La madre esemplare
Gira sul web la lettera che un uomo, già tossico in gioventù, ha inviato al “Fatto quotidiano”, spiegando quanto sua madre gli sia stata vicino in quel triste e brutto periodo, recandosi (udite udite!) in farmacia per acquistare siringhe pulite affinché non si infettasse, accompagnandolo in auto a comprare le dosi, pagandole perfino.
La lettera (*) è molto bella, con parole davvero “sentite” e commoventi e naturalmente gli elogi per questa mamma, messa in contrapposizione a quella di Lavagna, si sprecano.
Madre esemplare, definita addirittura “sublime” (sic!)…
Eh no, cari signori, qui si rasenta l’ipocrisia.
La signora in questione è stata solo fortunata.
Se per caso il figlio fosse morto per overdose, sareste tutti ad esecrare quella donna snaturata che, con le sue stesse mani, riforniva il figlio dei mezzi per drogarsi.
Poi quanti criticavano la madre di Lavagna perché il figlio si faceva le canne in quanto non poteva essere considerata una vera madre perché adottiva e che quindi il ragazzo non trovava corrispondenza in famiglia, mi spieghino perché un figlio biologico con una madre tanto amorevole e comprensiva si faceva di eroina.
Ho notato inoltre che tra quanti disprezzano la mamma di Lavagna si trovano molte persone favorevoli all’adozione di minori da parte di omosessuali.
Decidetevi, ma usando la coerenza.
Da parte mia, continuo a rifiutare l’ipocrisia.
(*)
Ci ho messo tempo, tanto tempo a decidere se scrivere o meno queste poche righe sui fatti di Lavagna. Se ho deciso di farlo è un po’ perché sento che mi riguardano da vicino, da troppo vicino, un po’ perché mi provocano un dolore insopportabile e, scrivendone, mi illudo che diminuisca.
Ma dirò poche cose, le mie posizioni antiproibizioniste non sono un mistero per nessuno.
Vede, signora, non voglio farle la morale e nemmeno giudicarla. In un certo senso, scrivere queste righe mi dà pena e imbarazzo.
Che fosse stato o meno partorito dal suo ventre, la morte di un figlio è il dolore più immenso che possa capitarci. Merita il rispetto di chiunque, anche di chi, come me, trova quanto lei ha fatto incomprensibile, per certi versi orrendo e assolutamente innaturale.
Voglio solo raccontarle una breve storia: la mia.
Tra i 20 e i 28 anni io sono stato un ‘junkie’, ho provato, con sostanze ben più pericolose e devastati della cannabis, a distruggere la mia vita. Oggi so perché e non mette conto parlarne qua.
Ma per quasi 6 anni, dal momento in cui se ne è accorta, ogni giorno mia madre mi è stata vicina, mi permetteva di farlo in casa, mi comprava siringhe pulite che i farmacisti a me non avrebbero dato, mi accompagnava, senza mai dar segno di vergogna, al Sert per prendere le dosi di Metadone.
Soffriva, soffriva immensamente, soffriva senza posa, senza respiro, ma è stata là ogni giorno, sempre con la mano tesa verso di me, armata di pazienza. Ha aspettato. Oh quanto ha aspettato: che io tornassi vivo la sera, che capissi quanto grande era il suo dolore, che trovassi la voglia e il tempo per dimostrarle il mio amore, che capissi che stavo uccidendomi.
Lei aspettava e io fuggivo. Ma, quando tornavo, era là. Se stavo troppo male per trovarmi da solo una dose, si metteva in macchina con me, mi accompagnava, stava attenta a che guidassi senza imprudenze, subiva di incontrare con me quelli che sulla mia vita lucravano, li odiava, ovviamente, ma aspettava con me che arrivassero, li pagava, mi riaccompagnava a casa. Incredibile vero? Ma continuava ad aspettare e a parlarmi, a farmi sentire che non ero solo, che un filo, un esile filo tra me e la realtà era rimasto e che se mi fossi attaccato a quel filo, avrei potuto risalire la china, essere di nuovo libero, riacquistare il diritto e la voglia di realizzare i miei sogni, che erano anche i suoi. E infine ha vinto lei.
Io oggi ho 60 anni, sono vivo, non ho l’Aids, ho tutti i miei denti in bocca, scrivo poesie e le metto in musica, insegno a splendidi ragazzi, ho una famiglia normale e un bellissimo figlio e non ho mai più sentito il desiderio di tornare indietro. Mai.
Quando ho pubblicato il mio primo romanzo, l’ho dedicato a lei, perché mi aveva partorito due volte.
Mia madre non ha mai nemmeno pensato di denunciarmi, sapeva bene che a uccidermi non era quella sostanza, ma il dolore, la solitudine, lo sperdimento. E contro il dolore non c’è Guardia di Finanza che tenga. Non si può vietare il dolore. Con il dolore e il disagio, soprattutto con quello dei propri figli, bisogna farci i conti, mi creda.
Non è la droga che uccide i nostri figli, gentile signora, è questo nostro modo di vivere, di convivere, questa nostra incapacità di parlarci, toccarci, stare insieme, condividere, anche e soprattutto in famiglia.
Non è certo colpa sua, se noi anziani abbiamo così poco da dire e da insegnare ai giovani: vivono in un mondo totalmente diverso dal nostro, almeno quanto quello dei nostri nonni era sostanzialmente simile al nostro, quando avevamo la loro età.
in-giustizia
Quando l’assassino diventa il giudice, perché non convalidare l’arresto di chi, sotto l’influsso di alcool o droga, causa un incidente stradale con dei morti, significa di fatto, rendersi corresponsabile del delinquente, uccidendo le vittime una seconda volta.
Ora l’albanese che ha causato la morte dei quattro ragazzi francesi è stato incarcerato, ma solo perché aveva dei precedenti per aggressione ad un automobilista e perché nel 2006 gli era già stata ritirata per un mese la patente per guida in stato di ebbrezza. La motivazione per cui il PM non aveva effettuato subito l’arresto, era stato infatti “perché il codice non lo prevede”, in quanto non c’era stata omissione di soccorso, non c’era pericolo di fuga o di reiterazione del reato o la possibilità di inquinare le prove.
Con questa legislazione, di fatto, viene equiparato chi ha un incidente a causa di un malore o per un guasto alla macchina a chi, teoricamente, ha una “licenza di uccidere” essendosi posto alla guida in condizioni fisiche alterate da sostanze proibite.
Da tempo esistono disegni di legge per modificare questa situazione, il ministro Maroni ha addirittura proposto il reato di omicidio stradale, c’è solo da augurarsi che queste proposte divengano realtà e che i colpevoli, finalmente, paghino per quello che hanno causato.
Cristiano sì, però….
Da laica mi chiedo oggi se abbia ancora senso oggi essere “cristiani”, politicamente intendo.
Come agnostica molto probabilmente non sono la persona più adatta a commentare un simile argomento, però ho svariati dubbi…
Quando un Pisapia invita i suoi a porgere l’altra guancia… mentre un don (?) de Capitani augura, poco cristianamente, che a Berlusconi venga un ictus, resto sconcertata.
Quando un cardinale Tettamanzi, arcivescovo di Milano, auspica la costruzione di moschee, senza considerare che non solo la costruzione di nuove chiese nei paesi arabi non è permessa, ma che quelle esistenti vengono distrutte ed i suoi frequentatori vessati e spesso massacrati, la perplessità aumenta, anche perché nessuno considera che l’Islam in Italia avanzerà sempre maggiori richieste.
Per inciso, la grande moschea di Roma, firmata addirittura da Renzo Piano, è semivuota, come quella di Colle Val d’Elsa, però l’UCOII ne pretende una a Firenze.
Quando esponenti dell’ex DC, diventati catto-comunisti, appoggiano partiti che promuovono lo sfascio della famiglia tradizionale, la droga, l’aborto e l’eutanasia, (per certi versi ed in certe situazioni personalmente non sono preconcettualmente contraria, ma come ho detto IO sono laica), non mi ci raccapezzo
.
Se uno si ritiene “cristiano”, deve anche osservare le regole, i precetti ed i comandamenti che la sua religione gli impone, altrimenti faccia a meno di nascondersi dietro una sigla di comodo o di professarsi cristiano appoggiando partiti che propongono tutto il contrario di quello che la religione richiede, valori che ritengo assolutamente non negoziabili.
Al giorno d’oggi credo che essere cristiano sia una posizione di comodo. La nostra educazione di fondo è cristiana (vedi “Perché non possiamo non dirci cristiani”, di Benedetto Croce), ma in pratica pochissimi professano la religione. Le chiese si svuotano, le trasgressioni aumentano, le tentazioni sono sempre sotto i nostri occhi, ed il comportamento di alcuni che ci dovrebbero essere d’esempio è a volte deleterio, tanto da ritenerci magari autorizzati a fare altrettanto.
Lo schieramento di una parte della Chiesa si adegua quindi a questo nostro modo di vivere, a questa nuova “morale”, anche se, personalmente, di morale non ci vedo assolutamente niente.
Cosa ne pensate?