La vita è sogno, soltanto sogno, il sogno di un sogno (Edgar Allan Poe)

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Verkaufte Heimat

Santo subito

Di chi parlo?

Del mitico Salvatore Aranzulla, al quale ricorro ogni volta che ho dei problemi con il PC e con internet. Sul suo sito posso davvero trovare di tutto, ed ho risolto delle rogne per le quali avrei dovuto rivolgermi ad altre persone più competenti, se non addirittura all’assistenza di Andrea, il tecnico al quale mi rivolgevo da sempre e che purtroppo ha appena chiuso il suo esercizio.

Questa volta avevo bisogno di salvare del filmati di You Tube ai quali tenevo particolarmente.

Si tratta della serie di “Verkaufte Heimat” (Patria venduta), 4 episodi che ho potuto vedere a spizzichi e bocconi, vista la lunghezza di oltre 7 ore, serie che sarebbe rimasta visibile su You Tube, grazie alla convenzione della Provincia di Bolzano, ma solo fino al 31 dicembre di quest’anno.

Ci tenevo davvero tanto, perché narra, anche se in forma romanzata, le vicende del Südtirol, dall’epoca fascista, durante la quale agli abitanti venne negato perfino l’uso della lingua tedesca e delle vessazioni cui furono sottoposti, attraverso le vicende di tre famiglie, i Rabensteiner (poi italianizzati in Pietracorvo), i Tschurtschenthaler e gli Oberhollenzer.

La vicenda si snoda attraverso gli anni, toccando temi come quelli degli optanti per la Germania, contrapposti ai Dableiber,(letteralmente “i rimasti qui”) che invece preferirono rimanere nella terra natia, dell’occupazione dei masi rimasti liberi da parte di famiglie meridionali con lo scopo di italianizzare la zona, fino ad arrivare agli anni dell’irredentismo sudtirolese, iniziato con la “notte dei fuochi” del 1961 con i primi attentati terroristici, in quanto l’autonomia promessa era rimasta solo sulla carta, senza trovare attuazione. L’ultima puntata è la più tragica, quando agli attentatori nostrani, – che si erano limitati a minare tralicci anche se era stata causata accidentalmente la morte di un innocente stradino dell’ANAS – si affiancarono terroristi neonazisti provenienti dalla Germania, che volevano strumentalizzare le ambizioni separatiste del Südtirol e causarono moltissimi attentati con vittime, specialmente tra le forze dell’ordine: questo causò la rappresaglia italiana, con arresti ed anche torture di quanti vennero imprigionati.

Filo conduttore, più o meno accentuato, la storia di Anna Tschurtschenthaler che, contro il volere della famiglia, sposa un carabiniere di origini meridionali. La morte di quest’ultimo, in un attentato cui avevano partecipato i due fratelli di Anna, la mette in contrasto con il figlio che a tutti i costi vuole vendicare la morte del padre.

Bellissimi i paesaggi, nella fattispecie quelli della Val Venosta, dove è ambientata la vicenda, con i campi ripidi dove le coltivazioni sono problematiche; belli gli interni delle case, con le classiche Stube riscaldate dalle Kachenhofen. Un certo momento si vedono anche le cave di marmo di Lasa.

Grandi sono le figure femminili, (Paula, Gerda) spesso in disaccordo con le decisioni dei mariti, quando ad esempio vogliono emigrare in Germania o progettare attentati, ma che poi restano comunque a fianco dei loro uomini, e importante anche il personaggio del parroco che, pur ritenendo giuste le rivendicazioni, disapprova ogni forma di violenza.

Le prime due puntate sono state dirette dalla regista Karin Brandauer, le due successive da Gernot Friedel. Tutti gli episodi, girati sia in italiano che in tedesco, sono fortunatamente sottotitolati nella lingua non usata nel parlato, perché anche se riesco a seguire quando viene usato l’Hochdeutch, il dialetto invece è parecchio ostico e sono riuscita a capire ben poco.

Così fortunatamente sono riuscita a scaricare e salvare (usando due programmi…non si sa mai) tutte le quattro puntate in modo da poterle poi rivedere di seguito con calma in tempi successivi .


morti

Non me la sento di commentare gli ultimi attentati.

Due ragazze morte a Marsiglia e 58 morti a Las Vegas, oltre ad innumerevoli feriti.

Feriti pure in Canada.

Tre attentati, differenti modalità: coltello, armi da fuoco, furgone lanciato sulla folla. Medesimo fine: causare vittime.

Sono stanca di stragi, sarebbe ora di reagire, perché questa gente ( anche se continuano ad evitare i termini “terrorismo islamico”) va fermata subito, prima che possa causare altri decessi.

Inutile nascondersi dietro le parole “malati psichici”. L’assassino di Marsiglia poi era stato fermato varie volte con differenti identità, e scarcerato appena il giorno precedente.

A che servono indagini e carceri?


Paura

In alto loco continuano a parlare di non erigere muri, però blindano le città con i new jersey.

A Barcellona, come in altri luoghi colpiti dal terrorismo, la gente si riunisce per urlare

Io non ho paura”.


Invece bisogna averne, io ce l’ho.
Non quella paura che sconfina nella vigliaccheria e che fa restare inerti o rintanare in attesa che il peggio passi, ma quella vigile che ti fa stare all’erta contro i pericoli e che fa reagire, magari con la forza della disperazione.
La paura non si può arginare con gessetti, fiori, palloncini, canzoni, peluches o gattini.

Solo eliminando il nemico si elimina la paura.
La paura si affronta guardando in faccia la realtà e combattendo chi ci fa del male.

La paura si combatte smascherando quei mass-media ipocriti che censurano le foto delle vittime.

Ci si oppone alla paura confutando la doppia morale per cui l’immagine di un piccolo curdo morto annegato può essere pubblicata, anzi, va usata per amplificare i sensi di colpa di noi occidentali per costringerci ad un’accoglienza indiscriminata, altrimenti siamo passabili di razzismo, insensibilità, crudeltà, mentre i bimbi morti sulla Promenade o sulla Rambla, i giovani morti al Bataclan o a concerto di Manchester o al mercatino di Berlino dovrebbero essere semplicemente numeri senza identità da riportare sulle statistiche e da dimenticare al più presto.

Eh no, questo doppiopesismo non mi sta bene, perché si parla di PERSONE, e non fa differenza se siano morti in tragici incidenti o vittime di attentati. Solo che i media speculano sopra a queste situazioni, non certamente con l’intento di sminuire la paura, ma con lo scopo di cancellare i fatti dalla nostra memoria, di creare una sorta di assuefazione per cui, svanita l’emozione del momento, tutto torna come prima, fino all’attentato successivo. L’opinione pubblica viene così instradata secondo il volere delle autorità, cui i media sono ormai asserviti, per cui dobbiamo confermare di essere noi i migliori e dobbiamo dimostrarlo continuando ad accogliere immigrati che, quando giunge il momento, non esitano a massacrare gente inerme, ed il cui grido Allah Akbar ricorda tanto il “Gott mit uns” dei nazisti.

Ci ripetono che dobbiamo ABITUARCI a questo tributo di sangue, quasi fosse una cosa normale e si parli di statistiche degli incidenti stradali.

Solo che lassù, in alto loco, non si rendono conto che in questo modo fomentano ribellioni sotterranee e che ci stiamo semplicemente preparando al suicidio della società come noi l’intendiamo.


Ancora…

Tristezza, rabbia, impotenza

La scia si allunga e ci ritroviamo ancora a contare le vittime.

Qualcuno magari li definirà anche eroi, ma erano solamente persone che volevano passare un pomeriggio piacevole, passeggiando in una delle città più belle della Spagna.
Soprattutto rabbia per la cecità di chi ci governa e che, magari, ostenta ancora quel sentimento intriso di melassa perbenista che trova ancora giustificazioni, facendo delle distinzioni in quanto non tutti gli islamici sono così. Certamente, lo so che non tutti sono così, però non ho mai visto manifestazioni SPONTANEE di islamici che deplorino apertamente gli atti di terrorismo, e quando intervengono, portano generalmente cartelli con la scritta “Not in my name” accomunando il terrorismo islamico alle azioni di rappresaglia israeliane che, in questo caso, non c’entrano una cippa.

Atti infami che colpiscono gente comune, che si diverte, che passeggia tranquillamente con la propria famiglia, gente comune, come tutti noi, che ha il solo torto di credere in un altro Dio o di non crederci affatto, un Dio che, a seconda della religione, promette cose fantastiche e meravigliose. Ed io mi rifiuto di aggregarmi a certe mandrie che vedono nei rappresentanti delle religioni di dettarci le regole di comportamento, come OGNI religione fa.

Voglio piuttosto governanti illuminati che pensino davvero al benessere della propria gente, che non tolgano alla nostra gente quello cui hanno sacrosanto diritto: di avere cure mediche, di avere una casa, di avere un’istruzione, una infanzia felice ed una vecchiaia serena. Invece i nostri governanti sono conniventi con chi arriva qui e ci toglie questi diritti, e allevano serpi velenose in seno, non so quanto coscientemente o meno, e dirottano i soldi destinati al benessere della nostra popolazione per finanziare le cosiddette “missioni di pace”, che invece foraggiano direttamente o meno le fonti del terrorismo che dilaniano la nostra gente.

Penso anche al sindaco di Barcellona, signora Ada Colau Bollano che, riferendosi ai fatti di Charlotteville e quindi al Presidente Trump, aveva dichiarato pochi giorni fa

Quando si seminano odio e razzismo crescono i mostri. Lo chiami come lo chiami, ma quello che è successo a Charlotteville è terrorismo. Difendiamo le nostre città dal fascismo e dal razzismo. La diversità ci rende più forti”. Precedentemente aveva pure detto che

“Barcellona è una città sicura in cui ragazze e bambini possono giocare nelle loro piazze e nelle loro strade”.

Era lei infatti la promotrice della manifestazione del 2016 “Refugees welcome” .

Invece di preoccuparsi di razzismo e fascismo avrebbe fatto meglio a pensare al terrorismo ed all’estremismo islamico, anche perché nella sua città ci sono interi quartieri in mani musulmane, con moschee, istituti bancari islamici, scuole coraniche, macellerie halal, e dietro a tutto ciò c’è la mano del Qatar.

Per inciso, il Qatar, uno dei maggiori finanziatori del terrorismo islamico e dei “Fratelli Musulmani” e della costruzione di moschee, fino al giugno scorso era pure lo sponsor del Barcellona Calcio.

Mi preparo mentalmente alle trasmissioni-fiume (già iniziate su qualche telegiornale), dove “esperti” ci diranno che non è una guerra di religione, che l’ISIS non è l’Islam (ma nessuno dice che alla base c’è il Corano, che tutto predica tranne che la pace); ci saranno le solite cose retoriche, i soliti minuti di silenzio, i soliti discorsi, i soliti fiori, gessetti, palloncini, canzoni.

Addirittura hanno invitato a non mettere sui social filmati delle vittime, ma di postare gattini. Per me, niente gattini..

.

Palliativi che non servono a nulla.

Invece serve svegliarsi, tagliare la testa al serpente, perché solo in questo modo non potrà più mordere.


Accoglienza

Lo scorso febbraio a Barcellona fecero una grandissima manifestazione a favore dell’accoglienza ai rifugiati.

http://www.lastampa.it/2017/02/18/esteri/barcellona-scende-in-piazza-vogliamo-i-rifugiati-7QPB7Xy9kwUZ12Bh8J0UCI/pagina.html

 

Pochi minuti fa, ecco la risposta…

 

http://www.ilpost.it/2017/08/17/attacco-furgone-rambla-barcellona/


Bambini – 2

1471853315-babykamikaze(Immagine da “Il Giornale)

Ritorno a parlare di bambini.

Non è tutta farina del mio sacco, ma una rielaborazione di altri post trovati sul web.

Prima notizia.

Ahmed viene dall’Egitto, ed ha commosso tutta l’Europa dopo aver affrontato a soli 13 anni un viaggio in gommone fino in Italia (logico… e dove se no?) per cercare un ospedale in grado di poter curare il fratellino minore affetto da piastrinopenia. Felice che si sia trovata una soluzione, in quanto il fratellino Farid verrà curato all’ospedale Meyer di Firenze, un punto di riferimento per i pazienti più piccoli.

In Egitto gli ospedali non sono certamente all’avanguardia, però una domanda sorge spontanea: quella non è una nazione in guerra. Certo, si sono susseguiti vari colpi di stato quando è stato deposto prima Mubarak, poi Morsi, ed ora da tre anni circa c’è al-Sisi, ma tutto sommato può considerarsi un paese stabile. Visto che una traversata in gommone, partendo dalla Libia, ha un costo abbastanza elevato ed è sommamente pericolosa specie per un ragazzino di quell’età, perché i genitori non hanno impiegato quella somma per acquistare un biglietto aereo per il loro figliolo?

Quindi la faccenda sa un poco di ricatto morale. I minorenni inteneriscono e sensibilizzano le persone, cosicché gli italiani chiudono un occhio, si accollano il mantenimento di Ahmed, Farid e dei genitori (non si sa per quanto), e per un po’ di tempo smettono di brontolare e di lamentarsi per questa accoglienza indiscriminata. Così, per uno che veramente ha bisogno, ci sorbiamo altri duecentosessantamila e rotti (dal gennaio di quest’anno) senza fiatare.

Seconda notizia.

L’Islam non rispetta assolutamente i bambini. Lo abbiamo tristemente notato nell’ultimo attentato in Turchia, dove tra le 54 vittime c’erano anche numerosi bambini ed adolescenti, ma il fatto più grave è che pure l’attentatore era un ragazzino tra i 12 ed i 14 anni, mentre un altro ragazzino all’incirca suo coetaneo è stato fermato per tempo nel Kurdistan mentre celava la cintura esplosiva (di tipo artigianale), sotto una maglietta sportiva del Barcellona. Questo dimostra come l’Islam sia religione di pace e fratellanza… Mentre i capoccia se ne stanno ben coperti ed al sicuro, mandano a morire ragazzini indottrinati ed adulti dalle menti labili facilmente manipolabili.

Terza notizia, e questa ci riguarda direttamente.

Una bambina oggetto di un tentativi di rapimento. L’indiano autore del gesto viene preso e rilasciato una prima volta. Poi, grazie alla levata di scudi della gente e dei mass-media, viene riacciuffato, interrogato e rimesso nuovamente in libertà perché “la legge la obbligava a farlo”. Allora questa PM che non considera un rapimento strappare un bimbo dai genitori solo perché questi gli sono immediatamente corsi dietro e lo hanno riacciuffato, potrebbe anche a rigor di logica considerare che non ci sia un omicidio fino a che l’assassino non abbia lasciato la scena del crimine. Consideriamo inoltre che l’indiano era clandestino, cui era già stato notificato il decreto di espulsione (il famoso pezzo di carta con sui i clandestini si…fanno vento) ed aveva precedenti per spaccio di droga. Adesso tocca nuovamente ai carabinieri cercarlo per poterlo finalmente cacciare dal paese. (Ho sempre detto che la discrezionalità dei giudici è troppa. E notiamo pure che la PM ha detto che avrebbe gradito la solidarietà del ministro riguardo al suo operato!).

Per concludere: il fotografo che ha ripreso il piccolo Omran è lo stesso che ha fotografato il mese scorso il ragazzino decapitato dai miliziani ISIS… e con questo ho detto tutto.

 


Dichiarazioni

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Noi, per nostra sfortuna, abbiamo invece Fiorella Mannoia


Ipocrisie

valeria-solesin-675Ipocrisie
Allora…
Tutti quelli che sul web si dichiarano buonisti, “distinguisti”, garantisti mi dicano chiaramente: se la povera ragazza veneziana fosse stata loro figlia o sorella, esprimerebbero le medesime opinioni?
Se rispondono SÌ , sono solo dei grandissimi ipocriti, perché quando una tragedia ti tocca personalmente si ragiona sempre in modo differente e si tralasciano le convinzioni e le ideologie che ci hanno animato.


Inviato dal Veloce promemoria


Parere personale

Ci sono stati attentati di matrice islamica in Francia, Belgio, Olanda, Spagna. Gran Bretagna.
Da noi, per adesso, ancora nulla, perché sanno che possono arrivare qui indisturbati e non vogliono smuovere troppo le acque. È una mia personalissima teoria.


Inviato dal Veloce promemoria


Dopo Parigi

Non ho molta voglia di scrivere…mi limito a riportare un brano di Toni Capuozzo

E’ piuttosto avvilente il riflesso condizionato con cui la correttezza politica obbliga in fretta  a sostenere, sin dalle dichiarazioni a caldo  che la strage di CharlieHebdo apre le porte al rischio di islamofobia.  Dunque: viene attaccata la libertà e chi sono le vittime ?  Non i disegnatori, non i giornalisti, non i francesi, non tutti noi. Ma i musulmani.  Ora non c’è dubbio che i musulmani rischiano di essere vittime di un accresciuto pregiudizio, e di sospetto, e di una malevola attenzione.  Non è qualcosa che nasca oggi:  le decapitazioni, gli attentati, i sequestri avevano già prodotto qualcosa. E certo, la condizione femminile nell’Islam, i matrimoni forzati, le mutilazioni genitali, il velo e tutto il resto, diffuso anche in tanto Islam moderato, non accresce la simpatia. Ma i rischi che si corrono, al mio parere di non islamofobo, sono altri.

Il primo è l’oblio: ci siamo dimenticati di Theo Van Gogh, e nessuno ha mai citato Pim Fortuyn, sepolto in Italia. Abbiamo dimenticato Hina, la ragazza uccisa a Brescia da un consiglio di famiglia perché voleva vivere all’occidentale. Dimentichiamo  perché vogliamo illuderci, perché non riusciamo a capire, perché un conto è celebrare la Malala del Pakistan, un conto è guardare distratti alle stragi di Boko Haram, altra cosa  è considerarli atti, crimini e culture con cui condividiamo il tempo e il luogo: è scomodo. Preferiamo sorprenderci, come se non sapessimo della fuga degli ebrei di Francia. Come se i pensieri beneauguranti della correttezza politica fossero una protezione. In un certo senso siamo tutti delle Pippa Bacca con il suo abito da sposa insanguinato in Turchia, o delle volontarie partite entusiaste per la Siria.

Il secondo rischio è considerare queste imprese criminali un’opera di folli. No, dietro a quello che è successo ci sono reti organizzate, arricchite dallo spontaneismo del fai da te. Ma l’appello a  fare da soli –auto o coltello o kalashnikov non importa- è venuto dall’alto, e il disordine delle cento scuole criminali rende solo più difficile la difesa, non esclude né il brodo di cultura, né i contatti organizzati. Per dire: i due di Parigi hanno provato a dirigersi verso il Belgio. Dove ci sono imam radicali, già distintisi nella protesta contro le vignette danesi. Il più noto è Ahmed Abou Laban. Accanto a lui Najb Bilhami, algerino ch emolti anni fa soggiornò ad Arezzo. Un terzo imam “belga” è Bassam Ajachi che, di ritorno dalla Siria, sarebbe agli arresti in Italia.  Il minore tr ai due fratelli assassini di CharlieHebdo, Sherif, sarebbe stato iniziato allo jihad in una moschea salafita di Tunisi, e poi addestrato in un campo di Ansar Al Sharia al confine con l’Algeria. Suo mentore era Abou Baker El Hakim. Entrambi, Sherif e Abou Baker, vengono arrestati in Francia, mentre cercava nodi andare a Damasco per raggiungere l’Iraq, nel 2005. Sherif viene condannato a tre anni – che toppa, la polizia francese – Abou Baker, a sette anni. Esce di prigione e rientra in Tunisia. Partecipa all’uccisione di due politici laici, traffica in armi con la Libia e, quando la Tunisia imbocca una strada che non è la sua,   va in Siria. Sono nomi e storie note agli  investigatori. Come in Italia sono noti i nomi degli “italiani”, tra i foreign fighters. Il fatto è che, a suo tempo, li hanno lasciati andare. Non per liberarsene, ma perché contro Assad facevano comodo.

Il terzo rischio è quello dell’islamoindifferenza. In nome dell’ecumenismo e della correttezza politica, e della “follia” dei criminali, si salva anche l’acqua torbida che li ha allevati. Un atteggiamento leale e rispettoso dell’interlocutore musulmano deve tallonarlo, convocarlo a un confronto franco, tracciare delle linee rosse: la condizione della donna, la violenza, la libertà di critica. Possiamo anche bere un tè nel deserto, e descrivere un Islam di pace e amore, come ci piacerebbe e come molti buoni musulmani insistono a credere. Non è così, purtroppo: l’Islam è una religione che arriva oggi, in una crisi identitaria globale, a contraddizioni che altre religioni hanno sepolto nel tempo grazie  a un secolod ei lumi che l’Islam ha saltato a piè pari : la commistione tra potere spirituale e temporale, la confusione tra legge di Dio e legge degli uomini, la conversione forzata, piuttosto che l’opera di convincimento. In altre religioni rimangono poche tracce del passato, e riguardano la condizione della donna, il sesso, la tentazione di far diventare legge dello Stato un convincimento profondo che non può che essere individuale. Possiamo baloccarci con il multiculturalismo, e in una gioiosa debolezza far finta che Sottomissione sia solo il titolo di un film di Van Gogh  e non anche la traduzione di Islam. Certo,  la sottomissione alla volontà di Dio – inch Allah – al destino, ma alla fine, agli uomini che se ne fanno interpreti più fedeli. Qualcuno, ogni tanto, si sorprende che tra i ranghi di questa rete criminali si arruolino rapper, o delinquenti comuni. L’Islam oggi assegna identità semplici, e forti, e una morale univoca, a fronte della confusione occidentale, e dell’incertezza di sé, della solitudine esistenziale di noi europei, capaci di sussulti solo davanti a una redazione insanguinata. La nostra libertà a volte annaspa, il musulmano militante, che sia violento o no, ha a disposizione un’agenda quotidiana di certezze, e una demografia trionfante. Andate a sera in una chiesa e vedrete poche donne anziane. Andate il venerdì all’uscita della preghiera di mezzogiorno davanti a una moschea: uomini, vecchi e giovani, senza neanche un conflitto generazionale. Il terrorismo non ha fede, si dice, o è una fede a sé. Non sono lontani gli anni del terrorismo cattolico dell’Ira, vero. Ma se è ovvio dire che non tutti i musulmani sono terroristi, bisogna pur ricordare che i terroristi, oggi, sono quasi tutti musulmani. Ti diranno che è colpa degli sbagli dell’Occidente, e in qualche misura è vero. Potresti rispondere che forse una qualche spiegazione la si trova anche nella religione, ma non si può dire.  Con qualche mio amico musulmano, vero musulmano e vero amico,  sostenevo che il mio Dio – a dirla tutta il Dio con cui sono cresciuto a dottrina, e poi basta – è più forte del suo, anche se poi gli diamo nomi diversi, ma preghiamo tutti verso l’alto. Perché ? Perché il suo governa i fedeli. Il mio mi ha insegnato che tutti, fedeli o peccatori, sono “il prossimo”, sono figli suoi. E il mio non solo non teme di farsi degradare con il ritratto ingenuo dei presepi e dei santini, ma non ha neanche paura che si ritraggano gli animali, senza esclusioni: sono tutte creature. Ma non sono un prete, e mi tengo il mio Dio che può essere un bambino o un vecchio o una pubblicità del caffè, e so che anche il peggiore degli uomini ha un vincolo di fraternità con me, fede o non fede. Ci sono equivoci nelle parole, perfino: per loro il martire è uno che si sacrifica per uccidere gli altri, per noi chi si lascia morire per non rinnegarsi ma non uccide nessuno. E forse la presenza di una donna, Maria, in quelle lezioni di catechismo, ci ha aiutati a essere un po’ meno peggiori con le donne.

L’ultimo rischio è, adesso sì, l’islamofobia. Il sospettare tutti. No, bisogna stanare, e diffidare delle giaculatorie di principio, e della dissimulazione, predicata nell’Islam.  Molti musulmani dicono, dopo Parigi: questo non è Islam. Anche a sinistra si diceva che le Brigate Rosse erano la Cia, o qualcosa altro da sé, un compagno non può averlo fatto. Incominciò a cambiare quando si riconobbe il cancro interno: Lotta Continua con l’intervista di Gad Lerner e Andrea Marcenaro al figlio di Casalegno, il PCI con la morte di Guido Rossa. Ecco, all’Islam non servono prese di distanza, né sguardo imbarazzato e sdegnato. Servono dei Guido Rossa,  un impegno fatto di nomi, di collaborazione, di pentimenti, di denunce. Serve che riconosca il male come interno a sé, e si domandi il perché, e lo combatta, e sia aiutato, sollecitato a farlo. Non basta il pilota giordano sbranato in Siria, serve l’impegno di ogni credente a essere intollerante con gli intolleranti. Non sono credenti che sbagliano: sono assassini che hanno per trofeo la libertà occidentale, ma anche quella dei tunisini, degli sciti,  e di tanti musulmani indocili. Ma possiamo insegnarglielo noi, che della tolleranza abbiamo fatto un alibi ? Diciamo che siamo tutti Charlie, è già qualcosa.


Arrigoni

La morte dovrebbe passare sopra a tutte le miserie umane, piccole o grandi che siano. La morte dovrebbe insegnarci qualcosa. Non sempre è così.

La madre di Vittorio Arrigoni, cui va tutta la mia commiserazione per il modo incivile in cui è stato ucciso il figlio, si è rifiutata di far transitare il feretro dello stesso attraverso il territorio di Israele, – giustificando l’azione come conseguenza delle idee del ragazzo – e continuando così una spirale di odio.

Israele avrà i suoi torti, certamente, ma non è che i Palestinesi siano innocenti, attuando un terrorismo estremo contro i civili, vedi il recente attentato ad Itamar, in cui i terroristi hanno “coraggiosamente” massacrato  cinque persone, padre, madre e tre bambini, di undici e di tre anni e l’ultimo dei quali di due mesi appena.

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 Alla luce di questi fatti non posso che chiamare “attivista” Vittorio Arrigoni, e non certo “pacifista”, perché quest’ultimo appellativo spetta solamente a coloro che NON parteggiano per nessuna delle due fazioni in causa, ma si prodigano perché venga raggiunto un accordo tra esse.

Ritengo quindi sbagliata l’azione della madre di Vittorio il quale, per avversione della sorte, è stato ucciso proprio da uno della parte che egli sosteneva.