Bruges – prima parte
Confesso che il Belgio non ci aveva mai attirato più di tanto, finché un paio di anni fa abbiamo visto un film, un thriller interessante e psicologico, (In Bruges – La coscienza dell’assassino, con Colin Farrell e Brendan Gleeson) in cui veniva mostrata la città di Bruges, anzi Brugge, come la chiamano i locali in lingua olandese.
È nata così l’idea di visitare questa città. Contrariamente alle nostre abitudini, abbiamo alloggiato proprio in centro città, a pochi metri di distanza dal Markt, da quale ci separava solo una stretta stradina. Anzi, la torre che sovrastava i tetti era visibilissima dalla nostra stanza, situata proprio in una mansarda all’ultimo piano e con un magnifico sguardo sui tetti delle case circostanti.
Un pizzico di storia
Per conoscere meglio la città è bene sapere anche qualcosa sulla sua storia.
Bruges è una cittadina relativamente recente. Non ha infatti radici romane, come Treviri, Colonia, Aquisgrana. Due millenni fa non era conosciuta affatto, essendo probabilmente solo un piccolo insediamento di poca importanza. Ma nella prima metà del IX secolo si verificò una scorreria normanna tramite il braccio di mare dello Zwin arrivando fino all’interno del paese, e gli invasori chiamarono questo posto Bryghia, che nella loro lingua significava “approdo”.
Il conte Baldovino 1° (detto “dal Braccio di Ferro”)
fece costruire una fortezza entro le mura della quale si rifugiarono gli abitanti conservando il nome datole dai Normanni. Intorno a questa fortezza si sviluppò piano piano tutta la città. Con il passare del tempo Bryghia divenne Brugge e divenne un centro fiorente per il commercio tra le vie del Nord e de Sud, ma specialmente tra i commercianti dell’Ovest e dell’Est (Oesterlingen), ai quali è dedicata una piazza, in quanto furono i promotori della Lega Anseatica. Il periodo di maggior splendore fu il XV secolo, quando le manifatture tessili e le ditte commerciali incrementarono molto la ricchezza della città, tanto che essa diventò, grazie anche ai grandi banchieri italiani che vi si insediarono, specialmente della famiglia Medici, l’equivalente dell’odierna Francoforte. Non per altro l’etimologia della parola “Borsa” deriva dalla famiglia van den Bursen, di Bruges, che sul frontone della casa aveva tre borse scolpite.
Nella piazza antistante alla dimora si tenevano le contrattazioni dei commercianti, molti dei quali veneziani, così il luogo del mercato e delle contrattazioni divenne “la Borsa”. Nel contempo si svilupparono anche le arti, con i pittori della corrente dei “Fiamminghi Primitivi” che, unitamente alla pittura italiana, rappresentarono una delle più importanti scuole pittoriche di quell’epoca.. Tanto importante allora la città che perfino Dante la cita nel XV canto dell’Inferno
Quali Fiamminghi tra Guizzante e Bruggia,
temendo ‘l fiotto che ‘nver lor s’avventa,
fanno lo schermo perché ‘l mar si fuggia;
Purtroppo alla fine dello stesso secolo iniziò il lento declino della città. Un poco le vicende politiche e sociali, ma in principal modo l’insabbiamento del canale che collegava la città al mare, costituirono la causa del suo decadimento. Piano piano tutte le attività si spostarono verso le altre città anseatiche, specialmente ad Anversa che iniziò a fiorire. Questo periodo nero durò per circa quattro secoli. Non essendoci più nessuna attività, gli abitanti cercarono semplicemente di sopravvivere, lasciando tutto inalterato, anche per mancanza di denaro; paradossalmente la miseria di allora è diventata la ricchezza odierna di Bruges, in quanto il centro medievale si è conservato inalterato, diventando così patrimonio dell’Unesco.
La rinascita però è merito degli inglesi. Molti di loro si recavano in una sorta di pellegrinaggio per visitare Waterloo dove Napoleone era stato sconfitto e si fermavano a Bruges, dove il costo della vita, data la condizione miseranda della città, era meno cara.
Molti di loro decisero così di trasferirsi definitamente a Bruges dove, con la loro piccola pensione, potevano comunque vivere bene. Furono loro a riscoprire e valorizzare le bellezze della città e a far conoscere i primitivi Fiamminghi al mondo dell’arte. Un’altra corrente di turisti fu stimolata dal romanzo “Bruges la morta” di Georges Rodenbach, un romanzo simbolista che oggi sarebbe etichettato come un “noir”, dove viene evidenziato l’aspetto tetro e lugubre della città.
Verso il 1900 re Leopoldo II di Sassonia-Coburgo decise di costruire un porto (Zeebrugge) aprendo contemporaneamente un canale che arrivava fino in città. Sempre in quel periodo Brugge venne gemellata con Norimberga, anch’essa con un centro storico magnificamente conservato, gemellaggio ancora molto attivo ai giorni nostri.
La prima guerra Mondiale non arrecò particolari danni a Bruges, tranne la chiusura dei canali da parte degli inglesi per impedirne l’utilizzo ai sottomarini tedeschi.
Ci fu infine la seconda guerra mondiale e qui si può dire che una santa mano salvò la città per ben due volte. La prima volta fu progettata una linea difensiva lungo il canale che da Zeebrugge arrivava fino in città, per fermare un eventuale sbarco degli alleato lungo la costa. Il comandante tedesco però, vista l’inutilità di una Battaglia per Brugge, convocò il sindaco dicendo che qualora lo sbarco fosse avvenuto i tedeschi si sarebbero ritirati per evitare di finire accerchiati. Naturalmente sapeva che il borgomastro avrebbe avvertito gli americani, che invece si diressero qualche chilometro più a sud della città, risparmiando così quelle antichissime abitazioni. Ancora più eccezionale invece fu il secondo avvenimento. Immo Hopman, il comandante al quale era stato ordinato di distruggere a cannonate la città, si rifiutò di eseguire l’ordine, con la scusante che Bruges non aveva nessuna importanza strategica…e fortunatamente i suoi superiori gli dettero ragione, salvando così la città dalla distruzione. Così oggi possiamo ammirare questa cittadina dove, almeno entro “l’uovo”,
il tempo sembra essersi fermato, passeggiare lungo i suoi canali e riacquistare un’altra dimensione.
Il Marpione
Ho sempre avuto ammirazione e simpatia per i toscani. Lasciamo perdere i “classici”, come Dante, Petrarca,Boccaccio, Michelangelo, Giotto etc e passiamo ai contemporanei : ho una vera adorazione per Alessandro Benvenuti, mi piacciono Leonardo Pieraccioni e quel povero cristo di Francesco Nuti prima che la malattia lo riducesse molto, molto male… Paolo Hendel, Athina Cenci ed il “vecchietto” Novello Novelli sono anche tra i miei preferiti… Mi è simpatico anche quella faccia da schiaffi di Ceccherini, un pochino meno Panariello, ma ce n’è uno che proprio non digerisco.
Decisamente non sopporto più Roberto Benigni e la sua volgarità che non data da adesso, ma da tanto, tanto tempo, ancora dai tempi di “Televacca”. Ricordo il suo “Inno del corpo sciolto”, i palpeggiamenti alle parti intime di Pippo Baudo, lo sbaciucchiare e brancicare Raffaella Carrà… Tutte cose che mi hanno dato estremo fastidio, specie perché passate sulla televisione pubblica. Quindi nel contesto odierno, tra gli insulti di Grillo, la ribollita toscana Bindi che manda affan… la zarina Rossa Berlinguer ed altre amenità del genere, Benigni ci sta a meraviglia, la classica ciliegina sulla torta.
Un personaggio ritenuto genio, anzi geniaccio, ma le cui uniche performances rimarchevoli sono l’aver camminato sulle spalle altrui alla cerimonia per il ritiro dell’Oscar, e l’essere arrivato sul palco di Sanremo sul dorso di un cavallo bianco con tanto di vessillo sventolante propinandoci pistolotti scontati sull’Unità d’Italia a tutto spiano. Ma chi si crede di essere?
Ed ora tra pochi giorni ci delizierà con la lettura e l”interpretazione della Costituzione, la più bella del mondo…sarà, ma la nostra carta ha anche bisogno di un ritocchino perché ormai mostra tutti i segni dell’età. Ma si sa: noi, popolo bue, dobbiamo essere “educati”, quindi via libera alla lezioncina esplicativa.
Boh, la RAI non può buttar via i suoi soldi in maniera migliore? Si parla di 1,8 milioni di euro, cui aggiungere altri 4 milioni per le 12 serate “Tutto Dante”, alla faccia della crisi ed alla faccia dei “compagni” che sono sempre meno proletari e sempre più capitalisti.
Se la lettura dei versi della Divina commedia ci può anche stare (ma li avete mai sentiti declamare da Gassman, Carmelo Bene o Albertazzi?), la Costituzione…per carità, no…
Personalmente poi non ritengo Benigni neppure un attore (figuriamoci poi un “grande” attore), ma un guitto, un istrione grottesco, una maschera dai tratti volgari e dall’espressione pressocché perennemente imbambolata ….e un marpione estremamente sopravvalutato da pubblico e critica (e forse è stata la critica ad influenzare il pubblico). E se i primi filmetti erano “cosine” simpatiche, molti sono stati i flop, anche al botteghino. Ciononostante, il nostro trova sempre spazi sulla televisione pubblica, e pure a caro prezzo.
Tutto questo, dato che pur non guardando quasi mai la TV, mi fa incavolare e parecchio perché sono una di quelle stupide che paga regolarmente il canone per tutte le scempiaggini che vengono mandate in onda.
Confrontate…
(Intervento rebloggato da quello già postato su Fuga da Polis per acuto attacco di pigrizia)
Cosa ne pensate?