Come ogni anno…
Ossa spezzate
atroci agonie
l’uomo ha superato Caino.
Come bestie torturate
legati ai polsi con vile fil di ferro
gettati ancor vivi nell’oscurità.
Massacro senza limiti
sterminio,
carneficina,
eccidio,
genocidio,
inumani vendette,
stragi e rappresaglie
coperte da anni e anni di silenzio
per politiche infami.
Ora,
nei prati di Basovizza,
un masso di pietra carsica
sigilla la vergognosa tomba
dei dodicimila infoibati.
Non si odono più
tormentosi lamenti
ma solo frusciar del vento
e.. poco lontano
un ragazzino sorridente
fa volare il suo aquilone.
Fabio Magris
Il giorno del ricordo
Quando i comunisti italiani insultavano gli esuli istriani
Di Eugenio Cipolla, il 16 luglio 2014i
Il treno procedeva lento. Partimmo da Fiume, destinazione: la Toscana. Dovevamo attraversare l’Italia che noi immaginavamo generosa e ospitale. Sulle carrozze da carro bestiame che ci portavano laggiù, c’erano per lo più vecchi, donne e bambini come me, stipati come sardine. Eravamo infreddoliti, affamati, i più piccoli piangevano perché man-cava il latte. «Va bene» pensai «prima o poi ci fermeremo». La prima sosta, per scendere a sgranchirci le gambe e mangiare qualcosa, fu a Bologna. Finalmente la stazione.
Il treno rallentò piano piano fino a fermarsi. Ad accoglierci trovammo tanta gente, con le bandiere rosse. Le stesse di Tito. Non capivo. Allora mi girai verso la mamma e le chiesi: «Mamma, ma il treno si è sbagliato? Siamo tornati a Fiume?». No. Erano gli operai e i ferrovieri comunisti che improvvisavano uno sciopero per impedire al convoglio di fermarsi nella loro città. «Fascisti, viaaa!» gridavano. «Siete tutti criminali fascisti!» La nostra patria era affamata, diffidente. Diversi erano convinti che chi fuggiva dall’Istria «rossa», dal paradiso del comunismo, fosse un criminale. Alle dame di carità, arrivate in stazione per darci latte e coperte, fu impedito di avvicinarsi. Nemmeno il latte ai bambini. Le porte del treno rimasero chiuse. Non so neanche quante ore passarono, il viaggio mi parve infinito.
Alla fine io, la mia famiglia e qualche centinaio di «pericolosi nazionalisti» arrivammo al campo profughi di Laterina, vicino ad Arezzo. Attraversammo un grande cancello verde, sorvegliato da carabinieri armati di mitra e circondato da filo spinato. Non ci aspettavamo una casa, ma nemmeno un campo di concentramento! In quei ventidue baracconi abbiamo vissuto per quasi dieci anni. Balle di paglia come materassi, un bagno in comune per venti persone. Con le coperte appese ai fili di ferro, ogni famiglia cercò di creare la propria «casa», innalzando dei piccoli divisori tra una «stanza» e l’altra. Così, giusto per avere un minimo di intimità. Anche se poi si sentiva tutto: chi parlava, chi litigava, chi rimproverava i figli, chi la notte cercava di fare l’amore. Magari uno starnutiva e dal fondo della baracca un altro rispondeva: «Salute!». E poi l’odore. A ripensarci, me lo porto dietro da una vita intera. Forte, acre e dolce, uno strano miscuglio del cibo della mensa, della naftalina del mio vestito, l’unico che avevo, e di quello ancora più forte, imbarazzante, dei miei capelli. Che non potevano essere lavati.
Ci siamo vergognati a lungo e abbiamo continuato a portare la vergogna dentro. Ancora oggi mi sento quell’odore addosso, e non se ne vuole andare: è l’odore del campo profughi. Mi ricordo il freddo del 1956, il gelo dentro le baracche senza riscaldamento, e quella notte che per caso sentii mio padre raccontare a voce bassa che vicino a Trieste, nel campo profughi di Padriciano, Marinella era morta di freddo. E questo nome, Marinella, io non lo posso più scordare. Aveva un anno, Marinella. A sedici gradi sottozero, con la neve che entrava da porte e finestre, non aveva resistito. Purtroppo non fu la sola. Per i nostri vecchi era dura: morivano di malinconia. Mio nonno, per esempio, nel momento stesso in cui arrivammo al campo profughi smise di parlare. Mai più ho sentito una sola parola uscire dalla sua bocca. Tutti i giorni lo vedevo camminare avanti e indietro per i lunghissimi corridoi dei cameroni, poi di botto si fermava davanti a una finestra, fissava un punto nell’infinito, per ore e ore. Si asciugava le lacrime col dorso delle mani. Così come i nostri vicini, che a Fiume possedevano un bel palazzo signorile e ora si ritrovavano pezzenti. Persone come mio suocero, che in Istria aveva dei pescherecci e ora faceva il facchino. Per noi piccoli invece era diverso. C’era la scuola, un campo dove giocare a pallone. Sembrava di vivere in campeggio.
I nostri genitori, quanti sacrifici hanno fatto per tirare avanti! Si sono adattati a qualsiasi lavoro pur di non farci mancare l’indispensabile. Andavano persino a spalare la neve. L’inverno pregavano Iddio che nevicasse perché per spalare gli davano duemila lire a notte, e con duemila lire si sopravviveva. Molti si sono rimboccati le maniche, sono stati capaci di inserirsi. Altri invece si sono lasciati andare, privi della forza di ricominciare. Tanti padri si uccisero con l’alcol, alcune donne si tolsero la vita per il dolore dello sradicamento: come Giovanna, esule da Buie d’Istria, ritrovata impiccata a un ulivo perché le mancava troppo la sua terra. Anche loro, in qualche modo, morti di esodo. Vittime, queste, mai considerate. Per la gente del luogo eravamo «gli slavi», «gli zingari», «i banditi giuliani». Ci chiamavano così. Col tempo hanno imparato a conoscerci, abbiamo dato pure noi il nostro contributo alla società, e siamo stati apprezzati. Fu un esodo, il nostro, che nessuno portò mai nelle piazze. Ma noi esuli non abbiamo mai protestato.
Ci vergognavamo, ci sentivamo quasi in colpa per il disturbo: «Scusate, se ci hanno strappato la nostra terra». Ma nessuno riuscì a strapparci la nostra dignità. A Fiume ci sono tornato per la prima volta a sessant’anni. Ho trovato una città molto diversa da quella che avevo lasciato cinquant’anni prima. Eppure, riconoscevo ogni sasso. Sono arrivato fin sotto casa di mia nonna senza sbagliare strada neanche una volta. Casa mia. Nella «città vecia». Un portone in stile veneziano del Settecento, le scale ancora in legno. Le stesse che ho fatto milioni di volte, su e giù. Mentre ero li, immobile, dalla porta uscì una donna: «Sta oces ti?» mi chiese. «Che vuoi?» Il mio primo istinto fu di risponderle male, invece me ne scappai via. Come un ladro.
[brano tratto dal libro “Magazzino 18” di Simone Cristicchi]
gia pubblicato su Qelsi
Ribloggato da “Qelsi”
“Mi hai gettato nella fossa profonda, in caverne tenebrose, in abissi. Fra i morti è il mio giaciglio” (Salmo 88). “Quante volte questo grido di sofferenza si è dovuto levare dal cuore di donne e di uomini dal 1 settembre 1939 alla fine dell’estate 1945. Ma occorre parlarne? Bisogna far sì che quel tragico evento non cessi di essere un avvertimento. La generazione che l’ha sperimentato e sofferto vive ancora”. Vaticano, 26 agosto 1989 – Papa Giovanni Paolo II (Lett. Apostolica per il 50° anniversario dell’inizio della II guerra mondiale).Fino a qualche decennio fa, tra i massacri degli anni tragici della 2° guerra mondiale, per la Storia ufficiale c’era soltanto posto per l’olocausto degli ebrei, ora pare che abbia preso piede anche quello delle foibe: un piccolo olocausto, in questo caso di uomini e donne italiane.Certo ancora altre mattanze fanno fatica ad essere riconosciute e pensiamo all’Holodomor ucraino, per settant’anni censurato, una carestia di massa pianificata a tavolino dai comunisti sovietici che in quattro anni dal 1929 al 1933 ha causato quasi 6 milioni di ucraini morti, tanti quanti furono gli ebrei eliminati da Hitler. E come non ricordare “Le fosse di Katyn”, dove vennero trucidati a freddo migliaia di militari polacchi che si erano consegnati ai sovietici per sfuggire alla cattura da parte dei tedeschi. In pratica l’intera classe dirigente della futura Polonia è stata eliminata per ordine di Stalin.A questo proposito sarebbe importante che qualcuno progettasse, come hanno fatto per l’olocausto ebraico, di far partire qualche “treno della memoria” per far visitare anche i luoghi di questi orrori. Anzi, forse sarebbe meglio farlo partire dalla Stazione di Bologna, dove nel 1946 si è verificato un episodio di vera barbarie, protagonisti i ferrovieri comunisti che con tanto di bandiere rosse inveivanp contro gli esuli istriani dalmati giuliani al grido di “fascisti”, di fatto impedendogli di scendere dal treno e quindi di essere aiutati dalle dame della carità venuti in loro soccorso. Del resto per molto tempo i comunisti italiani erano convinti che dentro le foibe ci fossero soltanto fascisti che hanno meritato questa fine.L’episodio di Bologna viene raccontato anche nel libro “Magazzino 18” di Simone Cristicchi appena uscito nelle librerie, che riporta la citazione dell’Unità del 30 novembre 1946, che considerava gli esuli degli “indesiderabili(…) criminali (…) che sfuggono al giusto castigo della giustizia popolare jugoslava e che si presentano qui da noi, in veste di vittime, essi che furono carnefici”.Dunque le foibe entrano nel dizionario criminale. Il termine “foiba” deriva dal latino “fovea” e significa fossa, cava, buca. Le foibe sono voragini rocciose, create dall’erosione violenta di molti corsi d’acqua; possono raggiungere anche 300 metri di profondità e si perdono in tanti cunicoli nelle viscere della terra. In Istria esistono 1.700 foibe. Queste cavità venivano usate abitualmente come discariche, dove veniva gettato ciò che non serviva più, ma tra il 1943 e il 45 furono utilizzate per “infoibare” (spingere nella foiba) migliaia di istriani e triestini, ma anche slavi, antifascisti e fascisti, colpevoli di opporsi all’espansionismo comunista del maresciallo Tito.I massacri degli italiani si sono svolti in due fasi, la prima nel 1943 subito dopo l’armistizio dell’8 settembre di Badoglio: in breve sia i militari italiani che i civili si trovarono in balia delle epurazioni, delle rappresaglie e delle vendette degli slavi partigiani comunisti. I titini conquistarono rapidamente l’Istria senza essere contrastati da nessuno. Il 26 settembre a Pisino fu proclamata la separazione dell’Istria dall’Italia e il suo ricongiungimento alla madrepatria jugoslavia. Furono abolite tutte le leggi politiche, economiche e sociali imposte dal regime fascista e soprattutto, scrive Arrigo Petacco, nel suo “Esodo”: “veniva stabilito che tutti gli italiani trasferiti in Istria dopo il 1918 sarebbero stati ‘restituiti all’Italia’ e che tutte le forzate italianizzazioni dei nomi e delle scritte avrebbero riassunto i vecchi nomi croati”. A Pisino viene istituito un “Tribunale del popolo”, composto da tre contadini, presieduto da Ivan Motika, il “boia”, un avvocato di Zagabria. Da questo momento, inizia la caccia al fascista, all’italiano, entra in azione la “ghepeù slava”.E’ una stagione di terrore in cui gli uomini del nuovo potere si aggirano per i paesi armi in pugno, minacciano epurazioni e vendette e, soprattutto di notte penetrano nelle case prelevando uomini e donne sulla cui sorte nulla dicono. Si tende ad eliminare la classe dirigente italiana di ogni attività, dal podestà all’ufficiale postale, dalla levatrice, all’insegnante, al carabiniere etc.Nessuno sa quanti siano stati gli infoibati. Stime ricorrenti esprimono valutazioni da un minimo di cinquemila ad un massimo di oltre ventimila vittime. In grande maggioranza sono italiani, ma gli storici scrivono che c’erano anche tedeschi, ustascia, cetnici e persino soldati neozelandesi dell’esercito britannico. “In realtà, – scrive Petacco – il conto esatto non si potrà mai fare. Nella foiba di Basovizza, presso Trieste furono ricuperati 500 metri cubi di resti umani e si calcolò brutalmente che le vittime dovevano essere 2.000: quattro per metro cubo”. Naturalmente gli jugoslavi hanno sempre rifiutato ogni forma di collaborazione e comunque avevano già distrutto gli archivi. Tra i tanti episodi di uccisioni di uomini e donne, abitualmente sui libri si ricorda quella di Norma Cossetto, una ragazza istriana di 23 anni, di Santa Domenica di Visinada, che ha subito un vero e proprio martirio dai suoi aguzzini. Norma ormai simboleggia la bestiale ondata di violenza che si abbatté sugli italiani. Dopo atroci sevizie e torture, i martiri spesso venivano evirati e denudati, condotti nei pressi della foiba, gli venivano legati i polsi e i piedi con filo di ferro e poi uniti gli uni agli altri sempre tramite fil di ferro. I partigiani si divertivano a sparare al primo del gruppo che cadeva nella foiba trascinando tutti gli altri, tra l’altro così risparmiavano le pallottole. Mentre nelle località costiere per eliminare gli italiani si preferiva utilizzare il metodo degli annegamenti collettivi. “Legati l’uno all’altro col filo di ferro e opportunamente zavorrati con grosse pietre venivano portati al largo su grosse barche e gettati in mare”, in pratica quello che facevano già i rivoluzionari giacobini in Francia con i vandeani.Si attua così un assassinio collettivo indiscriminato: una lotta senza pietà che usa il terrorismo per seminare il panico. Ormai si conoscono quasi tutti i numerosi giudici-carnefici che si resero tristemente famosi in tutta l’Istria per la loro spietatezza.Negli anni ’90 Il Secolo d’Italia, quotidiano di Alleanza Nazionale, aveva intrapreso una campagna di denuncia contro questi signori, i vari “Priebke jugoslavi”, alcuni tra l’altro percepivano la pensione da parte dello Stato italiano.La prima fase dei massacri degli italiani si concluse con l’arrivo dei soldati tedeschi, che paradossalmente furono accolti come liberatori, forse non era accaduto in nessun’altra parte d’Europa, scrive Petacco. L’Istria viene riconquistata, nasce la “Adriatisches Kustenland”, i tedeschi, soprattutto le SS operano una spietata controffensiva, naturalmente comportandosi come i comunisti titini. A questo punto si rimescolano le carte, troviamo italiani che combattono a fianco dei tedeschi, altri italiani con i partigiani titini che operano prevalentemente con azioni di guerriglia. E’ importante raccontare le varie posizioni politiche dei vari gruppi in guerra, in particolare il Pci di Togliatti che aveva scelto di combattere a fianco di Tito. Lo fanno bene Petacco, ma anche Pupo.La seconda fase dei massacri degli italiani iniziò subito dopo la disfatta nazista, alla fine di aprile 1945. “Enormi masse di uomini armati con le loro donne, i loro figli e le loro cose affardellate su muli e carriaggi, si erano messi in marcia dalle varie regioni della Jugoslavia puntando verso occidente”. In questo clima le truppe di Tito si aprono la strada avventandosi con armi in pugno su uomini e donne che magari avevano collaborato con gli occupanti tedeschi. Inizia la pulizia etnica e quella politica. Pensiamo che secondo testimonianze raccolte dallo storico Pier Arrigo Carnier, circa 75.000 croati furono uccisi nei dintorni di Maribor e sepolti in enormi fosse comuni. O alla consegna dei britannici ai sovietici dei 60.000 cosacchi della Carnia, che al momento della consegna, preferirono suicidarsi collettivamente.L’Italia subisce l’assalto degli eserciti di Tito, nella memoria di molti è rimasto quello dei cetnici del generale Draza Mihajlovic sulla città di Gorizia e poi i quaranta giorni di Trieste in mano alle “guardie del popolo” e alla polizia segreta OZNA di Tito che seminano il terrore. E poi l’esodo dei 350 mila italiani che preferirono abbandonare le loro terre e le loro case, di questo ne dà ampio risalto il libro di Raul Pupo, “Il lungo esodo”. Ma la rappresentazione teatrale “Magazzino 18” di Cristicchi, che vedremo lunedì in occasione della “Giornata del Ricordo”, sarà in grado di spiegare bene la tragedia che hanno subito tanti nostri connazionali.
ricordiamoli
Foibe..una parola che ancora oggi viene ignorata da molti, perché è una delle pagine più tristi e vergognose della nostra storia, quando migliaia di nostri connazionali furono uccisi per il solo fatto di essere italiani. Non voglio dilungarmi sugli eccidi, di testimonianze in Internet se ne trovano tantissime, ma voglio solo ricordare come tanti dei nostri attuali politici, Bersani, Vendola, Pisapia, votarono contro l’istituzione della giornata dedicata a questi martiri. Coscienza sporca dovuta ai trascorsi ? Chi lo sa…fatto sta che si sono comportati in maniera vergognosa.
Anche le parole hanno un significato
Anche se ero istupidita dalla febbre, ieri ho ascoltato comunque un telegiornale e le parole di Napolitano, che mi hanno lasciata perplessa e delusa.
Derive nazionalistiche europee…
queste sono la causa delle foibe per Napolitano. Cosa intendeva il nostro beneamato presidente con una simile affermazione? Tanta paura di nominare Tito ed i suoi partigiani comunisti? Comunisti non solo slavi, ma anche collaborazionisti italiani. Sono queste frasi che fanno male quanto la dimenticanza se non addirittura la negazione di quelle stragi per decenni.
Se si rinnega un passato, si abbia il coraggio di andare fino in fondo, denunciando anche le atrocita’ commesse in questo nome. Il male non e’ stato solo il nazifascismo, anche il comunismo ha procurato vittime, e gli infoibati sono tra queste. Almeno questo, Presidente, poteva dirlo.
la foiba
Fu fine più pietosa
quella del giustiziato
con un colpo alla nuca
che non quella di chi,
alla spoglia legato
con un filo di ferro,
fu gettato nel baratro ancor vivo
a consumare la propria sofferenza.
Non odio, ma l’essenza
stessa della barbarie,
che retrocede l’uomo
assetato di sangue
simile a belva
priva di sentimento,
rendendolo assassino
d’incolpevoli vittime,
un’altra volta uccise
dall’annoso silenzio
per il loro massacro.
(loredana)
10 febbraio…le Foibe….non dimentichiamo
Eran giorni di sangue, eran giorni senza fine
Per le orde slave l’ultimo confine
Erano gli ultimi fuochi di un’infinita guerra
E quei barbari feroci volevan quella terra
Uomini e donne venivan massacrati
Loro sola colpa italiani essere nati
Vecchi e bambini gettati negli abissi
Spinti giú nel vuoto dal gendarmi rossi
Foibe nella roccia e di roccia era anche il cuore
Di un maresciallo boia di tanta gente senza nome
Venivano sospinti con furore e odio
Vittime prescelte per un vero genocidio
E dopo cinquant’anni han finito di scoprire
Ció che sempre si é saputo continuano a mentire
Ma non avranno mai pace quelle nude ossa
Finché esisterá l’immonda bestia rossa
E’ passato tanto tempo ma il mio cuore gioisce ancora
Quando Signora Morte suonó la sua ultima ora
Per quel maresciallo assassino di innocenti
Per quel boia immondo assassino di tanti
E non posso piú scordare e il mio cuore piange ancora
Al ricordo di un presidente che ha baciato la sua bara
Presidente di quell’Italia che ha voluto dimenticare
Chi fu massacrato perché Italiano volle restare
Maresciallo Assassino Tito boia.
(Quel maresciallo cui hanno intitolato un sacco di vie e piazze in Italia, e che è stato pure insignito di onorificenze dallo Stato Italiano e che ora si chiede che gli vengano revocate)
Ricorrenze
Ed eccoci nel 2011, l’anno in cui si festeggia il 150^ dell’Unità d’Italia. Per me altoatesina non ha alcun significato, perché la mia regione fu annessa all’Italia solo alla fine della Grande guerra. Anche Trieste è in una situazione analoga, anzi,la sua annessione definitiva si verificò addirittura solo dopo la seconda Guerra mondiale… Ed oggi tutti a festeggiare il Tricolore, anche quelli che anni addietro lo bruciavano in piazza, ritenendolo un simbolo fascista e sostituivano l’Inno di Mameli (bruttarello assai a dire il vero), con “Bella ciao” e non profferirono parola alla soppressione di alcune feste nazionali quali il 4 novembre ed il 2 giugno, gli stessi che su “l’Unità” titolarono che Trieste era libera all’entrata delle truppe titine, dimenticando eccidi, foibe e l’assassinio dei cosiddetti “partigiani bianchi”, cattolici ed azionisti, quindi non comunisti, additati come traditori!
Ed ora queste stesse persone che prima osannavano l’Unità (giornale) come strumento di divulgazione politica, inneggiano ora all’Unità d’Italia… Belle facce di tolla.
Cosa ne pensate?