La Rosa Nera
Vedere la Lega Nord, da sempre garantista, comportarsi alla stessa maniera dei soliti partiti giustizialisti non fa per nulla bene al movimento. La “scomunica” di Rosi Mauro e la richiesta delle sue dimissioni sa tanto di ricerca di un capro espiatorio più che altro per distogliere l’attenzione da nomi molto più altisonanti ed importanti del suo.
Ora non dico che sia innocente “a prescindere”, dico solo che innanzitutto le accuse che le sono state mosse debbono essere provate e suffragata da prove concrete.
Non ho mai nascosto la mia simpatia e stima per Maroni, ma questa volta mi sembra proprio che voglia mandare al rogo la Rosi solo per salvare le chiappe a coloro i cui nomi appaiono nei faldoni “family” sequestrati a Belsito. Ritengo sia giusto fare pulizia e che chi ha rubato restituisca tutto fino all’ultimo centesimo, ma il ladrocinio deve essere provato e comprovato. La Mauro afferma che può dimostrare che i soldi usciti da via Bellerio sono affluiti al Sin.Pa. e che lei non ha nessuna laurea, né italiana né estera, come avevano insinuato i suoi detrattori, mentre nel dossier dell’ex tesoriere leghista ci sono le pezze giustificative dei pagamenti effettuati per la “famiglia”.
Da questa storia non ne esce bene nemmeno il Senatùr, perché fa la figura del malato rimbambito dall’ictus e succube del famoso cerchio magico, nel quale la Rosi aveva certamente un ruolo predominante, ma mai come quello della moglie del padre fondatore del movimento leghista.
Ma la porcata più grande la stanno compiendo al Senato, dove a presiedere le sedute hanno messo Schifani fino a che, come ha detto la Finocchiaro, ci sarà la necessità di salvaguardare il decoro del Senato. Alla Camera non è stato fatto altrettanto con Fini che resta saldamente incollato allo scranno nonostante le vicissitudini familiari.
E tutto questo mi convalida la convinzione che la politica, nessun movimento escluso, ormai sia solamente un’enorme cloaca dove si trova di tutto e di più.
La caduta dell’Impero Padano (?)
Vedere Bossi “insci’ cunscià” fa male al cuore. Nel suo sguardo si legge la delusione per il tradimento, (non quello di Maroni, che ha solo preso atto di quanto stava succedendo e da tempo richiedeva un congresso), ma quello degli affetti a lui più cari, la famiglia ed il cosiddetto “cerchio magico” (la cui esistenza tutti si ostinavano a negare) nel quale era stato imprigionato dopo che era stato colpito dalla grave forma di ictus. Cerchio manovrato da qualcuno/a che aveva a cuore altri “interessi” assai più materiali, che ha proposto e promosso Belsito a tesoriere dopo la scomparsa di Balocchi, che ha favorito l’ascesa politica del Trota. Un cerchio che non ha prodotto protezione, ma l’isolamento del Capo, specie nei confronti della base.
Il profumo dei soldi (pecunia non olet) contagia un po’ tutti, di qualunque colore politico, però mi riesce difficile pensare ad un Bossi, tradizionalmente trasandato, spesso in canottiera, che pasteggia a pizza, cocacola e sardine (certo non gli antipasti e gli spaghetti di Lusi per fare un esempio), che si è impossessato dei fondi del partito, anche se tutto è possibile; aspettiamo il riscontro delle indagini promosse tra l’altro da Woodcock, quello delle cause perse, che chissà perché, proprio in periodo di amministrative, si interessa dei casi della Lega, mentre non si è mai interessato dei casi del suo territorio, Bassolino in testa.
Come è anche sospetto il tempismo della procura di Reggio Calabria che ha detto che le connivenze tra Lega e ‘ndrangheta erano note da molto tempo… E vi fate vivi solo adesso? Mah…
E sempre a proposito: in Lega si sono visti carabinieri e finanzieri… E nella sede della Margherita? O da Penati? Nemmeno l’ombra… quella Margherita che, sparita da anni, nel 2010 riscuoteva ancora finanziamenti pubblici: 3.825.000 euro per spese di propaganda e cominicazione, 1.634.000 per collaborazioni e consulenze, 5330.00 per manutenzione di un sito Internet, 944.000 per viaggi e spese di rappresentanza (spese per un partito “defunto”?), tutte certificate nella regolarità dai revisori dei conti. Boh! Il che significa che davvero bisogna rivedere I finanziamenti ai partiti..ops…i rimborsi elettorali.
Però Maroni ha ragione: bisogna fare pulizia di chiunque dia adito anche solo a sospetti (vale, per me, il principio della “moglie di Cesare” ) qualunque sia il nome che porta. Poi, a pulizia effettuata, riprendere il programma federalista, perché la Lega non sono le persone, ma l’idea nata dal pensiero di quello che ora è un vecchio leone ferito.
Al di là di tante volgarità ‘ nelle quali Borghezio e Boso sono maestri, al di là di un certo folklore che si evidenzia nelle manifestazioni (Pontida, l’acqua del Po), l’idea federalista – abbracciata da molte persone, né becere né ignoranti come vengono dipinti da molti avversari – resta sempre valida, qualunque sia la persona che sarà alla guida del movimento. E di persone valide ce né sono molte, come appunto Maroni, Cota, Zaia e Tosi. E tra i leghisti beceri, razzisti ed ignoranti, guardacaso, non si registra in tanti anni nessun atto di violenza.
Avrei solo voluto che Bossi, subito dopo le sue dimissioni, avesse designato lui stesso un successore, anche se in via provvisoria, perché tre teste pensanti e importanti spesso entrano in conflitto, ma uno solo, designato dal Capo non avrebbe potuto essere messo in discussione.
I passi indietro
Un passo indietro
A novembre Berlusconi ha fatto il famoso passo indietro che tutti gli richiedevano. Non sto qui a considerare se abbia fatto bene o male. Dico solo che altri personaggi dovrebbero fare altrettanto.
Primo fra tutti Fini, che aveva promesso di dimettersi immediatamente dopo che Berlusconi se ne fosse andato, ma mantenere le promesse non e’ il suo forte, basti ricordare la questione dell’appartamento di Montecarlo.
Poi Bersani, per tutte le batoste che ha preso, ma anche lui si tiene incollato al cadreghino.
Infine Bossi, ormai attorniato dal cerchio magico ed avulso dalla realtà. Cerchio magico formato in parte dai “terroni” tanto invisi alla Lega, in primis la moglie seguita dalla Maraventano e dalla Mauro, che tanto ariana…ops padana non mi sembra. E guarda caso quasi tutte donne, a riprova che il tempo del celodurismo è ormai passato, forse anche a causa dell’età.
oggi 8 novembre 2011…
(immagine tratta da notiziario ANSA)
Era prevedibile il non raggiungimento della maggioranza al Governo e l’escamotage di approvare il disegno di legge del Rendiconto Generale ricorrendo all’astensione dal voto. Ho già etichettato come topi che fuggono i transfughi (quando si abolirà l’elezione “senza vincolo di mandato”, costringendo alle dimissioni chi cambia bandiera?), ma ho l’impressione che il Terzo polo abbia avuto il solo scopo di far cadere Berlusconi, sfangando però la responsabilità di andare al governo e mirando solo a mantenere il cadreghino grazie ad un eventuale governo di larghe intese (o di unità nazionale o di emergenza o tecnico o… etc etc) che scongiurerebbe nuove elezioni. Già’ perché Casini, da vecchia volpe democristiana, sa bene che nessuno possiede la ricetta per cambiare tutto in breve tempo, non c’è la bacchetta magica per risolvere i problemi, iniziando dallo spread a quasi 500. Un governo tecnico potrebbe solo far approvare misure popolari, ossia la tanto discussa patrimoniale, ma nessuna manovra cosiddetta strutturale, ad iniziare dall’età pensionabile e della modifica del mercato del lavoro. Esauriti questi fondi però si ricomincerà tutto daccapo, se non viene avvertita la necessità di diminuire le spese invece di aumentare sempre le entrate a mezzo le tasse.
Intanto si assiste al ritorno degli zombies, ossia Vincenzo Scotti (detto Tarzan per la sua capacità di saltare da una corrente all’altra nell’ambito della DC) e Paolo Cirino Pomicino. Si potrà dire che è il nuovo che avanza (sic!)…dato che il primo ha 75 anni suonati e l’altro solo 72 . Vabbè, anche Berlusconi ne ha 75 e Bossi 70, ma consideriamo che Casini è del 1955, Rutelli del 1954 e Fini del 1952, Bersani del 1951, Di Pietro del 1950, Vendola del 1958 e sono considerati giovani. Fa eccezione D’Alema che è del 1949…ma forse solo perché è da più tempo in politica pur essendo di solo un anno più vecchio di Di Pietro. Andreotti, che di primavere ne conta 92, resta a guardare…Poco da dire, gli ex DC sono come Highlander, che resisteva agli attacchi del tempo, eliminando gli avversari uno ad uno. Alla fine chi di loro resterà? Non ci resta che aspettare…
Cattiveria
Forse con l’età si dovrebbe diventare più buoni, ma io non ci riesco proprio, anzi divento più carogna o, per meglio dire, a carogna, carogna e mezzo.
Vista sul “Fatto quotidiano” un’abominevole vignetta di Disegni dove sfottono Bossi per la maniera di parlare dopo l’ictus subito. Non chiamatela satira, è solo una schifezza…fa il paio con quelle di Vauro sui terremotati d’Abruzzo. E per contrappasso auguro che lo stesso malanno capiti a chi l’ha fatta, non mi sento di dire, come ha commentato Castelli, che l’educazione cristiana gli impedisce di augurare lo stesso a Disegni e alla sua famiglia.
Poi, notizia recente, un povero giovane di 30 anni morto per assunzione di droga ed alcool durante un rave party…ma glielo aveva raccomandato il medico? A 30 anni uno dovrebbe essere in grado di capire certe cose. Sul profilo di FB leggo che aveva scritto che l’importante non è come si vive, ma il modo in cui si muore… Appunto, sei morto da pirla!
persone e non ideologie
C’è un uomo, di sinistra, che ammiro ed è Matteo Renzi, il sindaco di Firenze, che porta un’aria nuova in quel consesso di cariatidi che è diventato oggi il PD chiedendo di rottamare la vecchia nomenklatura iniziando dal leader Massimo che vuole una grande ammucchiata in veste antiberlusconiana e finendo con Franceschini che ogni volta che apre bocca lo fa solo per dare aria ai denti. Uno che considera Berlusconi un avversario da vincere in sede elettorale e non un nemico da abbattere a suon di denunce dei PM.
C’è una signora, di destra, che mi piace ancora di più, ed è Daniela Santanché, donna come si suol dire “con le palle”, perché ha il coraggio delle proprie azioni e non si tira indietro nonostante le minacce. A ragione si chiede dove erano tutte quelle donne che sfilavano per la dignità, quando lei si batteva per ottenere giustizia per le ragazze islamiche massacrate in Italia, o manifestava contro l’infibulazione, che talune donne di sinistra ritengono di non osteggiare, in quanto una tipica “tradizione” da manterere!
C’è un leghista che rispetto, ed è Roberto Maroni, che senza tanti squilli di tromba contro mafia e clandestinità ha ottenuto molti risultati e ancora all’inizio ci aveva messo in guardia contro quello che stava succedendo nell’Africa mediterranea, ma, come Cassandra, nessuno ascoltava.
In tutti i partiti ci sono persone che pacatamente o con passione perseguono i loro obiettivi, agendo con onestà e buon senso.
A fronte ci sono i buffoni.
Grillo che qualche tempo fa ad Anno Zero ha sbeffeggiato Bossi per l’ictus che l’ha colpito fa letteralmente schifo, perché non si denigra l’avversario politico evidenziando i difetti fisici, specie se dovuti alla malattia. Complimenti invece a Bossi per essersi rimesso in pista nonostante tutto.
Su Fini e compagnia cantante sorvolo… Dietro gli occhiali il niente, altro che grande statista! Ridotto a zerbino di Casini, non so se si sia reso conto di essere stato l’utile idiota di quanti volevano abbattere Berlusconi.
Berlusconi? Se ne parla troppo…lasciamo che sia il tempo il giudice delle sue azioni. Di Pietro? Beh, gli regalerei un testo di grammatica italiana, potrebbe fare a tempo perso un po’ di ripasso… Poi é uno che predica bene e razzola male, nel senso che non si presenta ad un processo in cui è implicato per presunta truffa per i rimborsi elettorali in quanto impedito, ma nega il legittimo impedimento a Berlusconi che di impegni credo che nella veste di PdC ne abbia di ben più importanti di un semplice leader di partito.
A parte considero Marco Giacinto Pannella che, nel bene e nel male, merita di appartenere ad ambedue le categorie.
Borghezio, ogni volta che apre bocca fa solo danni. Bersani? Mah, poverino, lui ci prova, anche sinceramente, ma non ne ha la statura…forse è per quello che sale sui tetti… Vendola? Potrebbe quasi piacermi…ma come amministratore della cosa pubblica è un vero disastro, basta vedere come governa la sua Regione che sta sprofondando in un profondo rosso…
Dalle stelle alle stalle
Da “il Giornale “ di oggi, articolo di Stenio Solinas
L’idea che qualcuno possa riconoscere in Gianfranco Fini un pensiero politico, mi ha sempre affascinato e il vedere oggi al suo fianco intellettuali e colleghi di partito un tempo suoi fieri avversari, mi conferma nell’idea che non c’è niente di più reale (…)
(…) dell’illusione. Nel suo DoppiFini. L’uomo che ha detto tutto e il contrario di tutto (Vallecchi, 228 pagine, 16 euro) Luca Negri passa brillantemente in rivista un trentennio e passa di politica finiana e si sforza di cavarci una logica: cosa nasconde, sembra chiedersi, questo funambolismo? Si sa che la natura ha orrore del vuoto e, come ogni giornalista che si rispetti, Negri cerca delle risposte. Si può essere, cito a caso, fascista e antifascista? Contro gli omosessuali e a favore degli omosessuali? Contro l’immigrazione perché corrode la nazione e a favore dell’immigrazione perché rinsalda la nazione? Contro la magistratura politicizzata e per la magistratura che fa politica? Cosa c’è dietro, di fianco, davanti?
Nel quindicennio che ha visto lo sdoganamento dell’allora Movimento sociale e l’ascesa politica di Fini, l’unico dato certo è che come segretario di partito è riuscito nell’incredibile impresa di farsi mangiare il partito stesso dal suo alleato di riferimento. Non è accaduto alla Lega di Bossi, non è accaduto all’Udc di Casini: avevano un progetto e un’idea politica e li hanno difesi, pagando dei prezzi, facendo delle scelte. Fini si è lasciato guidare dalla convinzione che un professionista della politica, quale lui si picca di essere, non avesse bisogno di alcuna strategia, potendo contare sulle proprie capacità tattiche. Ha avuto così, e così ha garantito, incarichi importanti e ministeri, in una logica di delfinato, l’unica che conosce per averla praticata con successo, che nella sua testa lo vedeva biologicamente vittorioso. Alla fine si è ritrovato senza regno e senza buona parte della corte, tutto sbagliato e tutto da rifare e, insomma, si ricomincia da capo. Rifondare un partito, diventare opposizione… L’uomo che volle farsi re, potrebbe essere il titolo del nuovo film destinato a sostituire i Berretti verdi della sua giovinezza cinematografica e politica.
Tanti anni fa, mi capitò di definire il Fini allora in corsa per la segreteria missina «un paio di occhiali sul nulla». A qualcuno, molti anni dopo, sembrò ingeneroso: era divenuto vicepresidente del Consiglio, aveva il secondo partito della coalizione, ministri di Alleanza nazionale, l’erede del Msi che fu, erano presenti nell’esecutivo… Il fatto è che si trattava di risultati talmente inimmaginabili ai tempi di quel giudizio, che per essi si poteva tranquillamente parlare di miracolo, elemento che non attiene alla politologia, anche se aiuta.
Va detto altresì, per capire meglio quella definizione, che il nulla, come pensiero politico, ha una sua logica e una sua grandezza. Nell’Italia terminale della Prima Repubblica qualsiasi scelta ideologica, di programma, di alleanze, di strategie avrebbe comportato per l’allora Msi la necessità di un ripensamento critico su se stesso, un sicuro, ulteriore ridimensionamento elettorale a breve termine, un incerto futuro in ripresa a lungo. Scegliendo di non scegliere, scegliendo cioè il nulla, Fini si attestò su una linea funeraria: celebrava le esequie del suo partito, ma ritardava il più possibile il momento del trapasso.
Poi arrivò Tangentopoli e un Msi escluso da tutti i giochi si ritrovò improvvisamente in corsa. Nei due schieramenti che andavano formandosi, il nulla finiano si rivelò un elemento vincente: permise un’alleanza con soggetti non propriamente omogenei (l’anti-italianità della Lega, il capitalismo all’americana di Forza Italia, residui e spezzoni socialisti e democristiani) favorì in un partito orgoglioso quanto sterile in termini di leadership, una concezione gregaria nei confronti del partner più forte della coalizione.
Il capolavoro del nulla fu infine Fiuggi. Così come l’eredità fascista era stata l’unica identità a cui Fini aveva ancorato un Msi ridotto al lumicino, o a fuoco fatuo, vista la logica sepolcrale che ne era alla base, il tributo antifascista fu visto come la sola via d’uscita dal rischio della ghettizzazione sempre, della non accettazione ancora. Cosa questo dovesse e potesse significare in termini politici venne considerato secondario. L’importante era togliersi la camicia nera. Al resto, semmai, si sarebbe pensato dopo. Così, non pensando, il nulla politico celebrò un nuovo soggetto e costruì il proprio trionfo.
Successivamente cominciarono i guai: il «ribaltone», la sconfitta elettorale, il potere giudiziario che sembrava aver messo alle corde Berlusconi… Fini commise allora il suo primo e unico errore, quello di pensare. Pensare politicamente, s’intende. Ritenne cioè che da numero due della coalizione potesse divenire numero uno, o quanto meno smarcarsi: fu il tempo della Coccinella e dell’Elefante. Si sa come finì.
Dopo di allora Fini tornò al nulla da cui era partito e che conosceva come le sue tasche, e per più di un decennio l’ha praticato da par suo. Era un nulla che però lasciava sul terreno alcuni elementi su cui ci si sarebbe dovuti invece interrogare per tempo. Un partito senza identità, per esempio, e senza prospettive autonome, non più identificabile, sottostimato in termini di potere reale. Una sensazione di debolezza, di tutela altrui, in secondo luogo, complice una insufficienza della sua classe dirigente. Ancora, un complesso d’inferiorità culturale, estrinsecantesi in puro e semplice becerismo intellettuale o in supina accettazione della cultura altrui, vista come legittimante della propria recente e improvvisata democraticità. In ultimo, una leadership più interessata al proprio immediato tornaconto, nel senso nobile del termine, che non al patrimonio di una forza politica in quanto tale.
Il risultato finale del nulla politico consisté nell’annullarsi completamente come partito… Avvenne, per la verità, un po’ obtorto collo, ma opporvisi a quel punto avrebbe implicato un pensare politicamente, cosa che, abbiamo visto, Fini non è in grado di fare. Si preferì la favola della cofondazione (e invece, naturalmente, era una colonizzazione), nuovi intellettuali di riferimento gliela spiegarono con la teoria che così si usciva anche, e definitivamente, dall’equivoco post-missino che di fatto ancora impiombava le sue ali di leader, e, come sottofondo, rimase il «mantra del delfino», ancora più delfino visto che Bossi e Casini avevano rifiutato di farsi inglobare nel progetto unitario. Ci fu persino chi teorizzò l’idea della «presa dal potere dall’interno», ma qui siamo sì alle comiche finali…
Ciò che è venuto dopo, è storia risaputa, di cui nel suo libro Luca Negri, come dicevamo all’inizio, cerca di capire il senso: avrebbe dovuto chiedere lumi a quella canzone di Vasco Rossi: «Voglio dare un senso/ un senso a questa storia/ anche se questa storia/ un senso non ce l’ha»… Politicamente parlando, s’intende.
Il fatto è che le uniche tattiche che Fini sa praticare, pensando siano delle strategie, sono quelle già ricordate del delfinato e del nullismo. Come ne esce è un disastro, perché comporta un’elaborazione di pensiero che non gli appartiene; una certa pigrizia fisica e la presunzione, invece tutte sue proprie, complicano poi il tutto. Detto in altri termini, si può anche ipotizzare una destra nuova, di governo o di opposizione (in fondo c’è ancora chi si chiede se ci sia vita su Marte…) e si può anche pensare che la possa incarnare un leader senza idee. Resta però da chiedersi se la tendenza al nullismo non sarà più forte. Quanto al delfinato, Fini ha sessant’anni e sempre di più comincia ad assomigliare a Carlo d’Inghilterra. Senza Camilla, è vero, ma con un cognato.
Cosa ne pensate?