La vita è sogno, soltanto sogno, il sogno di un sogno (Edgar Allan Poe)

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Venezia

Ti è mai accaduto di vedere una città che assomigli a questa? – chiedeva Kublai a Marco Polo sporgendo la mano inanellata fuori dal baldacchino di seta del bucintoro imperiale, a indicare i ponti che s’incurvano sui canali, i palazzi principeschi le cui soglie di marmo s’immergono nell’acqua, l’andirivieni di battelli leggeri che volteggiano a zigzag spinti da lunghi remi, le chiatte che scaricano ceste di ortaggi sulle piazze, dei mercati, i balconi, le altane, le cupole, i campanili, i giardini delle isole che verdeggiano nel grigio della laguna.

L’imperatore, accompagnato dal suo dignitario forestiero, visitava Quinsai, antica capitale di spodestate dinastie, ultima perla incastonata nella corona de Gran Kan.

– No, sire, – rispose Marco, – mai avrei immaginato che potesse esistere una città simile a questa. L’imperatore cercò di scrutarlo negli occhi. Lo straniero abbassò lo sguardo. Kublai restò silenzioso per tutto il giorno.

Dopo il tramonto, sulle terrazze della reggia, Marco Polo esponeva al sovrano le risultanze delle sue ambascerie. D’abitudine il Gran Kan terminava le sue sere assaporando a occhi socchiusi questi racconti finché il suo primo sbadiglio non dava il segnale al corteo dei paggi d’accendere le fiaccole per guidare il sovrano al Padiglione dell’Augusto Sonno. Ma stavolta Kublai non sembrava disposto a cedere alla stanchez­za. – Dimmi ancora un’altra città, – insisteva.

– … Di là l’uomo si parte e cavalca tre giornate tra greco e levante… – riprendeva a dire Marco, e a enumerare nomi e costumi e commerci d’un gran numero di terre. Il suo repertorio poteva dirsi inesauribile, ma ora toccò a lui d’arrendersi. Era l’alba quando disse: -Sire, ormai ti ho parlato di tutte le città che conosco. – Ne resta una di cui non parli mai.

Marco Polo chinò il capo. – Venezia, – disse il Kan.

Marco sorrise. – E di che altro credevi che ti parlassi?

L’imperatore non batté ciglio. – Eppure non ti ho mai sentito fare il suo nome.

E Polo: – Ogni volta che descrivo una città dico qualcosa di Venezia.

– Quando ti chiedo d’altre città, voglio sentirti dire di quelle. E di Venezia, quando ti chiedo di Venezia. – Per distinguere le qualità delle altre, devo partire da una prima città che resta implicita. Per me è Venezia.

– Dovresti allora cominciare ogni racconto dei tuoi viaggi dalla partenza, descrivendo Venezia così com’è, tutta quanta, senza omettere nulla di ciò che ri­cordi di lei.

L’acqua del lago era appena increspata; il riflesso di rame dell’antica reggia dei Sung si frantumava in riverberi scintillanti come foglie che galleggiano.

– Le immagini della memoria, una volta fissate con le parole, si cancellano, – disse Polo. – Forse Venezia ho paura di perderla tutta in una volta, se ne parlo. O forse, parlando d’altre città, l’ho già perduta a poco a poco.

Italo Calvino, Le città invisibili

Dipinto del Canaletto


Dresda 12_15 maggio/7 Gemaelde Galerie – Canaletto

 
Gemaelde Galerie
Bellotto e Canaletto
 
Fra tutte le tele che mi sono piaciute di più ci sono però le tele dei due Canaletto. Il più conosciuto è Giovanni Antonio Canal, celebre per le sue vedute di Venezia, ma a Dresda prestò la sua opera il nipote, Bernardo Bellotto, non inferiore allo zio per la tecnica pittorica e la nitidezza  dei suoi paesaggi, di una precisione quasi fotografica, qui sotto rappresentati.
 
Qui sotto la Frauenkirche con il nuovo mercato
 
 
 
la Hofkirche e il ponte Augusto
 
 
sempre la Frauenkirche, da un’altra angolazione
 
 
una veduta di Pirna, alle porte di Dresda
 
 
La Kreuzkirche prima del crollo
 
 
e dopo, con le rovine
 
 
Non mancano però altre vedute, specie di Verona e dell’Adige, come quella seguente
 
 
 
o dei palazzi
 
 
 

 
 
Qui di seguito invece un paio di vedute di Venezia dipinte dal Canaletto (lo zio)