La vita è sogno, soltanto sogno, il sogno di un sogno (Edgar Allan Poe)

Musica

Adeste fideles


La “divina” non c’è più.

https://youtu.be/SfDTvURzQHkhttps://youtu.be/SfDTvURzQHk


ALEXANDERPLATZ

In ricordo di due grandi…


Ciao, Maestro

ENNIO MORRICONE è morto. Lo annuncio così a tutti gli amici che mi sono stati sempre vicino e anche a quelli un po’ lontani che saluto con grande affetto. Impossibile nominarli tutti. Ma un ricordo particolare è per Peppuccio e Roberta , amici fraterni molto presenti in questi ultimi anni della nostra vita. C’è una sola ragione che mi spinge a salutare tutti così e ad avere un funerale in forma privata : non voglio disturbare. Saluto con tanto affetto Ines, Laura, Sara, Enzo e Norbert, per aver condiviso con me e la mia famiglia gran parte della mia vita. Voglio ricordare con amore le mie sorelle Adriana, Maria, Franca e i loro cari e far sapere loro quanto gli ho voluto bene. Un saluto pieno, intenso e profondo ai miei figli Marco, Alessandra, Andrea, Giovanni, mia nuora Monica, e ai miei nipoti Francesca , Valentina, Francesco e Luca. Spero che comprendano quanto li ho amati. Per ultima Maria (ma non ultima) . A lei rinnovo l’amore straordinario che ci ha tenuto insieme e che mi dispiace abbandonare. A Lei il più doloroso addio”.


L’ultima Thule

Io che ho doppiato tre volte capo Horn e ho navigato sette volte i sette mari e ho visto mostri ed animali rari, l’anfesibena, le sirene, l’unicorno.
Io che tornavo fiero ad ogni porto dopo una lotta, dopo un arrembaggio, non son più quello e non ho più il coraggio di veleggiare su un vascello morto.
Dov’è la ciurma che mi accompagnava e assecondava ogni ribalderia? Dove la forza che la circondava? Ora si è spenta ormai, sparita via.
Guardo le vele pendere afflosciate con i cordami a penzolar nel vuoto, che sbatton lenti contro le murate con un moto continuo, senza scopo.
E vedo in aria un’insensata danza di strani uccelli contro il cielo bigio cantare un canto in questo mondo grigio, un canto sordo
ormai, senza speranza.
E qui da solo penso al mio passato, vado a ritroso e frugo la mia vita, una saga smarrita ed infinita di quel che ho fatto, di quello che è stato.
L’Ultima Thule attende al Nord estremo, regno di ghiaccio eterno, senza vita, e lassù questa mia sarà
finita nel freddo dove tutti finiremo.
L’Ultima Thule attende e dentro il fiordo si spegnerà per sempre ogni passione, si perderà in un’ultima canzone di me e della mia nave anche il ricordo.

Francesco Guccini

 

 


…questa vita di stracci e sorrisi e di mezze parole

Minchia signor tenente

e siamo qui con queste divise

Che tante volte ci vanno strette

Specie da quando sono derise

da un umorismo di barzellette…

 

R.I.P.    V.B. Mario Cerciello Rega

 


Lettera a Marianne, che non c’è più

Le persone cambiano, così come i loro corpi, ma c’è una cosa che non cambia mai riguardo l’amore. Marianne, la donna di “So long, Marianne”, quando sento la sua voce al telefono, so che tutto è rimasto come è, nonostante le nostre vite si siano divise. Sento che l’amore non muore mai e che quando c’è una emozione talmente forte da far scrivere una canzone su di essa, allora c’è qualcosa riguardo quell’emozione che è indistruttibile. E allora, Marianne, è arrivato questo tempo in cui siamo entrambi molto vecchi e i nostri corpi cadono a pezzi. Penso che ti seguirò molto presto.  Sai che ti sono così vicino che se allungassi la mano, potresti toccare la mia. E sai che ti ho sempre amata per la tua bellezza e la tua saggezza. Ma non c’è bisogno che ti dica più nulla di tutto questo perché sai già tutto”.

Ascoltare la canzone, leggere la lettera mi emozionano sempre. Grande Leonard.


Le donne lo sanno

Le donne lo sanno
Che niente è perduto
Che il cielo è leggero
Però non è vuoto
Le donne lo sanno

Le donne l’han sempre saputo

Luciano Ligabue

Immagine di Elena Yushina


Sanremo

Come ho scritto spesso, non lo seguo da anni, certe trasmissioni mi annoiano, poi come al solito la buttano in politica.
Così è stato, in effetti, perché il vincitore è stato un certo Alessandro Mahmoud (spero di averlo scritto giusto), italiano di origini egiziane.
Qui si è scatenato il putiferio.
È nato in Italia, si chiama Alessandro, non parla arabo, anzi, neppure lo conosce, eppure tutti contestano che abbia vinto un certo “Maometto”.
Allora che dicono quanti amano il calcio che nella nazionale italiana giochi un certo Stephan El Shaarawy, che, nato qui in Italia, senza dubbio parla italiano meglio di un altro calciatore, Éder Citadin Martins, brasiliano naturalizzato italiano solo perché ha lontani parenti emigrati in Sud America?
E poi piantiamola: bisognerebbe giudicare le canzoni, la loro musica, i loro testi, e quindi mi astengo dal giudicare per la ragione suesposta.
Probabilmente sarà anche vero che una certa corrente di pensiero ha influito sulla vittoria di Mahmoud  e,se così fosse, non va certo a favore della musica italiana.


Una canzone

La canzone è una penna e un foglio

così fragili fra queste dita

è quello che non è, è l’erba voglio

ma può esser complessa come la vita.

(Francesco Guccini)

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Adeste fideles

Questa, per me, è la più bella melodia natalizia. E su queste note, lascio a tutti i migliori auguri per queste feste. ❤


Neve

Neve che turbini in alto e avvolgi
le cose di un tacito manto.
neve che cadi dall’alto e noi copri
coprici ancora,all’infinito: imbianca
la città con le case,con le chiese,
il porto con le navi,
le distese dei prati…..
(U. Saba)  


Santa Lucia

Santa Lucia, per
tutti quelli che hanno occhi
e gli occhi e un cuore che non basta agli occhi
e per la tranquillità di chi va per mare
e per ogni lacrima sul tuo vestito,
per chi non ha capito.
Santa Lucia per chi beve di notte
e di notte muore e di notte legge
e cade sul suo ultimo metro,
per gli amici che vanno e ritornano indietro
e hanno perduto l’anima e le ali.
Per chi vive all’incrocio dei venti
ed è bruciato vivo,
per le persone facili che non hanno dubbi mai,
per la nostra corona di stelle e di spine,
per la nostra paura del buio e della fantasia.
Santa Lucia, il violino dei poveri è una barca sfondata
e un ragazzino al secondo piano che canta,
ride e stona perchè vada lontano,
fa che gli sia dolce anche la pioggia delle scarpe,
anche la solitudine.

 


We’ll Meet Again

La canzone sulle cui note si conclude il film “Il dottor Stranamore”  è uno dei più famosi brani del periodo della Seconda Guerra Mondiale.

Il testo parla del ricongiungimento tra i soldati e alle loro fidanzate/mogli alla fine del conflitto, ma dato che moltissimi militari non fecero ritorno dal fronte, molti ipotizzano che il posto dove dovrebbe avvenire il ricongiungimento possa essere il paradiso.

 

CI INCONTREREMO DI NUOVO
Ci incontreremo di nuovo, non so dove, non so quando
Ma so che ci incontreremo di nuovo, in un qualche giorno di sole.
Continua a sorridere, come fai sempre
Finché il cielo azzurro scaccerà lontano le nuvole nere.
Così di’ “ciao” per favore alla gente che conosco
Di’ loro che non sarà per molto tempo
Saranno felici di sapere che quando mi hai visto partire
Stavo cantando questa canzone.
Ci incontreremo di nuovo, non so dove, non so quando
Ma so che ci incontreremo di nuovo, in un qualche giorno di sole.


Una piccola preghiera per te, Aretha


Litania – Genova blues

 

 


Milano agosto 1943

Invano cerchi tra la polvere,

povera mano, la città è morta.

È morta: s’è udito l’ultimo rombo

sul cuore del Naviglio. E l’usignolo

è caduto dall’antenna, alta sul convento,

dove cantava prima del tramonto.

Non scavate pozzi nei cortili:

i vivi non hanno più sete.

Non toccate i morti, così rossi, così gonfi:

lasciateli nella terra delle loro case:

la città è morta, è morta.

(Salvatore Quasimodo)

Notte tra il 7 e l’8 agosto

Il 25 luglio Mussolini era stato arrestato dopo la storica seduta del Gran Consiglio del fascismo, e tradotto sul Gran Sasso. Per accelerare la resa dell’Italia, venne allora programmato un ciclo di bombardamenti ferocissimi su Milano, che, secondo le intenzioni, dovevano distruggere la città entro un mese.
Il primo di tali attacchi iniziò con l’allarme delle 0.52 dell’8 agosto, quando aerei nemici erano stati segnalati in passaggio sulla frontiera svizzera. Le bombe iniziarono a cadere alla 1.10. I Lancaster della RAF sganciano soprattutto bombe incendiarie: presto enormi cerchi di fuoco si propagarono a Porta Venezia, porta Garibaldi, in corso Sempione, Magenta e Ticinese. Il teatro Filodrammatici andò distrutto, così come gran parte del Corriere della Sera. Risultò inservibile l’ospedale Fatebenefratelli. Pesanti danni anche al museo di Storia naturale, al Castello, alla Villa Reale, al palazzo Sormani. In totale, si ebbero 600 edifici distrutti, sotto le cui macerie persero la vita 161 persone, più 281 feriti.
La contraerea riuscì a colpire due Lancaster (che precipitarono uno in via Gustavo Modena, l’altro, a pezzi, cadde sulla via Compagnoni e dintorni). L’oscuramento della città fu imposto dalle 21.30 alle 5.30. I mezzi ATM riuscirono a riprendere servizio solo in periferia, dato che la maggior parte delle vie più centrali risultava impraticabile al passaggio veicolare, ostruita da macerie e costellata di voragini..

Notte tra il 12 e il 13 agosto

Per questa missione il Bomber Command inglese mobilitò tutti gli apparecchi disponibili, e su Milano furono inviati addirittura 504 aerei: 321 Lancaster e 183 Halifax. Lo scopo di tale spiegamento di forze era quello di creare sulla città il cosiddetto vortice di fuoco (dai comandi inglesi tanto teorizzato quanto realizzato sulle città tedesche), per annientarla totalmente. Per questo, tra le 2.000 tonnellate di bombe trasportate quella notte, vi erano 380.000 spezzoni incendiari.
L’allarme fu dato alle 0.35, con cielo senza nubi. Neppure dieci minuti dopo iniziò lo sgancio delle bombe e degli spezzoni incendiari, il tutto per circa un’ora. La contraerea nulla poté fare. Il centro cittadino fu la zona più colpita, senza risparmiare però il quartiere Ticinese, Garibaldi, Sempione. Gli incendi divamparono ovunque, con effetti distruttivi su palazzo Marino, la Questura, il Commissariato Duomo, il Castello, la chiesa di San Fedele, Santa Maria delle Grazie (ma non il Cenacolo “ingessato” nei sacchi di sabbia); il Duomo riportò gravi danni, così come la Galleria (volta distrutta e facciata delle costruzioni “raschiate”).
La potenza delle fiamme era alimentata dal vento che si era alzato a causa dell’incendio stesso, che attirava aria dalle campagne per autoalimentarsi (è l’effetto, enormemente ingrandito, che si verifica quando si apre lo sportello di una stufa: le fiamme subito riprendono vigore perché attirano nuovo ossigeno dall’esterno). La scena all’alba dovette apparire apocalittica: quasi metà città era in preda alle fiamme e l’aria totalmente irrespirabile, interi quartieri erano pericolanti. Furono comunque ripristinate alcune linee automobilistiche per favorire lo sfollamento degli ultimi cittadini rimasti, all’incirca 250.000 persone.

Notte tra il 14 e il 15 agosto

Questa volta 140 Lancaster scesero su Milano alle 0.32. In un’ora, sganciarono facilmente le loro bombe, guidati dagli incendi del precedente attacco che ancora ardevano non domanti. Furono nuovamente centrati il Castello, il Palazzo Reale, il teatro dal Verme e il teatro Verdi. Numerose industrie colpite pesantemente. I pochi cittadino presenti diedero soccorso ai vigili del fuoco e agli uomini UMPA per fermare la furia devastatrice delle fiamme, ma l’imprese fu rallentata dalla mancanza d’acqua, causata dalla distruzione delle tubature dell’acquedotto.

Notte tra il 15 e il 16 agosto

Il terzo attacco del ciclo programmato fece suonare l’allarme alle 0.31. Non tutti i 199 Lancaster decollati dall’Inghilterra questa volta raggiunsero Milano, in una notte per loro poco fortunata. Maggior sfortuna toccò comunque alla città: interi quartieri vennero bombardati. Segnaliamo solo: Archivio di Stato (enormi perdite cartacee), il Duomo, la Scala, che ebbe il tetto sfondato (e che sarà ricoperto con tettoie provvisorie fino all’inizio del lavori di restauro), la Rinascente (totalmente distrutta, poi demolita perché non recuperabile).
I quotidiani uscirono la sera seguente, in edizioni limitate, anche a causa della mancanza di carta per le rotative. La città era in preda agli incendi e coperta di macerie, e il Bomber Command decise di fermarsi, seppur insoddisfatto. Infatti la distruzione totale della città apparve impresa impossibile, per due ragioni.
Innanzitutto i materiali di costruzione degli edifici (pochissimo legno), e l’inversione termica che tanto afose rende le giornate di agosto: il caldo estremo anche notturno e l’umidità a livelli prossimi al 90% impedivano all’aria di circolare, ragione per la quale le fiamme non riuscivano mai a propagarsi con la facilità che si verificava sulle città tedesche. Inoltre, l’armistizio era ormai vicino: inutile insistere.

Le terribili incursioni del mese di agosto avevano colpito il 50% degli stabili, di cui il 15% gravemente danneggiato. I senza tetto furono almeno 250.000, e 300.000 gli sfollati. Per rimuovere le macerie si reclutarono con difficoltà 5.000 operai, oltre a 1.700 militari. La maggior parte degli sgomberi e delle messe in sicurezza fu affidata alla manovalanza ormai esperta della ditta Romanoni (che dall’inizio del conflitto aveva vinto l’appalto per tali incombenze).
Il servizio di trasporto pubblico fu quello che ne uscì più disastrato (acqua, luce e gas erano infatti ripresi entro le 48 ore). I tram e le filovie erano totalmente distrutti, così come le rimesse, devastate dagli incendi. Dalle vetture meno danneggiato si recuperano i pezzi per rendere efficienti pochi tram, in una sorta di cannibalismo meccanico. Inoltre, con la rete di alimentazione aerea danneggiata (i palazzi crollando avevano travolto in centinaia di punti i fili della corrente) anche i tram rimessi in servizio ebbero problemi di circolazione. Inizialmente vennero dunque impiegate le piccole locomotive a vapore dei gamba de legn (che vennero così tolte dai servizi extraurbani), le quali, con i rimorchi di fortuna, poterono garantire almeno qualche linea, soprattutto per collegare le stazioni ferroviarie.

Pietoso fu lo spettacolo dei monumenti milanesi: tra tutti, la mattinata del 16 agosto venne dedicata ad un sopralluogo della Scala, come detto centrata in pieno da una bomba di grosse dimensioni. I palchi apparvero gravemente danneggiati, solo il palcoscenico, ristrutturato notevolmente negli anni trenta, si era salvato grazie al sipario metallico che aveva impedito al fuoco di propagarsi. Per evitare che la pioggia e il gelo dell’inverno distruggessero del tutto quanto scampato, nel mese di settembre venne studiata e messa in opera una copertura provvisoria anulare, per proteggere i palchi e i fregi decorativi. La tettoia venne realizzata con materiale di fortuna, prevalentemente legno e cartone catramato. Solo a conflitto terminato sarebbe stato possibile portare a termine il restauro e il ripristino del teatro.

Santa Maria delle Grazie, eccettuato il Cenacolo, ne uscì parzialmente mutilata. La cupola bramantesca risultò alquanto danneggiata, così come il chiostro e la fontana centrale, colpita in pieno da una bomba. Anche il chiostro piccolo venne colpito, ma l’incendio propagatosi era stato coraggiosamente spento dall’opera degli stessi frati.

Infine, l’Ospedale Maggiore, la storica Ca Granda, fu centrata da sei o sette bombe di grosso calibro. Andò distrutto il cortile centrale, che perse i portici. Furono colpiti anche i chiostri laterali. Dovranno passare decenni prima di poter vedere restaurato l’antico complesso ospedaliero.

L’otto settembre regalò all’Italia l’armistizio; il 24 novembre Mussolini diede vita la Repubblica Sociale italiana.

Con il sopraggiungere dell’inverno si dovettero abbattere centinaia di alberi (tra quelli sopravvissuti agli incendi) per alimentare le stufe domestiche.

(testo tratto da http://www.storiadimilano.it)

 


Geordie

Mentre attraversavo London Bridge 
un giorno senza sole 
vidi una donna pianger d’amore, 
piangeva per il suo Geordie. 

Impiccheranno Geordie con una corda d’oro,
è un privilegio raro.
Rubò sei cervi nel parco del re
vendendoli per denaro.
Sellate il suo cavallo dalla bianca criniera
sellatele il suo pony
cavalcherà fino a Londra stasera
ad implorare per Geordie
Geordie non rubò mai neppure per me
un frutto o un fiore raro.
Rubò sei cervi nel parco del re
vendendoli per denaro.
Salvate le sue labbra, salvate il suo sorriso,
non ha vent’anni ancora
cadrà l’inverno anche sopra il suo viso,
potrete impiccarlo allora
Né il cuore degli inglesi né lo scettro del re
Geordie potran salvare,
anche se piangeran con te
la legge non può cambiare.
Così lo impiccheranno con una corda d’oro,
è un privilegio raro.
Rubò sei cervi nel parco del re
vendendoli per denaro.
Rubò sei cervi nel parco del re
vendendoli per denaro.


Le stelle nel sacco

Hai appena mosso un braccio

Sei sveglia o stai dormendo

È più di un ora che ti sento respirare

A un centimetro da me

Non è questione di coraggio

Ma di scegliere il momento

È da quando sono sveglio

Che non so pensare ad altro

Perciò mi do da fare

Per svegliare anche te

Adesso apro la finestra

E volo fino al cielo

Metto le sue stelle

dentro a un sacco

E le spargo tutte intorno a te

Tu che ti volti e mi chiedi perché

Sì, sì, sì, tu che ti raggomitoli

contro di me

Di più… Di più… Di più…

Allora mi vuoi bene anche tu

Si aprono le porte del cielo

Che esplode e cade a pezzi

come fosse di vetro

E sento un brivido

Mi sento libero

Il primo e l’ultimo

Ed è bellissimo…

Ringrazio Dio che ti ha creato

Guardo i tuoi occhi anche se è buio

E metto in banca questo bacio

L’ultimo bacio che mi hai dato

     Io ti porto nel posto più lontano

     Atterriamo su uno scoglio

Mentre ti dico in un orecchio

Tutto il bene, tutto il bene

che ti voglio

Lo so che un giorno moriremo

Ma spero ci sia un letto

anche nel cielo

Tra le nuvole e le stelle

Per questo amore vero

No, questo amore non morirà mai… mai… mai…

Arriverà alle porte del cielo

e anche più in là

Arriverà ai confini del cielo

e anche più in là

E se non ci sarà posto in cielo

Va bene anche l’inferno

Perché quando l’amore è vero

L’amore è eterno

È come il lampo, non torna più indietro

È il razzo, il fulmine che illumina il cielo

Mi sento libero

Dentro a quel brivido

Un corpo unico

Nel golfo mistico

Ancora un attimo

Ancora un brivido

L’ultimo attimo

Ed è bellissimo

Lucio Dalla

https://www.youtube.com/watch?v=mYV6-k2AonU


Scrivere

« Volevo scriverti, non per sapere come stai tu, ma per sapere come si sta senza di me. Io non sono mai stato senza di me e quindi non lo so. Vorrei sapere cosa si prova a non avere me che mi preoccupo di sapere se va tutto bene, a non sentirmi ridere, a non sentirmi canticchiare canzoni stupide, a non sentirmi parlare, a non sentirmi sbraitare quando mi arrabbio, a non avere me con cui sfogarsi per le cose che non vanno, a non avermi pronto lì a fare qualsiasi cosa per farti stare bene. Forse si sta meglio, o forse no. Però mi e venuto il dubbio e vorrei anche sapere se ogni tanto questo dubbio è venuto anche a te. Perché sai, io a volte me lo chiedo come si sta senza di te, poi però preferisco non rispondere che tanto va bene così. Ho addirittura dimenticato me stesso per poter ricordare te.»

Soren Kierkegaard, Diario di un seduttore

 

 


Quore con la q

Così la maestra che scriveva sQuola con la Q e sbagliava le doppie è stata licenziata.

Licenziamento dopo ben due ricorsi, persi per fortuna, perché qui in Italia ci si potrebbe aspettare di tutto, anche che costei vincesse il ricorso e venisse magari inviata ad insegnare italiano agli extracomunitari, molti dei quali parlano e scrivono più correttamente di lei.

C’è però da chiedersi come abbia fatto una persona con delle così gravi lacune linguistiche a passare non solo la maturità, ma anche il concorso per l’insegnamento. E non dimentico neppure la maestra che scrisse ZEBBRA, correggendo lo scolaro che aveva scritto correttamente.
In una nazione dove il ministro per l’istruzione si esprime come si esprime, ed un Di Maio inanella strafalcioni, non c’è da meravigliarsi.
Un paese dove si perculava (passatemi il termine) il novantenne De Mita per il forte accento campano, ma che si esprimeva in un italiano forbito e corretto.
E la colpa di chi è? Della buona scuola che privilegia l’inglese alla nostra lingua anche negli atti ufficiali, tanto che i nostri politici ne infarciscono anche i loro discorsi, ma quando si tratta di parlare inglese all’estero fanno quasi sempre una magra figura.
Oppure colpa dei moderni strumenti tecnologici, con tanti correttori automatici che però non distinguono tra “anno” ed “hanno” , “c’è” e “ce ” l’uso incongruo delle “k” al posto dell’italianissimo “ch”, ed in questo modo contribuiscono all’assassinio del nostro idioma.

Ed alla maestra dedico questa vecchia canzone di Celentano 😀

 


Il film di Natale

Niente film di Natale, ieri sera, come era consuetudine ormai da anni.

I “soliti” film, quali “La vita è meravigliosa” o “Miracolo sulla 34^ strada”, o anche una delle innumerevoli versioni di “Canto di Natale” (da quella animata di Walt Disney a quella moderna interpretata da Bill Murray o a quella classicissima con Albert Finney, la migliore a mio parere) ormai li sappiamo a memoria, anche se è sempre bello rivederli.

No, ieri sera abbiamo voluto cambiare e ci siamo rivisti “Pane e cioccolata”, con un grandissimo Nino Manfredi. È venuto istintivo paragonare come vivono i “profughi” che noi accogliamo all’esistenza che invece conducevano i nostri emigranti nei primi anni ’70, quando si recavano a lavorare in Svizzera, e bastava una sciocchezza per perdere il permesso di soggiorno ed essere rispediti a casa.

Nino Garofalo, il protagonista, è un cameriere in prova presso un ristorante di lusso che perde il posto di lavoro per aver fatto pipì su di un muretto, ed accusato quindi di atti osceni in luogo pubblico, venendo così espulso dal paese. Nino però non si arrende: rimane in Svizzera come clandestino, ospitato temporaneamente da una donna, esule greca, che in casa nasconde pure il figlioletto. Riesce poi a farsi assumere da un miliardario italiano riparato in Svizzera per reati fiscali al quale affida i suoi risparmi da investire, ma la mattina in cui dovrebbe prendere servizio, il miliardario ha fatto bancarotta e si suicida, lasciandolo senza soldi, lavoro e permesso di soggiorno. Si reca a trovare poi un amico che fa l’operaio ed è alloggiato con i compagni di lavoro presso grandi capannoni che ricordano tanto i lager. Con lui ed un altro giovane operaio improvvisa un balletto di travestiti, ma quello che doveva essere un momento di divertimento causa invece u sentimento di disperazione e nostalgia per le famiglie rimaste in patria.

Nino accetta allora di lavorare clandestinamente in un pollaio, ma viste le condizioni in cui vivono i suoi connazionali, abbrutiti da quella vita, lascia anche quel lavoro. Deciso ad integrarsi ad ogni costo, si tinge di biondo i capelli e, recatosi in un bar dove trasmettono una partita tra le nazionali italiana ed elvetica, accetta ogni offesa agli italiani da parte degli svizzeri fingendosi uno di loro, finché un gol segnato dagli italiani lo fa esplodere dalla gioia, quasi a riscattare le umiliazioni subite. Ripreso dalla polizia, viene accompagnato al treno che dovrebbe riportarlo in Italia. In quel momento viene raggiunto dall’amica greca che lo aveva ospitato, che gli consegna l’agognato permesso di soggiorno ottenuto tramite un funzionario svizzero che la corteggiava e che lei aveva sposato. Nino però risale sul treno, deciso a ritornare in patria, accettando la sconfitta. Però arrivato al traforo del Sempione, scocciato dal canto di alcuni emigranti, pure loro sulla via del rimpatrio, decide di fermare il treno e rientrare in Svizzera, riprendendo la sua personale battaglia per un lavoro dignitoso e per dimostrare che gli italiani non sono solo “pizza e mandolino”.

Le musiche poi sono fantastiche…i titoli introdotti dalla “serenata” di Haydn, mentre il figlioletto dell’amica greca suona invece al piano la K545 di Mozart, una delle mie musiche preferite.


Adeste fideles


Hallo, Johnny

Un altro pezzo di gioventù se n’è andato, con la morte di Johnny Hallyday.

E per gioventù intendo anche la scuola.

Già, perché mi avevano assegnato, tramite sorteggio, all’unica sezione dove si studiava francese.

La professoressa era un’insegnante molto giovane che iniziò a parlare fin dal primo giorno in quella lingua a noi sconosciuta e per farci appassionare veniva in classe con il giradischi e le incisioni sia di Johnny Hallyday che di Sylvie Vartan, che ai quei tempi erano sposati, e ci faceva tradurre i testi delle canzoni. Non solo, ma al posto dei libri di testo, che usavamo certamente ma non con continuità, ci faceva comperare Paris Match, e là in classe leggevamo, traducevamo e commentavamo i vari articoli, e quando incontrava una regola grammaticale o un gallicismo particolare, ce lo faceva notare e ci forniva la relativa spiegazione, che restava così impressa nelle nostre menti.

Ovvio questo sistema ci rendeva tutte contente (la classe era praticamente tutta femminile, tranne un paio di maschi capitati là per caso), ed eravamo invidiate da quanti seguivano invece i corsi d’inglese con il metodo tradizionale. Inutile dire che l’insegnante era letteralmente adorata, e veniva ricompensata con gli ottimi risultati che conseguivamo.

Ed oggi la morte di Johnny Hallyday mi ha riportato alla mente quel periodo.