Giornata della pasta
Spaghettini alla scapola
Tu moje, doppo er solito trasloco,
se gode co’ li pupi sole e bagni,
e tu, rimasto solo, che te magni,
si nun sei bono manco a accenne er foco?
Un pasto in una bettola, a dì poco,
te costa un occhio appena che scastagni;
si te cucini invece ce guadagni
e te diverti come fusse un gioco.
Mo te consijo ‘na cosetta cicia
ma bona, pepe e cacio¹ solamente,
che cor guanciale poi se chiama Gricia.²
E m’hai da crede, dentro a quattro mura
magnà in mutanne…senza un fiato…gnente…
se gode più de’ la villeggiatura.
Pasta alla capricciosella
Provate a fa’ sto’ sugo, ch’è un poema:
piselli freschi, oppure surgelati,
calamaretti, funghi “cortivati”,
così magnate senz’avè patema.
Pe’ fa’ li calamari c’è un sistema:
se metteno a pezzetti martajati
nell’ajo e l’ojo e bene rosolati,
so’ teneri che pareno ‘na crema.
Appresso svaporate un po’ de vino;
poi pommidoro, funghi e pisellini
insaporiti cor peperoncino.
Formaggio gnente, a la maniera antica,
fatece bavettine o spaghettini…
Bòn appetito e.. Dio ve benedica!
La dieta
Doppo che ho rinnegato Pasta e pane,
so’ dieci giorni che nun calo, eppure
resisto, soffro e seguito le cure…
me pare un anno e so’ du’ settimane.
Nemmanco dormo più, le notti sane,
pe’ damme er conciabbocca a le torture,
le passo a immaginà le svojature
co’ la lingua de fòra come un cane.
Ma vale poi la pena de soffrì
lontano da ‘na tavola e ‘na sedia
pensanno che se deve da morì?
Nun è pe’ fà er fanatico romano;
però de fronte a ‘sto campà d’inedia,
mejo morì co’ la forchetta in mano!
Aldo Fabrizi
Burlang
Stasira,
cun st’aria ch’ la sa ad néva,
l’è sira da burlang.
Sgàget Maria!
Préma che végna scur
va’ int l’ort, a tor ‘na punta d’asmarin.
A la cola, a la làgna p’r e camin
agh péns mè. Te guèrda ad préparèr
sul ‘na buna pistèda
ad lèrd, cun du bèli pulàz d’aj
e grata ènch e furmaj.
La cola la m’è angnuda propia bén,
senza gnènch un maloch:
propia cume a la vliva.Int e camin,
ad quérza sàca i zoch
i fèn ‘na bèla fiama , un bel brasèr
e al cot, suvra i cavdun, as tàchen a scaldèr.
E prém burlangh l’è prunt.E sa ad furmént
masnà in cl’ùtem mulin
che ancora e mov cun l’aqua la so roda;
e l’è tot un prufom e cundimént.
E mènter ch’ a dastand la cola suvr’r al cot,
e a cos, a cos, a mang
(e a ogni burlang un bicirot
’d vin cume i nostèr vec i èn insgnà)
artu’rn indréé int te témp,
int la me vècia cà,
e a sént me pèder dir:
“Stasira
cun st’aria ch’ la sa ad néva
l’è sira da burlang…”
E la dvantèva ‘na sirèda ad fèsta.
(autore sconosciuto)
Stasera,
con quest’aria che sa di neve,
è sera da borlenghi.
Svelta Maria!
Prima che venga scuro
va nell’orto a prendere una punta di rosmarino.
Alla colla e alla legna per il camino
ci penso io.Tu guarda di preparare
solo una bella pestata
di lardo, con due bei spicchi d’aglio,
e gratta anche il formaggio.
La colla m’è venuta proprio bene,
senza neanche un grumo: proprio come la volevo. Nel camino,
di quercia secca i ciocchi
fanno una bella fiamma, un bel braciere;
e le cotte, sopra gli alari, cominciano a scaldarsi.
Il primo borlengo è pronto. Sa di frumento
macinato in quell’ultimo mulino
che, ancora muove con l’acqua la sua ruota:
ed è tutto un profumo il condimento.
E, mentre stendo la colla sopra le cotte,
e cuocio, e cuocio, e mangio
(e a ogni borlengo un bicchierotto
di vino come i nostri vecchi ci hanno insegnato)
torno indietro nel tempo,
nella mia vecchia casa
e sento mio padre dire:
“Stasera,
con quest’aria che sa di neve
è sera da borlenghi”
E diventava una serata di festa.
Versi trovati in internet. Dei borlenghi mi aveva parlato un’amica modenese, ed a suo tempo proprio a Modena li avevo mangiati. Come ho sempre scritto, i dialetti mi affascinano, ritenendoli più ricchi della lingua comune, come mi affascina la cucina “povera”, e qui di seguito, metto il link della preparazione di questo piatto e della sua storia.
https://www.ilgiornaledelcibo.it/borlengo-modenese-storia/
Risott cont el safràn
Oggi un piccolo “divertissement”, ossia la ricetta del risotto con lo zafferano, scritta in versi rigorosamente milanesi. La ricetta originale prevede anche il midollo, così da accompagnarlo al meglio con l’ossobuco, come è spiegato nel piccolo video in fondo. Spero che sia gradito ad una carissima amica che seguo sempre con piacere 🙂 . E se dovesse servire una traduzione, son a disposizione.
L’immagine è tratta da internet
«Gina, Gina, stavolta chi el risott
voeui cural mi. Prepara bella netta
la padella, che sem in sett o vott.
El broeud te ghe l’ee bon ? Sì ? De manzetta ?
Famel on poo saggià. Bon, bon, va là,
sent che odorin ? El fa resuscità.
El ris l’è del vialon rivaa su jer ?
L’è mondaa ? Torna a dagh ona passada.
Sù, sù, mett in padela el to butter
e on tochell de scigola ben tridada.
Mett a foeugh, fà tostà movend sul fond
cont el cazzuu a fal de color biond.
Dent el ris. Ruga. Bagnel cont el vin
bianch, magher (mezz biccer). Dent el zaffran.
Ruga. Fagh sugà el vin. Sent che odorin !
Sugaa ? Giò el broeud da man a man.
Boffa sott che’l dev buj a la più bella
de sentil a sparà in de la padella.
Bagnel del tutt e rangiel giust de saa.
Lassel coeus. Brava. Gratta giò el granon.
Oi, oi sott, sotta foeugh chel s’è incantaa.
Gina che risottin, che odor de bon !
Ten rugaa veh ! Adasi e dappertutt.
Varda, l’è quasi all’onda, on cinq minutt.
Giò che l’è pront. L’è moll ? Fa nient, el ven.
Dent el grana abbondant e on bell tocchell
de butter peu mantecchel ben, ben, ben,
menand sù svelt che’l ven e bon e bell.
Quest chi sì l’è on risott che var la spesa,
on risott propi faa a la milanesa !
Cott al punt, mantecaa a la perfezion,
bell, mostos, el te fà resuscità
anca on mort ch’è crepaa d’indigestion.
Tirel giò e mett on tavola che in là
con tant d’oeucc e sospiren guardand chi.
Servel, che vegni subit anca mi».
Giuseppe Fontana, 1938
Dolcezze
Mozart Kugeln, ossia le palle di Mozart…
Ottimi cioccolatini con una copertura di cioccolato fondente e ripieni di marzapane con un cuore di crema di nocciole… Ogni negozio di pasticceria austriaco ha la sua personale ricetta, come pure le ditte dolciarie alle quali mi affido. Le più note sono la Mirabell, la Reber e la Heindl. Solitamente mi rivolgo a quest’ultima, ma è solo per gusto personale, in quanto sono tutte ugualmente buone. E per accompagnarle…ecco la più classica delle composizioni per pianoforte di Wolfgang Amadeus Mozart
B come…
Ieri sera abbiamo dato fondo alle ultime due bottiglie di birra che avevamo comperato a Bamberg.
La città di Bamberg è detta anche la città della B, anzi, la “sinfonia”in B (nella musica di tipo anglosassone B è anche la nota musicale SI)
B come Burg, castello
B come Bürger, cittadini
B come Barocco
B come Brezn
ed infine
B come Bier.
La birra è la bevanda per eccellenza in Germania, specialmente in Baviera: se ne trovano di tutti i tipi, leggere, corpose, più o meno alcoliche, filtrate o no, chiare o scure, ed in Franconia, che è una regione della Baviera, si contano circa 200 birrerie artigianali, (un sesto di tutte quelle esistenti in Germania) undici delle quali nella sola città di Bamberg (ma anticamente erano oltre 70).
A Bamberg si celebra la Sandkerwa, una festa popolare della birra che si svolge nel mese di agosto ed è molto frequentata, anche se non ai livelli della Oktoberfest di Monaco di Baviera.
Le varietà delle birre sono molteplici:
Lager, che sono le più prodotte e vendute al mondo, ora parecchio industrializzate;
Vollbier sono sia chiare che scure, non filtrate;
Bock simili alle precedenti, ma con una gradazione alcolica maggiore, prodotte solitamente nel periodo prenatalizio;
Pils simili a quelle ceche, ma meno secche;
Weizen (Weissbier) a base di frumento, anziché orzo, sia chiare che scure;
Schwarzbier esclusivamente scure, con base di malto tostato;
Marzen prodotte nel periodo primaverile, a bassa fermentazione, la variante Festbier è quella solitamente prodotta per la Pasqua;
Infine le
Rauchbier, affumicate, tipiche solo della città di Bamberg.
Relativamente a questa birra c’è una antica leggenda.
Si narra di un birraio cui si era incendiato il laboratorio, provocando così l’affumicatura delle botti. Non essendo in grado di acquistarne delle nuove, in quanto povero in canna, provò comunque a vendere il suo prodotto che, inaspettatamente, incontrò il gusto dei suoi clienti. Essendo il birraio zoppo, la birra venne chiamata Schlenkerla (dal tedesco schlenkern, ciondolare).
La Rauchbier è una birra speciale, affumicata, ed in bottiglia non ha il medesimo sapore di quella spillata dalle botti. Il malto anticamente si essiccava o al calore del sole o nei forni, e quest’ultimo procedimento conferiva il gusto di affumicato alla bevanda. Con le nuove tecnologie, si iniziò ad essiccare il malto con l’aria calda prodotta dalla combustione di carbone o altri combustibili, ma la birreria Schlenkerla continuò con il vecchio sistema, affumicando il malto con ceppi di legno di faggio.
Purtroppo nel nostro viaggio a Bamberg non abbiamo potuto visitare i locali della birreria, e ci siamo limitati quindi a comperare una cassa di bottiglie in un negozio.
Ora anche queste sono finite 😦
Prosit!
Diete
Un bambino di soli undici mesi è stato ricoverato all’ospedale di Pontedera in evidente stato di malnutrizione. La colpa, dicono i mass media, è dei genitori che seguono la dieta vegana.
Orbene, sono diventata vegana pure io, più per motivi etici che salutistici (anche se tutti i valori delle mie analisi sono molto migliorati da quando la seguo), però mai farei seguire ad un bambino, per giunta in tenera età, una simile disciplina alimentare.
Un bimbo in fase di crescita abbisogna di elementi nutritivi adeguati alle sue esigenze: la crescita nell’infanzia è molto veloce, e le proteine cosiddette nobili della carne, dei formaggi, delle uova, suppliscono a tali necessità. È pure assodato che cibarsi di carne andrebbe diminuito con l’aumentare dell’età. Molti ritengono che i vegani “mangino solo erbette ed insalatine”: nulla di più falso. Oltre alla frutta, alle verdure ed ortaggi vari, ci sono legumi (mai mangiato fagioli, ceci, lenticchie, fave?) e cereali (non solo grano e riso, ma infinite varietà…).
Ma torniamo al fatto in oggetto: ha fatto scalpore solo perché il bimbo era malnutrito ed era un caso praticamente UNICO.
Però il caso opposto?
Secondo recentissime indagini, ben un bambino su tre in Italia è sovrappeso, e di questi circa il 10% è addirittura obeso. Anche qui si tratta di genitori incoscienti, che fanno rimpinzare i loro figlioli come porcellini con merendine stracariche di creme, o con panini contenenti hamburger, dolci, caramelle, gelati specialmente industriali. Tutti cibi che con il passare del tempo aumenteranno il tasso di glucosio nel sangue e provocheranno accumuli di adipe e depositi di colesterolo nelle arterie. Inoltre se non associati ad un adeguato movimento fisico, potrebbero provocare anche malformazioni.
Questo però non fa notizia, forse perché è diventata una triste normalità.
Piovono polpette
Incuriosita da un “like” ad un mio intervento su Milano, sono andata a spulciare nel blog “Alessandra – Milano da sorseggiare “, ed ho scoperto Ciccilla, la prima polpetteria di Milano.
Facilmente raggiungibile, in parte con i mezzi pubbici, e poi con un brevissimo percorso a piedi in via Volta, nelle vicinanze di via Moscova.
Siamo entrati abbastanza presto, poco prima di mezzogiorno.
Non è un ristorante, ma una semplice gastronomia dove però si possono comunque consumare le cose che si scelgono. Quindi un locale abbastanza piccolo, con pochi tavoli corredati da sgabelloni, tutti all’insegna del colore, dove troneggia un enorme recipiente nel quale viene “coltivata” la spirulina, alga dalle molteplici proprietà.
Ma quello che più ci ha fatto piacere, è che Ciccilla è una cooperativa sociale che dà lavoro a persone svantaggiate che trovano con questa occupazione un’occasione di rendersi economicamente indipendenti. Ci ha accolti un signore gentilissimo e simpatico che ci ha fatto un po’ da guida in questa nuova esperienza. Bisogna, come in un self service, apparecchiarsi la tavola con le tovagliette e tovaglioli di carta, posate di legno e bicchieroni di plastica, servirsi da soli di bevande, poi scegliere dalla vetrina del bancone le polpette che si desiderano. Abbiamo optato per l’offerta del giorno: 5 polpette, timballino di riso accompagnato da una salsa a scelta, un contorno, da scegliere tra 5 o 6 presenti, un cartoccino di pane ed acqua minerale, il tutto per 10 euro a cranio. Abbiamo mangiato più che volentieri e pure bene, tanto da fare i nostri complimenti alla signora ed al ragazzo che trafficavano in cucina. E ci siamo ripromessi di tornare, in occasione della prossima visita a Milano.
Pastiera
Ieri parlavo di pastiera con un amico.
La mia origine campana fa sì che a Pasqua la pastiera non manchi mai, ed infatti la porterò anche quest’anno da mio figlio.
E’ un dolce tipicamente primaverile, perché viene utilizzata la ricotta (se si riesce, è straordinaria la ricotta di latte di pecora) che, di questa stagione, è migliore. La base è la pasta frolla, poi oltre alla ricotta si usano uova, zucchero, grano cotto, canditi acqua di fior d’arancio.
Io la preparo così.
Per la pasta frolla uso:
250 gr di farina, 150 gr di burro (c’è chi usa lo strutto, ma personalmente preferisco il burro), due etti di zucchero, 1 uovo + 1 tuorlo ed una scorzetta di limone grattugiato e zucchero a velo.
Faccio la fontana con la farina e lo zucchero, aggiungo il burro ammorbidito 3 tuorli e il limone grattugiato. Lavoro l’impasto fino a renderlo uniforme, ma grossolanamente, altrimenti la pasta frolla perde la sua friabilità, poi la faccio riposare al fresco almeno una mezzoretta, meglio ancora in frigo avvolta in un panno umido.
Per il ripieno ci vogliono:
1 scatola di grano cotto da 250 gr , 350 gr di ricotta, 300 gr di zucchero, 100 gr di canditi misti (arancia e cedro e se si trovano, canditi di zucca), 30 gr di burro, 200 gr di latte 2 uova + 2 tuorli, scorza grattugiata di limone, una bustina di vaniglia ed una fialetta di acqua di fiordarancio.
In una pentola metto il latte, il burro, il grano già cotto, la buccia del limone grattugiata e faccio bollire tutto a fuoco dolcissimo, finchè il grano quasi si disfa. Appena intiepidito l’impasto aggiungo un’altra crema, ottenuta mixando le uova, lo zucchero la ricotta, la vaniglia e l’acqua di fiordarancio. I canditi vanno aggiunti solo alla fine.
Alla fine riprendo la pasta frolla, ne stendo ¾ in uno stampo rotondo precedentemente imburrato ed infarinato, lo riempio con la crema di grano e ricotta livellandola bene e con la pasta rimanente creo delle strisce di pasta ritagliandole con la rotella dentata, spennellate con un tuorlo d’uovo che dispongo sulla crema formando delle losanghe.
la cuocio poi in forno a 200 gradi per un’ora circa ed appena intiepidita la spolvero con lo zucchero a velo. La pastiera, per gustarla al meglio, va preparata con un paio di giorni di anticipo.
Buon appetito…e buona Pasqua
Apologia della pasta e fagioli
Sono un’estimatrice della pasta e fagioli.
Sembra facile farla, ma ci sono moltissimi modi di cucinarla.
Dalle mie parti va molto la pasta e fagioli cosiddetta alla veneta: leggermente brodosa, preparata con pasta all’uovo fresca, i cosiddetti maltagliati, e fagioli borlotti freschi.
Io invece la preparo alla meridionale, ricetta ereditata dalla nonna paterna, con i cannellini secchi fatti rinvenire in acqua dal giorno precedente e rigorosamente con pasta di semola di grano duro, di piccolo formato, i cosiddetti tubettini o, ancora meglio, gli ziti spezzati a mano.
Chi la cucina “rossa” aggiungendo il pomodoro,
chi invece rigorosamente bianca.
C’è chi per insaporirla ulteriormente ci aggiunge, oltre all’immancabile spicchio d’aglio, le cotiche, chi un battuto con carota, cipolla, sedano e pancetta, chi un rametto di rosmarino,
una foglia di alloro oppure, – orroreee – , l’origano. Qualcuno passa una parte di fagioli per renderla puù densa, o addirittura ci schiaccia dentro una patata.
Io, su tutto, preferisco, al posto del pepe, il peperoncino (a dire il vero, lo metto quasi dappertutto).
E per concludere, arricchita con un filino d’olio extravergine ed una bella spolverata di parmigiano grattugiato, non solo e’ un piatto unico, ma e’ anche un pasto davveo completo.
Alla faccia di chi dice che mangiare sempre pasta e fagioli è una noia tremenda 🙂
e a tutti…buon appetito
l’amico igienista
Sono fermamente convinta della necessità di un’alimentazione sana, ma tutto ha un limite. L’amico di cui parlo è un ex collega, con qualche anno meno di me. Ricordo quando l’ho conosciuto, allegro simpatico e che si cibava con quantità industriali di cioccolata e patatine fritte irrorate con il ketchup (salsa che ho sempre aborrito). Poi, qualche anno dopo…la svolta (forse il matrimonio? Mah). Ed ha iniziato con una sana, gustosa dieta mediterranea. Da qui al macrobiotico il passo è stato breve. Cereali e legumi in quantità, farro e riso Venere nero per lo più, con contorno di verdure assortite, in prevalenza della famiglia dei cavoli, banditi gli insaccati e le carni rosse, ma concessi carni bianche e pesce, poche uova, ma sì ai formaggi. Passa un po’ di tempo, legge la dieta della dottoressa Kousmine e la disciplina alimentare si fa più rigida ed arricchita da integratori quali il magnesio (non orotato, per carità), oli di girasole di zucca e germe di grano per le vitamine e sale dell’Himalaya (quello rosato, utilizzato anche per fare lampade ed oggetti ornamentali, molto simile d’aspetto al quarzo). Vabbè… Qualche fondamento ci sarà se detta scienziata è campata oltre 90 anni. Ora la svolta definitiva (almeno, spero….oltre c’è il digiuno assoluto, gandhiano) in 2 tappe. Prima il vegetariano, con qualche concessione al formaggio (ma di capra, altrimenti… sai il colesterolo) e sempre pochissime uova.
Adesso il vegetaliano puro, il cosiddetto vegano. Solo frutta e verdura, crude, da 5 a 7 volte al giorno (anche frullate, mia cara, se proprio non vuoi perdere tempo a sgranocchiare o se hai problemi digestivi).
Mi riempie la casella email di opuscoli relativi alle diete che segue, con le teorie di un certo prof. Arnold Ehret (che però è deceduto alla verde età di 56 anni..magari suicida perché incapace di “assaporare” più la vita), e con teorie altrettanto strampalate per cui se ti ammali vuol dire che stai bene! (si ammalano solo i forti. I deboli e gli intossicati procedono apparentemente indenni….ammalarsi spesso significa vitalità e salute).
Qualche rara volta si concede una pizza… Per modo di dire, perché dev’essere di farina integrale (e ci può anche stare), alle verdure, senza mozzarella (!) perché, essendo un latticino, è deleteria e per finire senza lievito…in poche parole una focaccia azima con verdure.
L’ho incontrato al bar dove sorseggiava un intruglio di mela sedano carota ed arancia e vedendomi gustare un cappuccino mi ha elargito una filippica sugli alcaloidi del caffè ed i danni del latte col risultato di rovinarmi quell’attimo di pausa.
Una si aspetterebbe di trovare un uomo vigoroso, dall’aspetto sano e raggiante… Ho trovato una persona non magra, ma emaciata, dal colorito spento e pallido, che sembra notevolmente più anziana di mio marito, pur essendo parecchio più giovane di lui.
Amico caro, sai che ti dico? Si vive una volta sola…Goditi la vita, mangia di tutto, con moderazione ovviamente, e piantala di seguire il guru di turno,
il tuo non è vivere, ma VEGETARE…
torta di grano saraceno
L’avevo promessa alla dolce Kiowa…ed ora ecco la ricetta della torta di grano saraceno.
Ingredienti
200 gr di panna
150 gr di zucchero
300 gr di farina di grano saraceno
2 cucchiai di fecola
4 uova
un limone (per la buccia)
una bustina di zucchero vanigliato
una bustina di lievito in polvere
cannella
polvere di chiodo di garofano (o 2 chiodi macinati molto bene)
una grattata di noce moscata
una presa di sale
per la farcitura:
marmellata di mirtilli rossi (o in alternativa, di lamponi)
esecuzione:
Montare la panna con i tuorli e lo zucchero fino ad ottenere un composto schiumoso
A parte montare a neve gli albumi
In una terrina mescolare le 2 farine con il lievito e gli aromi ed aggiungere i 2 composti prededenti molto lentamente.
Imburrare ed infarinare una tortiera e cuocere per 45 minuti in forno a 180°.
Sfornare e far raffreddare, poi tagliare a metà la torta e farcirla con la marmellata di mirtilli rossi, e spolverarla con lu zucchero a velo.
Volendo si può anche servire accompagnata con panna montata a metà, ancora abbastanza fluida.
Questa è la torta appena fatta come si presenta appena fatta
e questo invece quello che rimane dopo il passaggio di Kio (hehehe)
BUON APPETITOOOOOOOOOOOOOOO
la “mia” Sacher
INGREDIENTI
6 uova
300 grammi di zucchero (180+120)
190 grammi di burro (170+20)
360 grammi di cioccolato fondente (180+180)
220 grammi mandorle con la buccia
marmellata di albicocche
un cucchiaio di latte
Montare i tuorli a crema con 180 grammi di zucchero, unire piano 170 grammi di burro fuso e tiepido. Fondere a bagnomaria 180 grammi di cioccolato fondente spezzettato con un cucchiaio di latte e versarlo nella crema.
Tritare le mandorle col frullatore senza sbucciarle ed unirle al composto, aggiungendo anche gli albumi montati a neve. Ungere con il burro rimanente una tortiera e cuocere in forno a 180° per un’ora. Far raffreddare bene la torta, tagliarla in due dischi e frapporre la marmellata (eventualmente diluita con un cucchiaio di rum)
Con il cioccolato e lo zucchero avanzati ed un paio di cucchiai di acqua preparare la glassa con la quale ricoprire la torta.
MOLTO IMPORTANTE
IL FORNO NON DEVE ESSERE TROPPO CALDO. IL COMPOSTO INFATTI PIU’ CHE CUOCERE, DEVE ASCIUGARSI, COME PER LA PREPARAZIONE DELLE MERINGHE.
Buon Appetito!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Kaiserschmarren
Anche il Kaiserschmarren, che tradotto vuol dire “frittata dell’Imperatore, è un tipico dolce dell’area tedesca. Si prepara con il medesimo impasto che si usa per le crêpes, con 6 uova, 2,5 etti di farina, mezzo litro di latte, una grossa noce di burro, mezz’etto di zucchero e uma bella manciata di uvetta sultanina, una manciatina di pinoli ed una presina di sale, zucchero a velo e marmellata di mirtilli rossi.
Lavorare i tuorli con lo zucchero, poi aggiungere la farina amalgamata con il latte ed il sale ed alla fine gli albumi montati a neve. Poi, molto lentamente, l’uvetta fatta rinvenire in acqua tiepida (o anche un po’ di rum) e scolata molto bene ed i pinoli.
Sciogliere il burro in una padellina e far dorare il composto, poi appena rappreso, spezzettarlo con una forchetta. Appena bello dorato, asciugarlo su carta da cucina, cospargerlo di zucchero a velo accompagnandolo con la marmellata di mirtilli rossi.
Cosa ne pensate?