La vita è sogno, soltanto sogno, il sogno di un sogno (Edgar Allan Poe)

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2 giugno

Ore sette del mattino, ultimi controlli: l’acqua è chiusa, gli interruttori elettrici staccati , tranne quelli che alimentano frigorifero e surgelatore, il bidoncino dell’immondizia è stato svuotato. Non serve chiudere il gas perché, con tempismo perfetto, la bombola è finita proprio ieri sera.

Valige, beauty-case, borsetta per i medicinali, il mio solito scassone (il vecchio notebook) sono già in macchina, assieme al borsone con occhiali, libri, giornali, penne, matite e accessori per la ricarica dei due cellulari. Tutto ok e, dopo la sosta per l’acquisto dei quotidiani si può tranquillamente partire.

 

L’A22 sembra un’autostrada germanica più che italiana. Sulla corsia di sorpasso una fila infinità di auto tedesche che, con teutonica precisione marciano tutte a 110 km all’ora, non rendendosi conto che da Bolzano in giù è consentito viaggiare a 130, mentre la corsia normale è occupata da una sfilza di camper, roulottes e motorhome o auto con carrelli traino carichi di biciclette, moto e windsurf , oltre che file di camion delle più disparate nazionalità .

E così , tutti in fila, fino ad Affi, dove finalmente si esce. Il cielo è plumbeo, c’è un’afa tremenda, quasi una promessa di pioggia. A Valeggio si rientra in autostrada. Mi ha sempre affascinato il Mincio in quel posto liscio come una tavola di vetro e di un intenso verde smeraldo.

 

Come al solito sull’A4, di tre o quattro corsie, la prima carreggiata è quasi sempre vuota, quasi fosse un disonore occuparla. Noi, con la smartina (da quando è mancata la micia non usiamo più “l’ammiraglia”) ci teniamo tranquillamente sulla destra e spesso superiamo (attenzione…superiamo, non sorpassiamo…) le auto a fianco.

Ad un tratto una botta di nostalgia, vedendo una colonna di moto di grossa cilindrata, Harley e BMW che ci sorpassa, e ricordiamo i tempi in cui si andava anche noi in moto.

Brescia è identificata dalla torre dell’inceneritore che sembra quasi disegnato contro il cielo, Bergamo viene segnalata dalla grossa torre in cotto e finalmente l’uscita di Agrate, subito dopo la Star, poi la tangenziale e quindi, annunciata dai ripetitori di Mediaset, l’uscita di viale Palmanova. Da lì a casa è presto fatto. Le solite pulizie, qualche telefonata per avvisare che siamo arrivati, un po’ di spesa (nonostante sia festa qualche market è aperto, mica come da noi provinciali), il solito acquisto dei biglietti e dell’abbonamento settimanale. Si pranza al solito ristorantino, insalatona visto che il tempo è afoso: “solo” 26 gradi (ieri a Bolzano erano 35), ma un umido pazzesco. Poi, come al solito, un primo giro. Si vede che a Milano è arrivato il Papa: dappertutto gruppi di turisti di varie nazionalità, identificati da berrettini o foulards identici, che seguono l’immancabile guida armata di bandierina.

Via Dante shoping - Milano, Milan

In viale Dante c’è musica… Davanti alle librerie riunite un anziano signore, il viso un nido intricato di rughe, con in testa una paglietta dal nastro tricolore ed il nome Armando suona, piuttosto bene, la fisarmonica. Gli allunghiamo qualche moneta, assieme a qualche parola di complimento e ci ringrazia con un sorriso stupendo, di quelli che illuminano anche lo sguardo, non il solito sorriso di circostanza. In Cordusio invece, due ragazzi, uno bianco, l’altro, in carrozzella, nero, suonano i bonghi, ed il loro rimbombo ci accompagna per molto tempo, fino alla fermata del tram. E dai finestrini vediamo il ” diamantone “ormai quasi completato. Ritorno a casa, per una sosta prima di uscire nuovamente per cena.


Nostalgia de Milàn

Amo Milano.

Non ha l’opulenza di Roma, l’incanto di Venezia, la dolcezza di Firenze o la solarità di Napoli, però la amo perché Milano è “città”.

Mi incanto a vedere i suoi tramonti, non di un rosa soffuso come sulle mie montagne, ma di un color di rame, dovuto all’aria ammorbata di smog. Amo le nebbie che salgono piano dai Navigli, pur senza la magia dei canali veneziani.

La amo nonostante I suoi difetti, le estati afose, gli inverni con l’umidità che penetra nelle ossa , quell’umidità appiccicosa che bagna il viso ed i capelli anche in assenza di pioggia.

Amo il suo traffico, l’esistenza frenetica tanto diversa dalla sonnolenza della mia provincialissima cittadina.

Ed amo le sue zone da scoprire pian piano, un poco alla volta, rigorosamente a piedi.

Se la dovessi paragonare ad un’opera d’arte, non sceglierei il Duomo, la Torre Velasca o il Pirelli, ma la Pietà Rondanini.

Milano è come lei, pietra grezza, dalle forme vigorose appena accennate, ma dalle quali emergono inaspettatamente degli arti torniti e un braccio levigato, completamente avulso dall’opera; una bellezza nascosta appena accennata, da scoprire un po’ alla volta, senza fretta…

E domenica, finalmente, ci ritorno, con un pizzico di malinconia in più.


Milano 21.05

Un pomeriggio passato in casa… Fa troppo caldo per uscire. Il termometro sull’insegna della farmacia sotto casa alle 15 segna 31 gradi, meno dei 34 di ieri a Bolzano, ma qui la giornata è notevolmente più afosa. Usciamo quindi verso le 18.30, recandoci in centro, affollatissimo. Bimbi, con i capelli che il sudore appiccica su nuca e tempie, che piagnucolano nel passeggini o sbadigliano, con l’aria stravolta, cercando di dormire. Quelli più grandicelli giocano con pistole di plastica che sparano bollicine di sapone iridescenti o si fermano ad osservare, incuriositi, quegli esseri strani che stanno immobili per ore con improbabili costumi da mummia egiziana o cicisbeo settecentesco (con quel caldo…).

Di fronte alla Rinascente un suono di sax … Un anziano seduto per terra con la custodia dello strumento aperta in attesa di ricevere monetine suona “!Summertime”.

Poco più avanti, in piazza Duomo un trio ungherese esegue una czarda con bandoneon, vibrafono e violino, mentre all’angolo di piazza Mercanti un ragazzo, avvolto in un mantello nero con tanto di cappuccio, suona “Moon river”. Da un lato, le consuete camionette delle forze dell’ordine che presidiano la piazza, però manca la solita limousine bianca e lunghissima che usano i cinesi per i loro matrimoni, che si concludono con le foto in Galleria. Dappertutto manifestini elettorali, stropicciati e calpestati, fin nella fontana di san Babila, dove galleggiano mestamente, assieme a tappi di bottiglia e lattine vuote.

Torniamo con la metro per cenare al solito ristorantino. Ressa di gente accalcata, accaldata e sudata… Come si dice, odore di “umanità”. Non vedo l’ora di tornare a casa per una doccia.