare la frittata…Lo amo per il suo anticonformismo, per dire sempre quello che pensa, per essere, insomma, sempre se stesso, e su di lui e dei suoi libri spero di ritornare a parlare un giorno in questo blog.
Fini in sostanza oltre a scrivere che ogni illazione sulle dimissioni di Benedetto XVI è pura dietrologia gossippara, dice pure che Karol Wojtyla ha esibito la sua sofferenza, dicendo pure che l’ha trasformata in uno show , pure se drammatico.
Sempre meglio di Saviano che in un sussulto di imbecillità dice che il Papa si sarebbe dimesso per consentire ai cattolici di ricompattarsi in vista delle elezioni!
(Testualmente, dalla sua pagina FB: “Mi dispiacerebbe se queste dimissioni, rese pubbliche ora e non dopo la formazione di un governo, fossero strategiche per la campagna elettorale: mostrare la fragilità della Chiesa per chiedere compattezza al voto cattolico. Sarebbe terribile se fosse così.” )
Non c’è limite alla dabbenaggine!
Ladro più, ladro meno…
Letta oggi su “il Giornale”…mi ha fatto morire dal ridere…
“ O’ grulli, siete arrivati per secondi!”
Si scatena lo sberleffo dei senesi per i poveri ladri da banda del buco, dilettanti in confronto alla “banda del 5%”, che hanno provato a scassinare un’agenzia del Monte dei Paschi di Siena in via Vittorio Emanuele, l’altra notte. Hanno aperto un varco nel muro, poi hanno lavorato con il trapano per aprire la cassaforte senza che nessuno si accorgesse di nulla. Un lavoro di fino, che però si è risolto in una beffa. Nella cassaforte i ladri hanno trovato una miseria, 300 euro, una parte in moneta.
“E che speravano di trovarci? Se li so’ portati via giù tutti i soldi, a Santorini!”
Almeno un’occhiata potevano dargliela, questi della banda del buco.
PS. Almeno quelli della banda dei soliti ignoti si sono fatti una scorpacciata di pasta e fagioli!
Moriremo di burocrazia
Dal Blog di Nicola Porro
Ricevo da un commensale (che ringrazio) una circolare dell’agenzia delle entrate che è meglio di un trattato di cinquecento pagine, o di un’indagine dei professoroni, sul motivo per il quale l’Italia e l’Europa, se continua così, sono morte. Morte. O diciamo meglio. Se continua così l’unica nostra forma di difesa diventa la ribellione civile.
Delle tasse abbiamo parlato. Ma quasi peggio di esse sono le leggi, le norme, i regolamenti, la burocrazia che ci ammazza. I solerti funzionari, che pagati da noi, ci dicono cosa dobbiamo fare nel minimo dettaglio. Perfino come trattare fiscalmente le patatine fritte. A questo siamo arrivati. Leggere per credere.
OGGETTO: IVA – Cessioni patate prefritte surgelate – aliquota applicabile –
Consulenza giuridica – D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633
Con la richiesta di consulenza giuridica indicata in oggetto, ALFA ha
chiesto chiarimenti in merito all’applicazione dell’aliquota IVA ridotta del 4 per cento alle patate prefritte surgelate, ai sensi del n. 6) della Tabella A, parte II, allegata al DPR 26 ottobre 1972, n. 633.
Quesito ALFA aderisce a Confindustria e rappresenta sul piano nazionale molti e differenziati settori produttivi, tra cui quello dei prodotti surgelati.
Sotto il profilo della qualificazione, per “patate prefritte surgelate” si
intende il prodotto composto esclusivamente da patate che hanno subito un
trattamento di prefrittura e successivo surgelamento.
Pertanto, il prodotto si presenta senza aggiunta di ingredienti diversi da
patate e olio e perciò si distingue da quello preso in considerazione dalla
risoluzione 9 febbraio 2004, n. 13, ossia dalle patate prefritte alle spezie
(ingredienti: patate, olio vegetale, olio extravergine di oliva, sale, spezie – rosmarino, aglio e salvia – e aromi naturali) alle quali è stata riconosciuta applicabile l’aliquota IVA del 10 per cento, ai sensi del punto 70) della Tabella Direzione Centrale Normativa A, parte III, allegata al DPR 26 ottobre 1972, n. 633 [ortaggi e piante mangerecce (esclusi i tartufi) preparati o conservati senza aceto o acido acetico (v.d. ex 20.02)].
Parere dell’Agenzia delle Entrate
In merito all’aliquota IVA applicabile alle cessioni del prodotto “patate
prefritte surgelate”, descritto da ALFA, sulla base del parere tecnico rilasciato ad ALFA dall’Agenzia delle Dogane con nota prot. n. … del … marzo 2012, allegata all’istanza, si esprimono le seguenti considerazioni.
Il prodotto in questione, definito “patate prefritte surgelate”, consiste in
patate surgelate previamente sottoposte ad un processo non più complesso della semplice prefrittura, senza aggiunta di altri ingredienti oltre a patate e olio.
Secondo l’Agenzia delle Dogane, “I prodotti sopra descritti, così come
peraltro confermato da numerose Informazioni Tariffarie Vincolanti rilasciate
recentemente sia dall’Italia che da numerosi stati della Comunità Europea, sono da classificare al codice NC 2004 1010 come “altri ortaggi e legumi preparati o conservati ma non nell’aceto o nell’acido acetico, congelati, diversi dai prodotti della voce 2006; – Patate: — semplicemente cotte”.
A tale classificazione l’Agenzia delle Dogane è pervenuta anche tenendo
conto di quanto indicato dalle Note esplicative alla Nomenclatura Combinata,
che proprio al codice 2004 1010 precisano testualmente: “rientrano in
particolare in questa sottovoce i prodotti di cui alle note esplicative del SA [Sistema Armonizzato di designazione e di codificazione delle merci, ndr], voce 2004, secondo comma, punto 1”. In base a quest’ultimo punto, tra i prodotti più frequentemente posti in commercio della voce 2004.10 (Patate) rientrano le patate (fritte) interamente o parzialmente cotte nell’olio e poi congelate.
La stessa Agenzia delle Dogane precisa, altresì, che, diversamente dal
prodotto cui si riferisce la risoluzione n. 13/E del 2004, nel caso di specie non vi è alcuna aggiunta né di spezie né di altre erbe aromatiche.
Tanto premesso, per quanto concerne l’esatta individuazione dell’aliquota
IVA applicabile alla commercializzazione di tali prodotti, si rileva che il n. 6) della tabella A, parte II, allegata al DPR 26 ottobre 1972, n. 633, prevede l’applicazione dell’aliquota IVA del 4 per cento per “ortaggi e piante mangerecce, anche cotti congelati o surgelati”, richiamando la voce doganale 07.02.
Come precisato dall’Agenzia delle Dogane, “la voce 0702 500 (patate)
con l’entrata in vigore il 1° gennaio 1988 della nuova Nomenclatura Combinata, è stata suddivisa in due nuove voci, la 0710 1000 e la 2004 1010”. In particolare, la voce 0710 1000 individua le patate nell’ambito della voce che comprende gli “Ortaggi o legumi, anche cotti, in acqua o al vapore, congelati”, mentre gli stessi ortaggi o legumi preparati o conservati con procedimenti diversi dalla cottura in acqua o al vapore, rientrano nel Capitolo 20 e, nello specifico, la patate, come sopra ricordato, rientrano nella voce 2004 1010.
Pertanto, in base al richiamo contenuto nel n. 6) della Parte II della
Tabella A alla citata voce doganale 07.02 – corrispondente alla voci 0710 1000 e 2004 1010 della tariffa doganale vigente (Taric), nella quale, in particolare, l’Agenzia delle Dogane ha fatto rientrare il prodotto “patate prefritte surgelate” senza aggiunta di altri ingredienti oltre patate e olio – alle cessioni dei citati prodotti surgelati si rende applicabile l’aliquota IVA del 4 per cento.
IL DIRETTORE CENTRALE
Conclusione: Rido, per non piangere
Iniziativa de il Giornale
Paghiamo noi le spese legali e le cure mediche agli agenti coinvolti negli scontri coinvolti e indagati per gli scontri al corteo studentesco di Roma del 14 novembre.
Paghiamo noi le spese legali e le cure mediche agli agenti coinvolti negli scontri coinvolti e indagati per gli scontri al corteo studentesco di Roma del 14 novembre.
Ecco tutti gli estremi per sostenere l’iniziativa:
Intestatario: Società europa di edizioni SPA – Donazioni pro poliziotti
Banca Popolare di Sondrio
Iban: IT74 T 05696 01600 000070000X96
gli intoccabili
Criminale!
Come è noto, Sallusti rischia la galera per un articolo apparso su “Libero” quando ne era direttore responsabile. Un articolo in cui l’estensore (non lui, ma un giornalista della testata) esprimeva la propria opinione sulla sentenza di un magistrato che aveva autorizzato una tredicenne ad abortire.
Una volta la magistratura era una di quelle istituzioni in cui gli italiani riponevano maggior fiducia, ma considerando quanto sta accadendo ultimamente, questa fiducia va sempre più sminuendo, ed i suoi membri stanno diventando una casta di intoccabili.
Buona parte della stampa è a favore del direttore, anche quella di parte avversa, quale l’Unità, Repubblica, Il Fatto, il Corriere della Sera, in nome della libertà di stampa e, soprattutto di opinione. In un paese dove stupratori, ladri, assassini, malversatori e quant’altro sono liberi o scontano il minimo della pena, che una persona debba andare in galera “perché non è possibile formulare una prognosi favorevole e ritenere che si asterrà dal commettere in futuro ulteriori episodi criminosi“, senza poter quindi godere nemmeno della condizionale e solo per aver avallato l’opinione di un suo giornalista, grida vendetta contro il termine stesso di GIUSTIZIA… L’ultima parola, sembra, potrà spettare a Napolitano, specie nella sua veste di capo del CSM….
Fantaeconomia…ma non troppo
Da tempo cercavo tra gli Urania di mio marito un racconto che avevo letto molti anni fa…ed ora me ne ritrovo un estratto sul blog di Nicola Porro, riportato su “il Giornale”.
E’ un racconto carino, che bene si addice a questi tempi 🙂 e che avevo spesso citato agli amici per illustrare simpaticamente l’effetto recessione.
E’ tutta colpa di quel dannato congelatore beige. A Phoebe piace da impazzire.
Niente da fare. Marvin è davvero di cattivo umore. Ha fatto i conti e la piccola economia domestica della sua famiglia non gira. Marvin non perde tempo e annulla l’acquisto. È Jim, il superboss della catena di elettrodomestici, a ricevere la disdetta. Si chiude nel suo ufficetto, ci pensa su e chiama il suo distributore a Phoenix: «Ti ricordi il mio ordine del mese scorso? Bene, riducilo del 10 per cento; ho troppa merce in negozio». Rialza il telefono e, senza colpo ferire, annulla anche l’acquisto della nuovissima Buick a cuscino d’aria che aveva opzionato da Bill Waters.
«Prendiamo tempo» dice tra sé e sé in una giornata di cattiva forma. La storia continua in una spirale micidiale. Anche Waters viene infettato dal virus depressivo: riduce il suo magazzino di auto a Detroit. E alla segretaria che, stupita, lo interpella risponde seccato: «Sento che c’è una tendenza». E annulla il rogito per una nuova casa.
Il romanzo continua. In una gigantesca serie di cause ed effetti. Il ridicolo presidente degli Stati Uniti si chiede perplesso: «Ma cosa sta succedendo in America?». Semplice, gli rispondono. Una famiglia di Tucson ha rinunciato a comprare un frigorifero beige e da lì è scattata una reazione a catena. Sembra la storia delle banane di Johnny Stecchino. È invece un romanzo di fantascienza degli anni ’70 Scritto da Mack Reynolds. Effetto Valanga, si intitola.
Consigliamo vivamente la lettura a chi ci governa. Ieri, per l’ennesima volta, hanno preso tempo sulla cosiddetta Fase due, insomma sul decreto Sviluppo, a cui Corrado Passera, isolato, sembra tenere molto. Nel romanzo di Reynolds la cosa si risolve in modo grottesco: si pensa cioè di inviare due agenti segreti dotati di un po’ di contanti per permettere a Phoebe di comprare il suo amato frigider beige. E rompere così la catena di depressione.
Da noi, forse, basterebbe lasciare in tasca qualche tassa.
Il punto è che oggi ci troviamo in una spirale depressiva molto simile a quella descritta da Reynolds. Certo, la crisi c’è. Le nostre finanze pubbliche sono a pezzi. E la competitività delle imprese non è da favola. Ma c’è un elemento in più che ci frena. È la mancanza di fiducia. Il diffuso umor nero di consumatori e imprese. Il governo (compreso quello precedente con le pazze manovre estive) ci ha messo del suo: svuotando ancor di più le tasche dei consumatori. L’Imu è una tassa il cui effetto depressivo va al di là dei suoi risvolti espropriativi. Non vogliamo certo dire che si debbano scavare buche e poi riempirle così tanto per creare qualche inutile posto di lavoro. Ma ci vuole un salto. Un’idea. La creazione di un ambiente favorevole al consumo e all’investimento. Non sempre e non solo le variabili economiche sono governate dal vincolo di bilancio. Nel lungo periodo certamente è ciò che conta. Ma nel breve ci sono elementi psicologici che rendono la situazione anche peggiore rispetto a quello che la realtà descriverebbe.
Siamo in una trappola di fiducia: se fino a ieri si sottovalutava la crisi, oggi stiamo alimentandola descrivendola peggio di quanto sia.
Quello che insegna la storia economica è piuttosto banale. Le crisi, periodicamente, ci sono. Ma la loro ampiezza dipende dagli errori della politica. Milton Friedman ha spiegato perfettamente nella sua opera monumentale sulla politica monetaria come la Grande Depressione sia stata alimentata proprio da folli decisioni pubbliche.
Non siamo in grado di dire quanto le misure di Passera possano servire alla nostra ripresa. Ma siamo certi che alimentare una speranza e poi frustrarla, o più semplicemente mostrare una certa lunghezza nel trovare la soluzione ad un problema, renda il contesto ancora più deprimente.
governo ladro…
Adesso spiegatemi una cosa.
Non passa giorno che Alfano e Bersani critichino l’operato del governo (Casini no, troppo lecchino), ma allora perché continuano ad appoggiarlo? Lo spread è alle stelle, ma nessuno si sogna di chiederne le dimissioni… Con Berlusconi, tutti a dire che la gente arrivava a malapena alla terza settimana del mese, ed ora invece tutti zitti, mentre il premier attuale resta in sella…
Giorno per giorno, dubito sempre più della competenza del bocconiano. Mancano oltre 3,4 miliardi di euro dalle entrate, la maggior parte dovute all’IVA… Ma lui e la sua banda i conti li sanno fare? Se continuano ad aumentare le tasse, le bollette, la benzina, le imposte indirette come l’IVA etc etc, tenendo fermi i redditi che, in termini reali, diminuiscono di parecchio, ovvio che la gente spenda sempre meno e che i consumi, quindi la produzione, abbiano una contrazione. Meno soldi, meno introiti, meno tasse da incassare: una equazione semplicissima, perché il contrarsi dei consumi e delle imposte ad essi relative, superano l’aggravio dell’imposizione fiscale .
L’unica voce che registra un aumento è quella delle imposte di bollo, che ora vessano ogni movimento che operiamo.
Poi, chi prima evadeva, ora lo farà maggiormente, quindi altri soldi detratti allo stato.
La disoccupazione giovanile aumenta? Prevedibile… Se quelli ancora non licenziati o in cassa integrazione si tengono di colpo a lavorare fino a 66 anni, chi farà posto ai giovani? (poi una cosa…che senso ha parlare di disoccupazione giovanile nella fascia 15-25 anni, se la scuola dell’obbligo arriva a 18 anni?).
Nonostante molti (tra i quali il FMI e la Corte dei Conti) abbiano detto e ripetuto che questa tassazione eccessiva porti solo alla depressione, Monti continua incessantemente a parlare di crescita, ma forse più per convincere se stesso che noi altri. Tutti gli ripetono che bisogna diminuire le spese e privatizzare, lui si è limitato ai taxi ed alle farmacie, ma guai a parlare di privatizzare le grandi aziende di stato.
Mi chiedo poi dove siano andati a finire tutti i soldi che fino ad ora ci sono stati estorti… E si prepara, con la scusa del terremoto, a rubarci altri soldi con l’ennesimo aumento dell’IVA nel prossimo ottobre.
Per me, abbiamo iniziato una china che porta al punto di non ritorno…Spero solo di sbagliarmi.
Estratto dal blog di Nicola Porto, riportato su “il Giornale” di oggi
Ieri la ragioneria dello Stato ha comunicato i dati sul gettito fiscale dei primi quattro mesi del 2012. Rispetto a quanto previsto mancano circa 3,5 miliardi. Per inciso si tratta in termini assoluti di quanto lo Stato si attende dal gettito dell’Imu sulla prima casa. Flop, volatilizzati. Nonostante gli aumenti delle imposte sui redditi (le addizionali dei comuni e regioni sono aumentate), nonostante l’incremento di un punto dell’Iva, nonostante in un anno il prelievo sulla benzina sia salito di 20 centesimi al litro, nonostante bolli e nuove tasse su risparmio e rendite finanziarie, nonostante tutto ciò il Tesoro ha incassato meno di quanto previsto in un documento ufficiale di un solo mese fa.
In termini percentuali si tratta di un calo del 3 per cento delle entrate. Tre volte più di quanto sia, per colpa della crisi, diminuito il nostro reddito (misurato dal Pil). Per farla breve l’andamento del gettito fiscale è tre volte peggiore di quanto la crisi ci racconta.
La verità è più semplice e tremenda (dal punto di vista della tenuta dei conti pubblici): il gettito cala perché le tasse stanno ammazzando redditi, consumi e imprese. Il Pil frena anche a causa dell’imposizione.
Facciamo due esempi facili.
1. Il governo si è inventato un superbollo per le auto cosiddette di lusso (sopra i 185 cavalli fiscali). Si attende un gettito di 168 milioni. L’Unrae (associazione costruttori) ha già stabilito che il Tesoro nella migliore delle ipotesi sta perdendo più di 110 milioni in mancata Iva, imposta provinciale e bollo, grazie al fatto che si sono polverizzate le vendite di auto nuove sopra quei cavalli fiscali. Siccome parliamo dell’1 per cento del parco auto in Italia, parliamo di una fascia di popolazione abbiente, meno colpita dalla crisi. Ma che non ha alcuna voglia di farsi fermare ogni tre secondi dalla Finanza e di essere vessata con il superbollo. Su 210mila auto cosiddette di lusso già immatricolate, 40mila hanno già preso il largo verso Paesi stranieri. E anche in questo caso si tratta di manutenzione, ricambi, bolli che non frutteranno più un centesimo al nostro erario. Una somma difficile da quantificare e che rende il bilancio del superbollo negativo per le casse del Tesoro. Bel colpo.
2. Nell’ultimo anno i governi che si sono succeduti hanno aumentato il prelievo fiscale sulla benzina di 20 centesimi: oggi su 1,850 euro di costo medio, più di un euro se ne va in tasse. Sapete qual è la morale? Che i consumi nei primi quattro mesi dell’anno sono crollati del 10 per cento. Come dice il centro studi Promotor, nonostante l’incremento delle imposte, alla fine dell’anno il Tesoro rischia di incassare meno di quanto portato a casa nel 2011 (e pari a 32,5 miliardi).
In Italia le tasse galoppano per stare alle calcagna delle spese. Negli ultimi 8 anni (dati Cgia di Mestre) il costo dei dipendenti pubblici è aumentato del 30 per cento. Alzi la mano quale privato può vantare una simile performance. Il comune di Milano (che pure fa bene a vendersi i gioielli di famiglia) nel 2012 aumenterà le tasse di 250 milioni e le spese degli assessorati di 215. Se fosse stato semplicemente fermo avrebbe fatto un favore a tutti.
La Crante Cermania
Vabbè , non è un economista, e non lo sono neppure io, però Marcello Veneziani dice, molto più educatamente di quanto abbia fatto io, quello che avevo scritto qualche tempo fa.
Quello che leggerete è un corso intensivo di economia surreale, ma non troppo,per salvare la Grecia, l’Italia e l’Europa.
Cominciamo dalla mozione degli affetti e dalla memoria storica: la Grecia non può uscire dall’Europa, perché è l’Europa, anzi il suo grembo.
Non si abbandona la Madre per gli interessi. Torniamo a Foscolo e Santorre di Santarosa che andò a morire per la Grecia. Certo, c’è un abisso tra i greci antichi e i greaculi moderni, ma c’è pure un abisso tra i romani antichi e i romaneschi d’oggi. Piuttosto che far uscire la Grecia dall’euro, entriamo noi nella dracma, una moneta gloriosa e antica.
Ma avviciniamoci dal paradosso alla realtà: perché non svalutare l’euro fino a pareggiarlo nel cambio col dollaro? Sarebbe la salvezza di tre quarti d’Europa, volerebbero le esportazioni, il debito non ci stritolerebbe, faremmo come abbiamo fatto per decenni. Meglio il trauma della svalutazione che la tragedia annunciata.
Qual è l’ostacolo alla svalutazione? L’eccesso di salute della Germania. Soluzione subordinata, ratifichiamo l’Europa a due velocità: separiamo dall’area germanica il destino dell’Europa mediterranea, Grecia, Spagna, Italia, Francia e Portogallo, più minori.
Resta un paradosso: il problema dell’Europa oggi non è la Grecia, è la Germania che scoppia di salute e fa scoppiare noi. Che dite, le chiediamo gentilmente di uscire? Esagero. Ma se fosse la Germania a doversi adeguare al resto d’Europa e non noi? Invertiamo la clessidra dello spread. Gli ultimi saranno i primi, si ricomincia dalle origini.
(il Giornale, 22 maggio 2012 – Cucù di Marcello Veneziani)
Vero, la Germania è troppo forte economicamente, e se pur fa bene a chiedere che l’area Euro rispetti determinati criteri di bilancio, non può nemmeno pretendere che ci si strangoli per far piacere a Frau Merkel.
E’ che prima di costruire un grande stato, hanno costruito un’unione monetaria. Però non necessariamente grande vuol dire forte, potente… E’ il caso dell’Europa: una superNazione che si è rivelato il classico gigante dai piedi di argilla. Prima ancora di amalgamare le varie nazionalità, di creare un vero spirito europeo, hanno voluto fare un’unione economica, composta inizialmente di dodici stati, le dodici stelle iniziali, con paesi dalla differente potenzialità economica, dalla forte Germania alla debole Grecia che, pur di entrare nell’area Euro ha perfino truccato i bilanci. Poi sono stati aggregati altri stati dell’Est europeo, anch’essi con un’economia debole, il che ha solo causato un’indiscriminata emigrazione di questa gente nei paesi ritenuti più ricchi, ma con il solo risultato di indebolire le nazioni che hanno accolto questi immigrati, a tutti gli effetti cittadini europei.
Così adesso abbiamo un gigante malaticcio, solo lo scheletro, la Germania, è forte e detta le sue leggi, mentre chi se la cava meglio sono gli stati piccoli non dell’Unione Europea (come la Svizzera) o quelli che puer europei non hanno aderito all’area Euro, Danimarca e Regno Unito ad esempio.
Non commento…
ART. 9 (Revisione del sistema sanzionatorio)
1.Revisione del sistema sanzionatorio penale secondo criteri di predeterminazione e proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti, dando rilievo alla configurazione del reato tributario per i comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e utilizzo di documentazione falsa; esclusione della rilevanza penale per i comportamenti ascrivibili all’elusione fiscale; revisione del regime della dichiarazione infedele e del sistema sanzionatorio amministrativo al fine di meglio correlare, nel rispetto del principio di proporzionalità, le sanzioni all’effettiva gravità dei comportamenti; possibilità di ridurre le sanzioni per le fattispecie meno gravi, o di applicare sanzioni amministrative anziché penali.
2. Definizione della portata applicativa della disciplina del raddoppio dei termini, prevedendo che tale raddoppio si verifichi soltanto in presenza di effettivo invio della denuncia ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale effettuato entro un termine correlato allo spirare del termine ordinario di decadenza.
Tratto da: La riforma fiscale oggi in CDM. In allegato il testo del disegno di legge
(Fonte: StudioCataldi.it)
Da “ il Giornale” di oggi, articolo di Nicola Porro
Diciamo subito che si tratta di una misura che va nella direzione giusta e cioè quella di depenalizzare alcune ipotesi di reato fiscale. Il titolo del benedetto articolo è sibillino: «revisione del sistema sanzionatorio». Secondo il principio penale per cui la norma successiva più favorevole prevale, vedrete che si tratta di un vero e proprio condono.
Contiene vari commi e cioè varie misure che il governo si è impegnato ad adottare nei prossimi mesi. E che vi risparmiamo. Ma quella che interessa è la seguente: «esclusione della rilevanza penale per i comportamenti ascrivibili all’elusione fiscale». Tac: nero su bianco il nostro condono. Apparentemente roba per pochi tecnici, ma fondamentale per alcuni processi importanti che si stanno celebrando in queste settimane. Per quello l’abbiamo subito ribattezzata norma Dolce&Gabbana e in modo decisamente più spericolato potremmo anche definirla salva-banchieri. Vediamo perché.
I due supersarti, è inutile entrare nel dettaglio, il prossimo 8 giugno dovranno di nuovo comparire in un processo penale (dopo aver già chiuso con sanzioni la vicenda con l’Agenzia delle entrate) per una presunta elusione fiscale miliardaria. Eppure il tribunale d’appello aveva loro dato ragione: non c’era reato. Ci si è messa la Cassazione, ad annullare il proscioglimento. Ha fatto ripartire tutto daccapo e ha autorevolmente certificato che, in contrasto col giudice d’appello, l’elusione fiscale si ritiene reato.
La questione è tutta qua. C’è una pattuglia di «grandi elusori» pizzicata con le mani nella marmellata dagli uomini di Attilio Befera, dell’Agenzia delle entrate. Befera inizia nei loro confronti durissimi accertamenti che in genere si concludono con salate transazioni.
Nel momento in cui gli accertamenti partono, i pubblici ufficiali hanno l’obbligo di segnalare alle Procure notizie di possibile reato. E così possono partire le indagini penali e nuovi procedimenti nei confronti di coloro che hanno già chiuso la partita con il Fisco.
Ecco qualche altro esempio. La banche e i banchieri fanno al caso nostro. L’Unicredit e il suo ex ad, Alessandro Profumo, avrebbero occultato 750 milioni di profitti e per questo stanno concludendo un accordo con l’Agenzia delle entrate, ma nel frattempo la Procura di Milano ha messo sotto indagine 20 manager che erano al vertice dell’azienda. Banca Intesa, all’epoca guidata da Corrado Passera, oggi ministro, ha chiuso una transazione con il fisco da 270 milioni di euro più interessi. Anche in questo caso gli uomini di Befera hanno inviato notizia di reato fiscale a una pattuglia di Procure (che fine abbiano fatto è questione di ben celato, per una volta, segreto istruttorio). L’Mps ha fatto un accordo da 260 milioni, il Credem da 45, la Popolare di Milano 186 e via discorrendo.
La morale è molto semplice, il governo con il suo articolo nove fa chiarezza. L’elusione fiscale non può essere considerata un reato. Non è materia di indagine per le Procure. Ciò non toglie che si possano configurare degli illeciti amministrativi e che dunque le banche siano tenute a pagare il dovuto alle casse del Tesoro.
Ma non si debbono confondere i due piani. I procuratori potranno entrare in banca, ma dovranno ravvisare un comportamento fiscalmente fraudolento (del tipo contraffazione di documenti) come stanno cercando di fare nel caso di Profumo e dell’Unicredit.
Ma gli avvocati sanno bene che con questa depenalizzazione la strada per molti processi imbastiti negli ultimi mesi sarà per loro molto più facile. La via d’uscita per tutti quei banchieri o industriali che siano coinvolti in un processo penale è dimostrare che la propria condotta più che fraudolenta sia stata elusiva. E il gioco è fatto.
Parliamo sempre e solo del processo penale: per quello tributario il discorso è ovviamente diverso.
Sempre nel nostro benedetto articolo 9, si fa chiaramente riferimento «all’applicabilità di sanzioni amministrative anziché penali» per le fattispecie meno gravi. Occorre ricordarsi che qui si parla sempre di Fisco.
Ebbene sembra una decisa marcia indietro rispetto a quanto previsto (incredibile dictu) dal governo Berlusconi e alle cosiddette manette agli evasori previste da Giulio Tremonti. Le soglie per l’intervento di un giudice penale furono abbassate a 50mila euro per il reato di dichiarazione infedele e a 30mila per quella fraudolenta. Sembra davvero di capire che questi limiti verranno alzati dal governo Monti «nel rispetto del principio di proporzionalità».
Ovviamente quella introdotta con la delega fiscale dal governo Monti è una norma che farà molto discutere. La depenalizzazione viene vista da una certa parte dell’opinione pubblica come l’unica soluzione per fare pulizia nella nostra società. Insomma più manette e galera per tutti.
Il governo evidentemente ha voluto rendere più «prevedibile» la vita di un’impresa in Italia. Ciò non vuol dire impunita: ma semplicemente sanzionata o più velocemente o con strumenti diversi da quello penale.
Dio non c’entra
Titolo di un articolo in prima pagina sul Giornale di oggi…
Ma perche’ Dio è distratto?
Ma se si e’ distratto durante la morte dei ventidue bambini belgi in gita scolastica, dov’era durante il massacro dei bimbi siriani? O durante il reclutamento dei soldati-bambini del dittatore africano Joseph Koni?
E poi è solo il numero che ci impressiona? E allora l’ultimo bimbo di due anni massacrato a martellate nel Sulcis non fa testo perché è solo uno?
Il fatto che vengono imputati a Dio comportamenti ed atrocita’ che sono tipiche degli esseri umani. Non è Dio che ha ucciso quei bambini, nemmeno per sua distrazione. Sono gli uomini, uomini che, non dimentichiamolo, hanno ancora il libero arbitrio, e sanno se agire in un determinato modo o in un altro, magari assumendosi la responsabilità di disobbedire ad ordini palesemente ingiusti. Uomini che non meritano nemmeno più questo appellativo perché ammazzare in modo atroce degli essere deboli ed indifesi li pone al di sotto degli animali.
Caro Monti ti scrivo…
Caro Presidente,
ho ascoltato ieri sera il Suo invito agli italiani di sottoscrivere i titoli del nostro debito pubblico.
Premesso che le commissioni su questa operazione avrebbero rimpinguato ulteriormente le sue amate banche, avrei volentieri accolto il suo appello, se non che…
Già, Presidente…
Se lei mi aumenta l’IVA e le accise sulla benzina, costi che si ripercuotono sui prezzi dei generi al consumo e sulle tariffe, se Lei mi aumenta anche le tasse automobilistiche, mi ripropone l’ICI ribattezzata IMU, blocca per un biennio la pensione di mio marito, allunga nel tempo il periodo in cui io potrò riscuotere la mia, mi tassa i sudati risparmi in banca eccetera eccetera… converrà che resta ben poco da risparmiare e quindi da investire. Ho perciò deciso di adottare un “sobrio” stile di vita, sicura che senza dubbio provvederà Lei ad acquistare i suddetti titoli con gli emolumenti che Lei percepirà quale senatore a vita… Per fortuna (o sfortuna?) non possiedo yacht o capitali scudati…
Per inciso, signor Presidente, Lei che dice che non è vero che a pagare sono sempre i soliti, come commenta i privilegi approvati in fretta e furia, a volte nottetempo (similmente alle pantegane o agli scarafaggi) da varie amministrazioni locali (Lazio, Friuli per non parlare dell’isola felice, la Sicilia, m anche l’Emilia, in puro spirito bipartisan), pubblicate su tutti i giornali e che “il Fatto quotidiano” titola significativamente come “Porcata”? E come giudica i “supercontributi” che i ministri tecnici, già dipendenti pubblici, si sono assicurati, a spese della collettività, proprio loro che dovrebbero risanare questa disastrata Italia, senza contare il fatto che, pur in aspettativa, continueranno comunque a percepire la retribuzione a patto che non superi l’indennità parlamentare?
Distinti saluti.
Dalle stelle alle stalle
Da “il Giornale “ di oggi, articolo di Stenio Solinas
L’idea che qualcuno possa riconoscere in Gianfranco Fini un pensiero politico, mi ha sempre affascinato e il vedere oggi al suo fianco intellettuali e colleghi di partito un tempo suoi fieri avversari, mi conferma nell’idea che non c’è niente di più reale (…)
(…) dell’illusione. Nel suo DoppiFini. L’uomo che ha detto tutto e il contrario di tutto (Vallecchi, 228 pagine, 16 euro) Luca Negri passa brillantemente in rivista un trentennio e passa di politica finiana e si sforza di cavarci una logica: cosa nasconde, sembra chiedersi, questo funambolismo? Si sa che la natura ha orrore del vuoto e, come ogni giornalista che si rispetti, Negri cerca delle risposte. Si può essere, cito a caso, fascista e antifascista? Contro gli omosessuali e a favore degli omosessuali? Contro l’immigrazione perché corrode la nazione e a favore dell’immigrazione perché rinsalda la nazione? Contro la magistratura politicizzata e per la magistratura che fa politica? Cosa c’è dietro, di fianco, davanti?
Nel quindicennio che ha visto lo sdoganamento dell’allora Movimento sociale e l’ascesa politica di Fini, l’unico dato certo è che come segretario di partito è riuscito nell’incredibile impresa di farsi mangiare il partito stesso dal suo alleato di riferimento. Non è accaduto alla Lega di Bossi, non è accaduto all’Udc di Casini: avevano un progetto e un’idea politica e li hanno difesi, pagando dei prezzi, facendo delle scelte. Fini si è lasciato guidare dalla convinzione che un professionista della politica, quale lui si picca di essere, non avesse bisogno di alcuna strategia, potendo contare sulle proprie capacità tattiche. Ha avuto così, e così ha garantito, incarichi importanti e ministeri, in una logica di delfinato, l’unica che conosce per averla praticata con successo, che nella sua testa lo vedeva biologicamente vittorioso. Alla fine si è ritrovato senza regno e senza buona parte della corte, tutto sbagliato e tutto da rifare e, insomma, si ricomincia da capo. Rifondare un partito, diventare opposizione… L’uomo che volle farsi re, potrebbe essere il titolo del nuovo film destinato a sostituire i Berretti verdi della sua giovinezza cinematografica e politica.
Tanti anni fa, mi capitò di definire il Fini allora in corsa per la segreteria missina «un paio di occhiali sul nulla». A qualcuno, molti anni dopo, sembrò ingeneroso: era divenuto vicepresidente del Consiglio, aveva il secondo partito della coalizione, ministri di Alleanza nazionale, l’erede del Msi che fu, erano presenti nell’esecutivo… Il fatto è che si trattava di risultati talmente inimmaginabili ai tempi di quel giudizio, che per essi si poteva tranquillamente parlare di miracolo, elemento che non attiene alla politologia, anche se aiuta.
Va detto altresì, per capire meglio quella definizione, che il nulla, come pensiero politico, ha una sua logica e una sua grandezza. Nell’Italia terminale della Prima Repubblica qualsiasi scelta ideologica, di programma, di alleanze, di strategie avrebbe comportato per l’allora Msi la necessità di un ripensamento critico su se stesso, un sicuro, ulteriore ridimensionamento elettorale a breve termine, un incerto futuro in ripresa a lungo. Scegliendo di non scegliere, scegliendo cioè il nulla, Fini si attestò su una linea funeraria: celebrava le esequie del suo partito, ma ritardava il più possibile il momento del trapasso.
Poi arrivò Tangentopoli e un Msi escluso da tutti i giochi si ritrovò improvvisamente in corsa. Nei due schieramenti che andavano formandosi, il nulla finiano si rivelò un elemento vincente: permise un’alleanza con soggetti non propriamente omogenei (l’anti-italianità della Lega, il capitalismo all’americana di Forza Italia, residui e spezzoni socialisti e democristiani) favorì in un partito orgoglioso quanto sterile in termini di leadership, una concezione gregaria nei confronti del partner più forte della coalizione.
Il capolavoro del nulla fu infine Fiuggi. Così come l’eredità fascista era stata l’unica identità a cui Fini aveva ancorato un Msi ridotto al lumicino, o a fuoco fatuo, vista la logica sepolcrale che ne era alla base, il tributo antifascista fu visto come la sola via d’uscita dal rischio della ghettizzazione sempre, della non accettazione ancora. Cosa questo dovesse e potesse significare in termini politici venne considerato secondario. L’importante era togliersi la camicia nera. Al resto, semmai, si sarebbe pensato dopo. Così, non pensando, il nulla politico celebrò un nuovo soggetto e costruì il proprio trionfo.
Successivamente cominciarono i guai: il «ribaltone», la sconfitta elettorale, il potere giudiziario che sembrava aver messo alle corde Berlusconi… Fini commise allora il suo primo e unico errore, quello di pensare. Pensare politicamente, s’intende. Ritenne cioè che da numero due della coalizione potesse divenire numero uno, o quanto meno smarcarsi: fu il tempo della Coccinella e dell’Elefante. Si sa come finì.
Dopo di allora Fini tornò al nulla da cui era partito e che conosceva come le sue tasche, e per più di un decennio l’ha praticato da par suo. Era un nulla che però lasciava sul terreno alcuni elementi su cui ci si sarebbe dovuti invece interrogare per tempo. Un partito senza identità, per esempio, e senza prospettive autonome, non più identificabile, sottostimato in termini di potere reale. Una sensazione di debolezza, di tutela altrui, in secondo luogo, complice una insufficienza della sua classe dirigente. Ancora, un complesso d’inferiorità culturale, estrinsecantesi in puro e semplice becerismo intellettuale o in supina accettazione della cultura altrui, vista come legittimante della propria recente e improvvisata democraticità. In ultimo, una leadership più interessata al proprio immediato tornaconto, nel senso nobile del termine, che non al patrimonio di una forza politica in quanto tale.
Il risultato finale del nulla politico consisté nell’annullarsi completamente come partito… Avvenne, per la verità, un po’ obtorto collo, ma opporvisi a quel punto avrebbe implicato un pensare politicamente, cosa che, abbiamo visto, Fini non è in grado di fare. Si preferì la favola della cofondazione (e invece, naturalmente, era una colonizzazione), nuovi intellettuali di riferimento gliela spiegarono con la teoria che così si usciva anche, e definitivamente, dall’equivoco post-missino che di fatto ancora impiombava le sue ali di leader, e, come sottofondo, rimase il «mantra del delfino», ancora più delfino visto che Bossi e Casini avevano rifiutato di farsi inglobare nel progetto unitario. Ci fu persino chi teorizzò l’idea della «presa dal potere dall’interno», ma qui siamo sì alle comiche finali…
Ciò che è venuto dopo, è storia risaputa, di cui nel suo libro Luca Negri, come dicevamo all’inizio, cerca di capire il senso: avrebbe dovuto chiedere lumi a quella canzone di Vasco Rossi: «Voglio dare un senso/ un senso a questa storia/ anche se questa storia/ un senso non ce l’ha»… Politicamente parlando, s’intende.
Il fatto è che le uniche tattiche che Fini sa praticare, pensando siano delle strategie, sono quelle già ricordate del delfinato e del nullismo. Come ne esce è un disastro, perché comporta un’elaborazione di pensiero che non gli appartiene; una certa pigrizia fisica e la presunzione, invece tutte sue proprie, complicano poi il tutto. Detto in altri termini, si può anche ipotizzare una destra nuova, di governo o di opposizione (in fondo c’è ancora chi si chiede se ci sia vita su Marte…) e si può anche pensare che la possa incarnare un leader senza idee. Resta però da chiedersi se la tendenza al nullismo non sarà più forte. Quanto al delfinato, Fini ha sessant’anni e sempre di più comincia ad assomigliare a Carlo d’Inghilterra. Senza Camilla, è vero, ma con un cognato.
dichiarazione…
Cosa ne pensate?