La vita è sogno, soltanto sogno, il sogno di un sogno (Edgar Allan Poe)

appunti di viaggio

Lubiana – Il castello

Avremmo dovuto salire al Castello di mattina, ma appena alzati c’era nebbia fitta, tramutatasi poi in foschia, quindi dall’alto non si sarebbe potuto gustare appieno il panorama. Siamo saliti quindi nel pomeriggio. La funicolare che porta lassù in circa un minuto percorre una distanza di poco più di cento metri, superando un dislivello di circa 70 metri ed arrivando ad un’altezza di 294 mslm.

 

Secondo la leggenda, le origini di Lubiana risalirebbero addirittura a Giasone che dal Mar Nero risalì il Danubio, la Sava ed infine la Ljubljanica, dove gli Argonauti smontarono la nave per poi riassemblarla nei pressi dell’Adriatico per far ritorno in patria. Nei pressi della Ljubljanica c’era una grande palude dove dimorava un drago, che venne ucciso dall’eroe greco, il medesimo drago che appare nello stemma e su vari ponti e monumenti della città. Questa la leggenda, ma la storia invece di dice che nel terreno paludoso furono impiantate le prime palafitte ancora nel 2000 a.C., dove poi arrivarono in successione Illiri, Veneti, Celti. Nel 50 a.C. si insediarono i Romani, con un accampamento, che divenne poi l’insediamento di Iulia Aemona, smantellato poi dagli Slavi nell’800 d.C.

Ed ecco che si arriva finalmente al castello.

C’era la possibilità di fare il “giro virtuale” del complesso, ma le guide erano tutte in sloveno o inglese, quindi abbiamo rinunciato, preferendo girare a piedi (e salire non so quanti gradini) fino ad arrivare in cima alla torre da dove, nelle belle giornate, si vede un terzo del territorio sloveno. Beh, essendoci ancora un pochino di foschia, ci siamo accontentati di quello che potevamo vedere.

 

Poi abbiamo girato il castello: una buona parte è stata ricostruita nel 1960 sulle rovine di fortificazioni preesistenti. Nel corso dei secoli, oltre che a fortezza, fu adibito anche a carcere, ed in esso fu imprigionato per poco tempo pure Silvio Pellico, prima di essere trasferito allo Spielberg.

Abbiamo potuto visitare le celle delle prigioni, quelle dei nobili, chiuse, mentre quelle dei detenuti comuni erano “aperte”. Dappertutto campeggia l’immagine del drago. Nel cortile c’è anche un ristorantino elegante con annesso bar, e qui è successa una scenetta comica. Al castello, come in tutta la città, c’erano tantissimi turisti giapponesi (lo scorso anno li ho fotografati mentre fotografavano), ed una coppia di anziani si è tranquillamente seduta ad un tavolino del bar, ha aperto uno zainetto, ha tirato fuori panini e thermos e si è messa tranquillamente a mangiare sotto lo sguardo sbigottito dei camerieri e degli altri avventori, tra i quali anche noi. Notare che poco distante c’erano panche dove avrebbero potuto pranzare tranquillamente 🙂 .

 

 

 


Lubiana – edifici, piazze e vie

Un’altra piccola carrellata di immagini di Lubiana, palazzi, viuzze e piazze varie. Questa volta sono riuscita anche ad inserire la musica

L’edificio con le gigantografie appese alla parete è la Sinagoga, le piazze principali sono la piazza dei Congressi, dove si affacciano vari importanti edifici – la Chiesa delle Orsoline, la Filarmonica e l’Università – e piazza Preseren, con il monumento all’omonimo personaggio, un famoso poeta sloveno, dietro al quale c’è la Chiesa di san Francesco, mentre sul davanti ci sono i famosi “Tre ponti” pedonali. L’originalissima casa rosa con decorazioni stile mosaico all’inizio delle foto è la Vurnik Hîsa, ora sede della Cooperative Businnes Bank.

 


Ora di colazione

Nonostante le molte volte che abbiamo soggiornato in vari alberghi in Germania, non ci siamo ancora abituati alle colazioni che fanno i tedeschi.
Nell’hotel ad Erlangen, dove ci rechiamo abitualmente, c’è di tutto e di più.
Teche con vari tipi di salumi ed affettati, cotti e crudi o formaggi di vari tipi accompagnati da grappolini di uva, vari tipi di burro – normale, salato, alle erbe – e margarina (c’è chi ancora la mangia), ceste con vari tipi di pane, dalle baguettes ai semmel (simili alle nostre rosette) ricoperti di semi di girasole, di lino, di papavero. Pane nero o integrale a fette. Vassoi con pezzi di salumi simili alla nostra soppressata, ma tagliata molto spessa. Uova sode, alla cocque o strapazzate e fette di salmone affumicato. Verdure crude come cetrioli, peperoni, ravanelli. Per chi vuole sentirsi “leggero”, anche una colazione italiana (?) con pomodori, mozzarella e basilico (una caprese, in sostanza) o una macedonia di verdure. Maionese, ketchup e senape per accompagnare le varie pietanze.

Per le persone “normali”, yoghurt vari (bianco intero o scremato, alla frutta, alla vaniglia o di soia) da accompagnare a 6 tipi diversi di muesli, latte, 7 tipi diversi di the bio e camomilla, frutta intera o tagliata a macedonia (mele, pere, ananas, kiwi, uva melone). Marmellate in piccole confezioni alberghiere o fatte in casa, l’immancabile Nutella per la quale i tedeschi vanno pazzi, succhi di frutta e spremuta d’arancia, acqua sia naturale che gasata, caffè in abbondanza (tedesco), brioscine e croissant e, a giorni alterni, torta di frutta o ciambellone marmorizzato.
Al bancone del buffet è tutto un alternarsi di persone che riempiono piatti, piattini e scodelle con ogni sorta di cibo, mentre mio marito ed io ci accontentiamo di una  scodellina di frutta ed un’altra con muesli e yoghurt accompagnate da una tazza di caffè… e ci guardano pure strano 🙂 .


Zagabria 12 maggio

La permanenza a Zagabria ormai volge al termine.

Oltre ai palazzi purtroppo rovinati che ho postato l’ultima volta, ci sono anche palazzi nuovissimi, tra i quali l’hotel Dubrovnic.

20160510_150024 (1) Ma anche altri, uno ad esempio nella trg Mažuranića è molto interessante,

20160509_122842come la scultura che gli sta davanti.

20160509_122850 Sempre là vicino, il teatro dell’Opera (che in cartellone ha pure Puccini)

20160509_173905e nel giardino antistante una singolarissima fontana

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20160509_173552 e, poco distante, una statua di San Giorgio.

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Poi nei pressi della cattedrale, c’è pure questo originalissimo edificio, ma non so esattamente cosa sia.

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Ah, c’è pure un angolo d’Italia: una serie di bancarelle che vendono prodotti alimentari tipici italiani, sardi, siciliani, emiliani e piemontesi..Noi in questo campo non abbiamo certo rivali :-).

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Altri monumenti si trovano un po’ dovunque: la statua nella trg Jelačiča dedicata al conte Jelačič,

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quella dell’ingegnere  Tesla,

20160508_171254poi una che ritrae un certo monaco Orgo Martic,

20160510_115154 un altra dedicata a non so chi sia, ma aveva l’aspetto di una persona amante della della vita,

IMG_20160510_202204ma ce ne sono altre molto originali, come il mezzobusto all’entrata di un ristorante,20160510_152444 (1)

un tizio simile a Freud appoggiato ad una colonna,

20160510_171314 (1) 20160510_202911 (1) la targa dedicata ad un cane (troppo difficile da tradurre la scritta 🙂 )

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e la mia preferita, un lettore appoggiato al muro mentre consulta un libro.

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Poi ci sono i locali dove abbiamo mangiato o ci siamo fermati per una sosta: il ristorantino romantico, con lampadari a forma di carrozza,

20160509_125606una pasticceria molto elegante

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un bistrò dove ci hanno offerto un liquore buonissimo a base di grappa in cui vengono macerate arance, ananas ed altra frutta il tutto aromatizzato con la vaniglia.

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Seguire la nostra dieta è stato difficile, in quanto là mangiano prevalentemente carne (il pesce più che altro sulla costa dalmata), ma qualcosa abbiamo sempre trovato. L’ultimo saluto dalla finestra del nostro hotel…

20160509_092135e si ritorna, lievemente incavolati per il confronto tra il prezzo della benzina tra noi e la Croazia (NB: un Euro equivale circa a 7,5 Kune).

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Zagabria 11 maggio

C’è una parola che ricorre spesso a Zagabria, come in tutta la Croazia : pekarna, ossia panetteria. Ne trovi tantissime,  in ogni luogo. Appena si arriva nella galleria (che ospita anche un grande centro commerciale ) che collega il terminal degli autobus alla stazione ferroviaria, si viene accolto dal profumo di pane appena sfornato. Ci sono tre grandi panifici: Pan Pek,  Mlinar e Dubravica, con forme di pane di tutti i tipi, da quelli piccoli come pasticcini alle pezze enormi (credo di 2 chili circa). Gente che acquista non solo pane, ma anche tranci di pizza (diffusissima qui) e la mangia, avvolta in sacchetti di carta.

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Quelle menzionate sopra sono le panetterie più commercializzate,  ma esistono anche tantissimi piccoli forni artigianali. (le tre foto seguenti le ho prese da internet)

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Ci siamo spostati con vari tram, spingendoci fino in periferia. Se in centro ci sono begli edifici moderni e ben tenuti, è triste vedere che mano a mano che ci si allontana le case sono molto più degradate. Passi per quelle in stile “sovietico”, grossi prefabbricati in cemento armato, spesso nascosti dagli alberi.20160509_115703

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Là ci sono anche begli edifici fine 1800 inizio 1900 con i muri letteralmente corrosi: intonaci che si sgretolano, pareti imbrattate dai soliti graffiti senza senso, per il solo (cattivo) gusto di danneggiare.20160510_171011

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Ma in centro si trovano anche dipinti davvero deliziosi, come questa signora in costume ottocentesco,

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o il bel graffito che decora la caserma dei vigili del fuoco.

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Poi ci sono i musei: partendo dalla solita Stazione, la prima che si incontra è la Galleria Strossmeyer,

20160508_181554imponente con la sua cupola grigia,che contiene numerose opere del Rinascimento italiano: interamente circondata da giardini e fontane, e prospiciente al parco dove, all’arrivo, avevamo notato una grande festa con bimbi e mamme, nonostante l’inclemenza del tempo. Vicino alla stazione c’è il palazzo davvero imponente del Ministero delle Ferrovie.

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Zagabria 10 maggio

Stoicamente mio marito,  nonostante la pioggerella e la temperatura fresca, è voluto uscire indossando solo una camicia jeans a maniche lunghe ed un gilet di pelle,  col risultato che abbiamo dovuto comperare di corsa una giacca impermeabile. Per fortuna ne abbiamo trovata una davvero bella e ben rifinita, interamente foderata di cotone : prezzo ? Al cambio nemmeno 40 euro!
Qui è la stagione delle fragole,  e dappertutto ci sono banchetti che vendono a buon prezzo cestini di questi profumatissimi frutti.
Non solo, ma ovunque  si trovano fiori e piante, sia davanti alla stazione che in vari punti della città. 20160511_102712

Qui ad esempio siamo nei pressi della cattedrale, dove assieme ai fiori vendono anche vari prodotti ortofrutticoli.

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Il simbolo di questo posto è la statua di una vecchia contadina che si trova in un angolo della piazza.20160509_110744

Da un lato, spunta anche il campanile del palazzo arcivescovile.

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La vitalità di Zagabria la si nota proprio nel tratto che va dalla Glavni Kolovdor (Stazione principale) alla trg Bana Jelačiča ed alla trg Mazuranića, (trg sta per Piazza) e sono le  strade maggiormente interessate dalle linee tramviarie (in città autobus non ce ne sono, servono solamente l’esterno) : numerosi e molto puntuali, i tram  sono pulitissimi, dai più recenti a quelli “vecchiotti”, addirittura con due carrozze separate, e sono molto adoperati dalla gente.

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Come avevo scritto l’altro giorno, noi abbiamo acquistato la Zagreb Card che, per il costo di 90 Kune (circa 12 euro) consente di viaggiare per 72 ore su tutti i mezzi in città, oltre agli sconti nei vari musei.

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Nei pressi dei luoghi che ho nominato prima si trovano i maggiori musei e, nelle vicinanze della trg Bana Jelačiča, la Cattedrale. Quest’ultima è dedicata alla Madonna, della quale c’è anche una statua proprio sul piazzale antistante la chiesa,

20160509_104240.jpg è stata costruita tra il 1093 ed il 1217. Distrutta dai mongoli nel 1242, venne ricostruita su iniziativa del vescovo Timoteo sulle rovine di quella preesistente e dedicata a santo Stefano, re di Ungheria (István Király, o Szent István).

Nel 1880 però un violento terremoto fece crollare sia la torre che la navata centrale:venne quindi ricostruita in stile neogotico con due grandi guglie ai lati della facciata principale, alte 108 metri, una delle quali attualmente in ristrutturazione.

Ho provato a fare delle foto all’interno, ma la grande presenza di giapponesi ha reso l’impresa pressoché impossibile. Le tre immagini che seguono sono quindi prese da internet. (Wikipedia – Diego Delso), mentre gli esterni (facciata) sono opera mia, con il cellularino.

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(Navata principale)

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(sarcofago beato Alojzije Stepinac)

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(vestibolo)

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E se…

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“E se…” è il criterio con cui noi donne prepariamo i bagagli.
E se dovesse fare caldo?
E se dovesse rinfrescare?
E se dovesse piovere?
E se mi dovessi macchiare o si dovesse rompere o strappare qualcosa?
Già,  perché noi donne dobbiamo prevedere tutto, essere pronte a tutto, specialmente con il cambio di stagione.
Quindi 3 magliette di cotone e 2 camicette con le maniche corte se dovesse fare caldo.
Poi anche 2 maglie ed una camicia in jeans con le maniche lunghe  nel caso opposto.
Un gilet di maglia può mancare? Certamente no, e risolve molti problemi.
Poi un paio di jeans di ricambio, anche se sono pochi giorni.
Una giacca (con la quale partirò ) ed il K-Way in valigia se dovesse piovere.
Ho portato pure l’ombrello pieghevole ed il mio phon dotato di spazzola.
Le scarpe da pioggia sono sempre nel portabagagli, quindi non occupano spazio in valigia.
Poi biancheria di ricambio,  pigiama e ciabattine…
Ah, il caricabatterie ed un paio di prese multiple (alcuni alberghi sono un po’ avari in questo senso).
Il beauty case… quello è  a parte, e contiene anche la scorta di aspirine ed eutirox, oltre alle lenti a contatto di riserva  (ma in valigia c’è comunque sempre un paio di occhiali da vista).
A conti fatti, la mia valigia peserà il doppio di quella di mio marito… ma non si sa mai…
Spero di riuscire a collegarmi alla sera approfittando del wi-fi.
Se non ci riesco, beh, sono 5 giorni solamente…

Domattina sveglia all’alba anche perché prima della partenza bisogna andare a votare.

Un saluto a tutti 🙂

 

 


Fürth

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Siamo a Firenze?

Sbagliato, siamo a Fürth, sempre in Franconia.

Il Municipio (Rathaus) è infatti una copia del Palazzo Vecchio di Firenze, eretta tra il 1840 ed il 1850 dall’architetto Friedrich Bürklein, con una torre alta 55 metri.

La città è graziosa, anche se non presenta bellezze particolari. Uniche cose degne di nota, alcune statue e fontane dedicate ad animali, come nei pressi della stazione,

smart20150922_102129oppure agli artisti di strada, come am Grünen Markt, il Mercato verde dove, ad un cantone, è possibile anche ammirare una vecchia insegna, quella del Cigno d’Oro

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Ci sono poi alcuni personaggi legati alla città: il più importante è senza dubbio Henry Kissinger,consigliere di Richard Nixon e Gerald Ford e segretario di Stato, premio Nobel per la pace nel 1973, qui nato il 27 maggio del 1923,

WASHINGTON, D.C. - AUGUST 25: SIXTY MINUTES episode with Henry Kissinger (seated at right) and the President of the United States of America, Richard M. Nixon. Image. dated August 25, 1970. (Photo by CBS via Getty Images)

WASHINGTON, D.C. – AUGUST 25: SIXTY MINUTES episode with Henry Kissinger (seated at right) and the President of the United States of America, Richard M. Nixon. Image. dated August 25, 1970. (Photo by CBS via Getty Images)

ma assai curioso è sapere che pure Sandra Bullock è in un certo modo legata alla città tedesca. L’attrice infatti è figlia di padre americano, ma la madre era un’insegnante di canto lirico tedesca. Pur essendo nata in Virginia, Sandra ha vissuto a Fürth fino all’età di 12 anni, dove cantava nel coro della chiesa.

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Naturalmente, come è tipico di questa città, ci sono anche le solite case a graticcio.

 

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smart20150922_111206Ma una cosa mi ha colpito: ci sono tantissimi bambini, e le Tagesmutter che li accompagnano in giro per la città utilizzano dei carrettini solitamente a sei posti, come quelli illustrati nelle immagini.

 

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Forchheim

Forchheim è una piccola cittadina di circa trentamila abitanti e da Erlangen la si raggiunge in circa 15 minuti di treno.

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Non è quasi citata su internet, ed è ricordata solamente per la festa di sant’Anna che si tiene per una decina di giorni verso la fine di luglio ed al cui allestimento partecipa tutto il paese. Ma è comunque una cittadina che vanta una storia piuttosto antica, in quanto la sua fondazione risale a prima dell’800. A ricordo della sua storia, sulla strada principale del paese, interamente pedonale, è stata eretta una scultura a forma di porta, con le date salienti della sua storia.

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Si trova nella Fränkische Schweiz, (Svizzera Francone) ossia quella parte della Franconia delimitata dai fumi Regnitz e Pegnitz, zona in cui si trova anche Bamberg, caratterizzata da rocce di tipo calcareo dall’origine pressoché identica a quella delle Dolomiti, dovute all’abbassamento della crosta terrestre che prima era sede di un fondo marino, ed è quindi molto ricca di fossili, in particolar modo di ammoniti.

Forchheim è situata al limite occidentale di questa zona: una cittadina davvero graziosa. La piazza principale è quella dove di trova il Municipio (Rathaus) adornato da una bella fontana con busti di donne che versano dell’acqua da alcune brocche.

 

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In questa zona un piatto tipico è la carpa fritta, ed ecco allora che sulle rive del fiume a questo pesce è stato dedicato un simpatico monumento.

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Quasi tutte le abitazioni sono le tipiche “case a graticcio”, e spesso sulla facciata o sui cantoni si trovano statue di santi e Madonne.

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Una delle tante chiese ha anche varie immagini della Passione, con personaggi in dimensione originale.

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C’è anche un museo, dove le mura sono decorate da antichi stemmi gentilizi.

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Altra bella costruzione è la Scuola superiore di Musica.

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E nella Marktplatz c’è un bel gruppo di statue rappresentanti la Madonna affiancata da sue angeli (purtroppo, non vedendo bene lo schermo a causa di un riflesso, la testa di Maria è parzialmente tagliata).

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Naturalmente si pasteggia bevendo birra, anche perché qui costa meno dell’acqua minerale 🙂 : ed ecco quindi due bei boccali ed una simpatica pubblicità.

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Di ritorno

 

 

 

 

 

 

erlangen11811387_728808983912338_1744697494494307846_nEccomi di ritorno…

Il viaggio questa volta è stato molto meno stressante; comunque al confine tra Germania ed Austria sulla corsia opposta c’erano 8 o 9 chilometri di coda.

Siamo stati fortunati anche con il tempo: anche se è rinfrescato parecchio non ci sono stati problemi perché siamo partiti ben attrezzati, anche se pure il giorno dopo essere arrivati avevo ancora qualche linea di febbre ed una tossetta fastidiosa. Purtroppo abbiamo dovuto rinunciare a vistare Wűrzburg, ma in compenso ci siamo ritrovati con una coppia di amici che sta a Bad Windsheim e con i quali ci eravamo incontrato sia a Merano che a Fiè.

Però c’erano altre città da visitare, questa è stata la volta di Fűrth e Forchheim, e la stessa Erlangen è una cittadina molto vivibile. Un poco alla volta posterò le foto (sempre fatte con il cellulare, quindi di qualità non eccelsa 😦 ), ma come ricordo sono più che valide. In albergo ormaici trattano come fossimo di famiglia: non so quante volte abbiamo soggiornato là, anche perché abbiamo fatto tappa sia all’andata che al ritorno quando ci siamo recati in Belgio a Bruges.

Adesso vado a caricare la lavatrice 🙂

Un saluto a tutti.


Bamberg – seconda parte

Siamo quindi saliti verso il Duomo. Saliti è la parola adatta, perché la strada è piuttosto ripida. È dedicato ai santi Pietro e Giorgio ed è uno dei monumenti più rappresentativi del Medioevo tedesco, unitamente a quelli di Mainz e Worms. Attualmente una delle quattro torri che lo circondano è in restauro, come si vede dalla fotografia. Davanti staziona un caratteristico, vecchio autobus adibito al giro turistico della città.

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La costruzione della chiesa ebbe inizio nel 1004 (un’altra fonte riporta il 1007) sotto il governo di Enrico II; consacrata nel 1012 fu però distrutta nel 1081 da un incendio. Riedificata, venne ancora incendiata nel 1185. Poco resta quindi della chiesa originaria. La terza ricostruzione ebbe luogo tra il 1215 ed il 1250,ed è una sorta di compromesso tra l’originario stile romanico ed il nascente protogotico. Successivamente, nel XVIII secolo alle quattro torri fu aggiunta una cupola a punta.

Una ampia scalinata conduce alla porta di Adamo, in quanto da essa nel giorno del Mercoledì delle ceneri venivano fatti uscire i penitenti, come Adamo fu cacciato dal Paradiso. Un tempo sui basamenti che fiancheggiano il portale poggiavano sei statue: Enrico II, sua moglie Cunegonda, santo Stefano, San Pietro ed infine Adamo ed Eva, senza vesti, cosa inusuale per quei tempi.

La porta di Adamo fa “pendant” con la Porta di Maria, (detta anche “Porta della Misericordia”) di stile lombardo, come è caratterizzato dai pomelli metallici che la adornano. Nel timpano che la sovrasta si trova la statua della Madonna fiancheggiata dalla coppia degli Imperatori Enrico II e Cunegonda, fondatori del duomo, nonché del vescovo Eckbert e di suo nipote, prete Poppo, mentre ai piedi di Maria c’è, inginocchiato, un crociato, donatore del portale. Il nome di Porta della Misericordia è dovuto al fatto che i peccatori espulsi dalla porta di Adamo nel Mercoledì delle ceneri venivano fatti rientrare da quest’altra porta nel giorno di Giovedì santo, dopo aver ricevuto l’assoluzione. Anticamente il timpano era colorato, ma adesso dell’iniziale decorazione restano solo pochi frammenti pigmentati.

Davanti al portale il “rospo” del Duomo. Inizialmente erano dei leoni a guardia dell’ingresso, ma il tempo e le intemperie hanno consumato moltissimo i manufatti. Anche su questi “rospi” esistono delle leggende che vedono protagonista il demonio, che osteggiava la costruzione  della chiesa.

All’interno del Duomo ci accoglie subito la statua equestre del Cavaliere di Bamberg. Ne è ignoto l’autore come pure il personaggio raffigurato, forse lo stesso imperatore Enrico II, ma molto più probabilmente si tratta del santo re Stefano d’Ungheria, come sembrerebbe dalla fattura della sella, sposo di Gisella, sorella di Enrico II. La statua, pur a grandezza naturale, è situata piuttosto in alto, su una mensola poggiante su uno dei pilastri. Il baldacchino che lo sovrasta, indice di regalità, rappresenta la città di Gerusalemme ed il cavallo è uno dei primi raffigurato ferrato. Il gruppo marmoreo è allegorico, rappresentando tutto l’universo: un demone in basso (qui non visibile) rappresenta gli Inferi, la mensola coperta di frasche il regno vegetale, il cavallo ovviamente il regno animale, il cavaliere il genere umano e Gerusalemme il Regno Celeste.

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(Immagine da internet)

Così perfetto l’aspetto del Cavaliere, da essere assurto ad immagine del tipico ariano durante il Terzo Reich.

L’imperatore morì cinquantunenne a Gottingen nel 1024. Nel 1033 lo seguì la consorte Cuegonda, che si era ritirata in un convento presso Kassel. I due sposi, canonizzati dopo la morte, furono tumulati vicini nel duomo in una tomba costruita tra il 1499 ed il 1513 scolpita da Tilman Riemenschneider. La pietra tombale li raffigura appunto fianco a fianco, ma presenta una particolarità: solitamente alla destra si metteva sempre l’effigie del personaggio più importante, quindi in questo caso avrebbe dovuto essere Enrico II, ma qui avviene l’opposto. Cunegonda infatti veniva venerata dal popolo con un rito quasi mariano, perciò le venne riservato il posto d’onore.

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(Immagine da internet)

smart20150630_181551Ai piedi dei due sovrani, ci sono i blasoni sorretti da due leoni, mentre le fiancate sono adornate da bassorilievi rappresentanti episodi della vita dei due santi coniugi. Tra queste, la prova dei vomeri: Cunegonda, sospettata di infedeltà, cammina scalza su alcuni vomeri ardenti, uscendo indenne dalla prova, e questo era indizio di un favorevole giudizio divino. C’è poi il miracolo della moneta: Cunegonda, al momento di pagare gli operai che lavoravano alla costruzione del convento di santo Stefano, scopre tra di essi un ladro, in quanto la moneta gli perfora la mano.smart20150630_181603

 

Su uno dei lati brevi del sarcofago è riprodotta la morte dell’Imperatore. Come ho scritto in precedenza, Enrico morì nel 1024 nel suo palazzo nei pressi di  Gottingen. Cunegonda, piangente, e la Corte erano presso di lui e l’immagine mostra l’Imperatore mentre impartisce le ultime disposizioni dal letto di morte.

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Proseguendo nella visita del duomo, si arriva all’Altare natalizio, ultima opera dello scultore Veit Stoß, risalente all’anno 1520. L’altare era destinato alla chiesa dei Carmelitani di Norimberga, della quale Andreas, figlio dello scultore, era priore. Veit Stoß vi lavorò per tre anni, terminandolo nel 1523. L’altare non fu però completato, a cauìsa della Riforma di Norimberga del 1524; Andreas Stoß si trasferì poi a Bamberg nel 1526, nell’attuale Obere Pfarre (la Parrocchia Superiore), e nel 1543 il trittico incompiuto fu acquistato da questa chiesa e qui installato. Nel 1937 l’Altare natalizio fu trasferito nel Duomo come prestito permanente, e la Parrocchia Superiore ottenne in cambio una Pala d’altare del Tintoretto.

Al centro dell’Altare di Veit Stoß è illustrata la Storia del Natale: si può osservare la madonna con Gesù Bambino, a sinistra sopraggiunge Giuseppe. Vicino a Maria si vedono alcuni angeli musicanti e sullo sfondo si scorgono delle persone arrampicate sugli steccati per osservare meglio l’evento. Gli altri bassorilievi ai lati illustrano a destra la Nascita di Maria, in basso a destra l’ingresso di Gesù nel Tempio, quindi in alto a sinistra la Fuga in Egitto ed infine in basso a sinistra l’Adorazione dei Re Magi. In origine erano stati preparati per le ante dell’Altare altri bassorilievi, che, però, sono andati smarriti in seguito a danneggiamenti e furti.

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Bamberg – parte prima

 

Un pizzico di storia.

Se Norimberga è una bellissima città, Bamberg è addirittura affascinante.

Circa 70mila abitanti, chiamata dai tedeschi “la Roma della Franconia” (*) sia perché edificata su sette colline (Stephansberg, Kaulberg, Domberg, Michelsberg, Jakobsberg, Altenburg e Abtsberg) che per la presenza di numerose chiese e conventi, in quanto in passato fu residenza di principi-vescovi . Ma ha pure un quartiere denominato “la piccola Venezia”, per le sue case di pescatori che si affacciano sul fiume Regnitz, un affluente del Meno….

lorysmart2777Ora i pescatori non abitano più qui, ed il quartiere è diventato molto chic .

A me ha ricordato un poco Bruges, per via appunto dei tanti ponti che attraversano sia il fiume che il canale Main-Donau, un poco Dresda, per i palazzi scuriti dal tempo e per lo stile barocco.

Uscita pressocché indenne dalle varie guerre, ha un centro storico che si è conservato integro nel tempo, tanto da essere dichiarata monumento nazionale nel 1981 ed annoverato tra i patrimoni UNESCO dal 1993.

La sua origine è molto antica, e già nel 902 veniva citato un Castello Babenberch o Babenberg, dal casato dei fratelli Babenberger cui apparteneva. All’estinzione della loro dinastia, il castello divenne proprietà dell’imperatore Ottone II che ne fece dono al duca Enrico di Baviera nell’anno 973, data ufficiale in cui si fa decorrere la nascita della città. Successivamente, la proprietà passò al figlio, Enrico II ed alla sua consorte Cunegonda, i quali, essendo molto pii, fecero costruire numerose chiese e conventi, trasformando il feudo in un principato, di cui Bamberg diventò la capitale.

 

(*) La Franconia fa sicuramente parte della Baviera, ma i suoi abitanti ci tengono a “distinguersi” dagli altri bavaresi….

 

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Visita della città

Siamo arrivati con il treno da Erlangen, dove risiedevamo (non finirò mai di lodare i mezzi pubblici tedeschi) ancora di prima mattina, ed il primo impatto non è stato dei migliori, in quanto la stazione è piuttosto anonima, ma è bastato accedere al centro storico per cambiare letteralmente idea e rimanere affascinati da questa città.

Per prima cosa, si incontra il Municipio Geyerswörth, uno dei tre presenti a Bamberga. La sua origine risale agli inizi del XIV secolo, quando la famiglia Geyer di Norimberga arrivò in città e si legò a quella dello “Zollner”, l’esattore della dogana.

Il castello gentilizio fu inizialmente dimora dei diversi rami della famiglia, ma nel 1703 diventò residenza del Principe Vescovo. Dal castello Geyerswörth parte una passerella dalla quale si ha una bellissima vista dell’Antico Municipio, che sorge sopra un’isola al centro del fiume. In pratica il vecchio municipio rappresenta il confine tra la città episcopale e quella laico-borghese. Una leggenda narra che i cittadini volessero costruire un proprio municipio, ma il Vescovo non volle mettere a loro disposizione il terreno necessario, cosicché lo edificarono su un’isoletta, e vi aggiunsero anche la “Rottmeisterhäuschen” (casetta del caporale), adibita ad abitazione del comandante delle forze di polizia di quel periodo, una tipica costruzone a graticcio (Fachwerkhaus) proprio adiacente alla torre. 

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Sempre dalla passerella, si notano diversi mulini che non servivano solo per macinare i cereali, ma anche per ridurre in poltiglia la corteccia di quercia dalla quale si ricavava un decotto ricco di tannino utile per la concia delle pelli. Un paio di mulini sono ormai completamente diroccati mentre altri, sottoposti a restauro, sono stati trasformati in alberghi e locande.

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Il ponte sul quale sorge l’Antico Municipio è arricchito da uno stupendo gruppo marmoreo rappresentante la Crocefissione.

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L’edificio è adornato sulle due facciate (anteriore e posteriore) con pregevoli

affreschi dell’artista Anwander, che li creò nel 1755, e rappresentano in maniera allegorica i quattro elementi, sul lato a monte, e le quattro stagioni, sul lato opposto. Successivamente sono illustrati i Vizi e le Virtù. lory_miao 2761È interessante, inoltre, il fatto che il dipinto si trasformi talvolta in scultura: vediamo così sporgere la gamba di un angelo, una finestra è parzialmente coperta da una tenda ed alcuni angioletti sono come sospesi su un lato.

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bamberg_anwander2Per quanto concerne la costruzione dell’Antico Municipio dobbiamo ancora ricordare che la struttura si erge, di fatto, su un suolo notevolmente morbido, vale a dire quello della sabbia alluvionale del fiume Regnitz. Per stabilizzare le fondamenta  si è creato un supporto con centinaia di pali di quercia conficcati nel terreno, sui quali il Municipio poggia ancora oggi. La costruzione è molto resistente e lo testimonia il fatto che dal 1897 al 1922 i tram di Bamberg, con ben due linee, hanno potuto transitare attraverso l’Altes Rathaus (l’Antico Municipio); in seguito il Ponte Superiore è stato percorso dal traffico regolare, autobus e camion inclusi. Il fabbricato ha sopportato tutto questo e nel conferirgli stabilità gioca un ruolo fondamentale la peculiarità del legno di quercia, che, immerso nell’acqua e senza contatto con l’aria, con il passare del tempo diventa solido come cemento.

Sulla facciata della torre del Ponte colpiscono subito l’attenzione i balconi in stile rococò

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e sopra ad essi lo stemma di uno degli ultimi Principi vescovi di Bamberg, Konrad von Stadion che qui ebbe residenza fino al 1757. Il blasone del Vescovo Principe indicava che, oltrepassando la torre,  si entrava nel suo dominio.

Al primo piano del fabbricato  dell’Altes Rathaus (l’Antico Municipio) si trova la Sala Rococò, utilizzata in occasione dei ricevimenti della città di Bamberg, mentre al piano terra è sistemata la mostra permanente della Collezione di porcellane.

 

(Se non siglate con Lorysmart, le immagini si intendono prese dal web)

 


Bruges – quinta ed ultima parte

Il tour ormai volge al termine.

L’immagine posta per ultima nel quarto post è quella del ponte San Bonifacio che, pur sembrando molto antico, data invece dal 1910: un falso storico molto ben riuscito, in pieno stile medievale. Là siamo nei pressi di un altro punto molto interessante, ossia il Gruuthuse, comprendente sia il museo ominimo che il Gruuthusehof. Il nome è quello di una facoltosa famiglia locale il cui patronimico deriva dal “gruut”, ossia una miscela di spezie ed erbe usate per insaporire la birra. Il museo è collocato un un palazzo alto e possente, con torri e pinnacoli,   Gruuthuse_12052014038mentre il Gruuthusehof è una casetta piccola e bassa situata all’estremità di un bivio. Gruuthusehof_14052014062

Nelle vicinanze c’è la chiesa di Nostra Signora, con il campanile più alto della città, 122 metri,

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nota soprattutto perché all’interno conserva la madonna con il Bambino di Michelangelo, acquistata in Italia da un commerciante che la donò alla propria diocesi. Questa è l’unica opera di Michelangelo esportata dall’Italia quando l’artista era ancora in vita.

Lungo il canale, si vedono le stanze dell’antico ospedale di san Giovanni che danno direttamente sull’acqua.

Ritornando ancora nei pressi del Markt c’è il nucleo originario di Bruges, ossia il palazzo della Fortezza. Qui infatti sorgeva la fortezza fatta erigere a difesa delle coste per difendere il territorio dalle invasioni normanne, e da lì si sviluppò quindi il borgo. Ora nella piazza di possono notare il Municipio e la vecchia Cancelleria (Oude Griffe), recentemente restaurata e ritornata all’antico splendore con i suoi ornamenti dorati. Ma ci sono anche altri edifici importanti, come la prepositura, sede del preposto della cattedrale di san Donato e la vecchia corte di giustizia.

Infine una curiosità: le cosiddette Case di Dio, tipiche di altre zone del Nord Europa. Erano casette fatte costruire da una parrocchia o anche da un privato che venivano concesse in affitto simbolico ad anziani indigenti a patto che ogni sera pregassero per il fondatore di queste case. Ogni quartierino era quindi affiancato da una cappella.

Ma la cosa più bella non si può descrivere, ed è l’atmosfera di questa città: le colazioni fatte al bar con le gaufres

appena sfornate ricoperte di zucchero a velo, o in latteria con i croissants, le cene a base di quiches, di omelettes o di crepes ripiene di verdure, nei ristorantini lungo i canali, sempre accompagnati dalla birra (*), il rumore degli zoccoli dei cavalli sull’acciottolato, o il silenzio in certe stradine rotto solo dallo sciabordio delle acque lambite dagli alberi, mentre anatre e cigni navigano lentamente…

(*)Già, la birra, perché a conti fatti costava molto meno dell’acqua: un litro di minerale san Pellegrino 7 euro, mezzo litro 4,50 euro, quando con una cifra da 2 a 3,65 euro si beveva un’ottima birra da 33 cl…

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E, qui di seguito una breve carrellata di immagini. Nell’Ultima, un piatto un po’ speciale, direi perfino internazionale 🙂

 

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Bruges – parte quarta

 

Un’altra delle torri che svettano nel cielo di Bruges, è quella quadrata, adornata da vari pinnacoli, del campanile della cattedrale del Saint Sauveur , che è anche la chiesa più antica della città risalente all’anno 850, anche se del nucleo originale ormai non rimane più nulla, mentre il nuovo edificio fu costruito dal XII secolo in avanti.

 

 

Sempre nelle vicinanze si può vedere l’antica casa di João Vasquez, segretario di Isabella del Portogallo, madre di Carlo il Temerario. Sul frontone il motto “À bon compte avenir” (Il futuro appartiene a coloro che ascoltano attentamente).

 

JOAO VASQUEZPoco distante la statua di un illustre cittadino, Simon Stevin inventore, ingegnere, costruttore, matematico, scienziato. A lui si deve una piccola ma significativa ideazione, ossia la virgola che separa il numero intero dai decimali…sembra facile, ma nessuno ci aveva pensato prima :-).

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Passeggiando, ci sono varie case che erano sedi delle varie corporazioni di mercanti, come quella dei calzolai (Gekronde Laars) che sul pinnacolo espone uno stivale,

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o quella recentemente ristrutturata, della corporazione dei muratori. 

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Altro conterraneo importante fu Jean Van Eick, al quale sono  dedicate sia una piazza che una statua.

 

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È l’autore del celebre quadro conservato alla National Gallery di Londra “I coniugi Arnolfini”, mercanti italiani, per la precisione di Lucca, che furono ritratti dal pittore fiammingo verso la metà del 1400.

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Nella piazza finisce il canale e lì era situata la dogana, mentre sull’edificio all’angolo, in una nicchia, si nota la statua di un orso che, secondo un mito, fu il primo abitante del luogo.

 

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Poi ci sono i vari mercati: quello delle uova, con una fontana con i due animali araldici simbolo di Bruges, l’orso appunto ed il Leone delle Fiandre che tra gli artigli tengono lo stemma cittadino; ed il mercato del pesce con le sue colonne. Quando ci siamo passati, c’era un gruppo di pittori che esponevano i loro dipinti, ma anche un ragazzo abbastanza giovane che lavorava una tela al telaio alla maniera antica.

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Già, perché l’industria manifatturiera a Bruges è sempre stata una delle occupazioni basilari. A parte le telerie e gli arazzi, l’attività principale, quella che permise agli abitanti di sopravvivere durante il periodo nero della decadenza, è quello dei merletti: ricami leggeri, a fuselli, che richiedono infinita pazienza e precisione, con i fili intrecciati grazie all’aiuto degli spillini, che consentivano creazioni delicate e che venivano rivendute per pochi soldi, che non ripagavano certo le ore spese per questo lavoro, a ricche nobildonne o usate per i paramenti sacri. Ed ancora oggi non so quanti negozi vendono trine e merletti al tombolo…

Poi ci sono le praline di cioccolata: credevo che il cioccolato svizzero fosse il migliore, ma ancora non avevo assaggiato quello belga: inutile dire che abbiamo fatto incetta, perché davvero merita. Il Belgio poi sta cercando di proteggere il suo prodotto da quelli similari, cosa che dovremmo fare pure noi italiani con le nostre eccellenze gastronomiche.

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L’unica nota un po’ “fastidiosa”, ma non più di tanto, vista l’innata educazione, era la presenza di turisti giapponesi: tantissimi, li trovavamo dappertutto sempre sorridenti ed armati di macchina fotografica o di tablet, inquadrati come scolaretti dietro le loro guide. Un po’ birbantescamente ci veniva da fischiettare “Il ponte sul fiume Kwai”, ma ci siamo trattenuti.

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Ci sono vari punti suggestivi in città: uno è il Rozenhoedkaai, ossia il molo delle ghirlande di rose che su questo molo venivano  vendute durante il medioevo. Qui si ha la visione sia del Belfried, ossia la torre del Markt, che della torre del Saint Sauveur.

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L’altro è quello del ponticello con la veduta sulla parte posteriore dell’abside che ho messo all’inizio della prima parte del viaggio. Pure io ho provato a fotografarlo, ma con il cellulare non si possono fare miracoli 🙂

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Bruges – terza parte

 

Il beghinaggio fu il primo settore di Bruges ad essere messo sotto la tutela dell’Unesco già nel 1997.

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È uno dei punti più visitati della città. Già il cortile è di una grazia unica. Purtroppo eravamo in ritardo per la fioritura dei narcisi, che avviene tra marzo ed aprile, ma anche così trasmetteva una sensazione di pace e di tranquillità. Sul portone d’ingresso si possono leggere sia la data di costruzione (1776) che la scritta “Sauvegarde”, testimoniante l’indipendenza di quel luogo da qualsiasi autorità.

 

Dappertutto, cartelli invitano al silenzio ed alla riservatezza. Il cortile delle beghine fu costruito da Margherita di Costantinopoli, contessa delle Fiandre, nel 1245 ed in seguito furono erette le altre costruzioni. Le beghine, pur dipendendo da una superiora, non erano monache e non pronunciavano i voti, ma erano pie donne, spesso vedove, che sceglievano di vivere in convento, pur essendo libere di lasciarlo in ogni momento. Inoltre lavoravano per il loro sostentamento, presso gli ospedali o gli opifici tessili, conservando quindi la propria indipendenza. Ma già dal 1930 circa, beghine non ce n’erano più, sostituite da un ordine di suore benedettine.

All’uscita dal beghinaggio, c’è il laghetto del Minnewater. Molti, romanticamente, traducono l’espressione con “Laghetto dell’amore”, anche per l’assonanza della parola con il termine dei Minnesaenger, ossia i menestrelli amorosi del medioevo. Però la parola Minne in olandese significa anche “comune”, “collettivo”, e molto più prosaicamente il significato è quindi “acque pubbliche”. Però c’è anche una leggenda molto romantica che giustificherebbe il nome: Minna, figlia di un pirata sassone si lasciò morire per amore di Morin proprio lungo le rive di un ruscello. Il suo amante allora, per perpetuare il suo amore, deviò il corso del ruscello, vi seppellì l’amata, e riportò l’acqua al suo percorso abituale. E l’amore eterno è promesso agli innamorati che attraversano assieme il ponte. Insomma, ce n’è per tutti i gusti. Sullo sfondo, nascosto tra gli alberi, il castello del Minnewater, che assomiglia tanto a quello di Hogwarts della saga di Harry Potter, pieno di guglie e pinnacoli.

Sui prati circondanti il laghetto una folta colonia di cigni (quelli imposti da Massimiliano d’Austria, come avevo già scritto), e di anatre.

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Là vicino abbiamo pranzato in un ristorante delizioso “La dentelliere”, che fa riferimento ai merletti, un’altra delle attività tipiche della cittadina. Vicino alla finestra, il posto dove abbiamo mangiato.

 

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Nella piazzetta, assai piccola per la verità, c’è un’altra stazione per le carrozzelle ed una fontana adornata dalla testa di due cavalli. E nei locali là intorno, i vetturini, con i loro caratteristici cappelli di paglia, fanno sosta per bere una birra e rifocillare nel contempo i loro animali.

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Cosa mangiare a Bruges? Beh, per una volta abbiamo fatto un’eccezione alla nostra disciplina vegana ed abbiamo assaggiato la carbonnade à la flamande, ossia uno spezzatino di manzo cotto, anzi stracotto, nella birra. La carne fortunatamente era poca: invece erano molto abbondanti le patatine fritte, altra specialità della zona, più spesse delle nostre e particolarmente croccanti grazie alla doppia cottura alla quale vengono sottoposte.Tanto rinomate, da avere anche un museo loro dedicato.

Il tutto annaffiato dalla birra. E qui c’è solo l’imbarazzo della scelta, in quanto in Belgio, pur così piccolo, ci sono infinite varietà di birre, tra le lager, le ale, le trappiste. Noi abbiamo optato per una tipica della città, servita in calici sottili e non in quei pesanti boccali tipici tedeschi. In questo modo la bevanda la si gusta molto di più.

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Bruges – seconda parte

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Pur non avendo l’incanto di Venezia, città non paragonabile a nessun’altra al mondo (spesso l’ho definita “un sogno appoggiato sul mare), Bruges ha comunque molto fascino al pari di altre città, quali Amburgo e Amsterdam, attraversate dai canali. Un fascino accresciuto dalle sue case che fiancheggiano i corsi d’acqua. Edifici per la maggior parte del 1500/1600, ma alcune case sono addirittura della seconda metà del 1200. Tutte rigorosamente in mattoni pieni, dalle varie sfumature dell’ocra che variano dal giallino all’arancio ed ancora al rosso scuro. Alcune facciate sono state dipinte in bianco o marrone scuro, tutte sono abbastanza basse, un piano terra, uno rialzato e sopra un abbaino inserito nel tetto triangolare a gradini (à pignons), sormontati da comignoli. I muri, vecchissimi, sono tenuti insieme da tiranti di ferro a volte molto semplici a volte decorati. Altra bellezza della città sono i ponti: alcuni sono relativamente recenti, però sono stati costruiti rigorosamente in stile dell’epoca: piuttosto bassi, consentono appena il passaggio di barconi ad idrogetto carichi di turisti.

Nei canali si specchiano le vecchie case, con bovindi, terrazzini, giardinetti verdi dove salgono le papere a riposarsi, salendo tramite assi di legno appositamente collocate.

Il centro della città è la piazza del Markt, che denota l’antica vocazione commerciale di Bruges. È da lì che si dipartono tutti gli itinerari turistici. La piazza molto ampia è di forma rettangolare, dominata dalla torre alta 83 metri (in origine erano molti di più, ma un incendio nel 1741 distrusse la cuspide) , sulla quale si può salire a piedi, ma i gradini sono ben 366, un pochino troppi per noi, pur allenati a camminare. La torre non è simbolo né del municipio né della chiesa: simboleggia semplicemente la libertà del comune e la sua ricchezza e fu costruita, innalzandola sempre più, in tre differenti epoche: la parte inferiore nel XIII secolo, la mediana nel XIV e la superiore, di forma ottagonale, nel XV secolo, dove si trovano le 47 campane del carillon per un peso di circa 27mila chili. Il carillon suona ogni quarto d’ora, variando sempre la melodia, interrompendo solo dalle 21 alle 7 del mattino seguente per consentire il riposo notturno. Una delle campane, che si trova nella sezione mediana della torre, è la cosiddetta “Campana della vittoria”, pesante circa 5 tonnellate, che suona solo in occasiobi speciali: feste nazionali, la Processione del Santo Sangue o la conquista dello scudetto da parte della locale squadra di calcio :-). Come avevo detto, c’era anche una cuspide bruciata però nel 1741, ma che è riprodotta in questa illustrazione di Jan Baptiste van Meunninxhove.

 

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Sulla sinistra della piazza, guardando la torre, c’è il Palazzo Provinciale, dove risiede il governatore delle Fiandre, che rappresenta il re. A destra invece la casa Cranenburg,

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ove fu fatto prigioniero Massimiliano d’Austria che, dalle finestre, fu costretto ad assistere all’esecuzione dei suoi fedelissimi, tra i quali Pieter Langhals (Lungocollo) che aveva per stemma un cigno. Quando Massimiliano riacquistò la libertà, obbligò per punizione la città di Bruges a tenere dei cigni in tutti i canali in ricordo del suo seguace.

Nel centro della piazza una statua raffigurante due personaggi: Jan Breydel (capo dei macellai) e Pieter de Conink (capo dei tessitori), artefici della rivolta contro la Francia di Filippo  il Bello nel 1302. I due personaggi sono nominati nel libro “Il Leone delle Fiandre”, ma è accertata solo l’esistenza del secondo, mentre quella del primo è solo leggendaria.

Sempre nella piazza, la stazione di partenza delle vetture a cavallo: un giro è sempre consigliabile, anche perché costa solo 39 euro.

 

La torre è anche utile per orientarsi: visto il dedalo di vie e viuzze tra i canali, essendo le case assai basse, ogni tanto l’edificio spunta da qualche parte ed indica la direzione giusta: particolarmente apprezzata da noi che alloggiavamo a circa trenta metri da essa.  

 


Bruges – prima parte

Confesso che il Belgio non ci aveva mai attirato più di tanto, finché un paio di anni fa abbiamo visto un film, un thriller interessante e psicologico, (In Bruges – La coscienza dell’assassino, con Colin Farrell e Brendan Gleeson) in cui veniva mostrata la città di Bruges, anzi Brugge, come la chiamano i locali in lingua olandese.

Film Title: In Bruges

 

È nata così l’idea di visitare questa città. Contrariamente alle nostre abitudini, abbiamo alloggiato proprio in centro città, a pochi metri di distanza dal Markt, da quale ci separava solo una stretta stradina. Anzi, la torre che sovrastava i tetti era visibilissima dalla nostra stanza, situata proprio in una mansarda all’ultimo piano e con un magnifico sguardo sui tetti delle case circostanti.

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Un pizzico di storia  

 

Per conoscere meglio la città è bene sapere anche qualcosa sulla sua storia.

Bruges è una cittadina relativamente recente. Non ha infatti radici romane, come Treviri, Colonia, Aquisgrana. Due millenni fa non era conosciuta affatto, essendo probabilmente solo un piccolo insediamento di poca importanza. Ma nella prima metà del IX secolo si verificò una scorreria normanna tramite il braccio di mare dello Zwin arrivando fino all’interno del paese, e gli invasori chiamarono questo posto Bryghia, che nella loro lingua significava “approdo”.

Il conte Baldovino 1° (detto “dal Braccio di Ferro”)

fece costruire una fortezza entro le mura della quale si rifugiarono gli abitanti conservando il nome datole dai Normanni. Intorno a questa fortezza si sviluppò piano piano tutta la città. Con il passare del tempo Bryghia divenne Brugge e divenne un centro fiorente per il commercio tra le vie del Nord e de Sud, ma specialmente tra i commercianti dell’Ovest e dell’Est (Oesterlingen), ai quali è dedicata una piazza, in quanto furono i promotori della Lega Anseatica. Il periodo di maggior splendore fu il XV secolo, quando le manifatture tessili e le ditte commerciali incrementarono molto la ricchezza della città, tanto che essa diventò, grazie anche ai grandi banchieri italiani che vi si insediarono, specialmente della famiglia Medici, l’equivalente dell’odierna Francoforte. Non per altro l’etimologia della parola “Borsa” deriva dalla famiglia van den Bursen, di Bruges, che sul frontone della casa aveva tre borse scolpite.

 

Nella piazza antistante alla dimora si tenevano le contrattazioni dei commercianti, molti dei quali veneziani, così il luogo del mercato e delle contrattazioni divenne “la Borsa”. Nel contempo si svilupparono anche le arti, con i pittori della corrente dei “Fiamminghi Primitivi” che, unitamente alla pittura italiana, rappresentarono una delle più importanti scuole pittoriche di quell’epoca.. Tanto importante allora la città che perfino Dante la cita nel XV canto dell’Inferno

Quali Fiamminghi tra Guizzante e Bruggia,

temendo ‘l fiotto che ‘nver lor s’avventa,

fanno lo schermo perché ‘l mar si fuggia;

Purtroppo alla fine dello stesso secolo iniziò il lento declino della città. Un poco le vicende politiche e sociali, ma in principal modo l’insabbiamento del canale che collegava la città al mare, costituirono la causa del suo decadimento. Piano piano tutte le attività si spostarono verso le altre città anseatiche, specialmente ad Anversa che iniziò a fiorire. Questo periodo nero durò per circa quattro secoli. Non essendoci più nessuna attività, gli abitanti cercarono semplicemente di sopravvivere, lasciando tutto inalterato, anche per mancanza di denaro; paradossalmente la miseria di allora è diventata la ricchezza odierna di Bruges, in quanto il centro medievale si è conservato inalterato, diventando così patrimonio dell’Unesco.

La rinascita però è merito degli inglesi. Molti di loro si recavano in una sorta di pellegrinaggio per visitare Waterloo dove Napoleone era stato sconfitto e si fermavano a Bruges, dove il costo della vita, data la condizione miseranda della città, era meno cara.

 

Molti di loro decisero così di trasferirsi definitamente a Bruges dove, con la loro piccola pensione, potevano comunque vivere bene. Furono loro a riscoprire e valorizzare le bellezze della città e a far conoscere i primitivi Fiamminghi al mondo dell’arte. Un’altra corrente di turisti fu stimolata dal romanzo “Bruges la morta” di Georges Rodenbach, un romanzo simbolista che oggi sarebbe etichettato come un “noir”, dove viene evidenziato l’aspetto tetro e lugubre della città.

Verso il 1900 re Leopoldo II di Sassonia-Coburgo decise di costruire un porto (Zeebrugge) aprendo contemporaneamente un canale che arrivava fino in città. Sempre in quel periodo Brugge venne gemellata con Norimberga, anch’essa con un centro storico magnificamente conservato, gemellaggio ancora molto attivo ai giorni nostri.

La prima guerra Mondiale non arrecò particolari danni a Bruges, tranne la chiusura dei canali da parte degli inglesi per impedirne l’utilizzo ai sottomarini tedeschi.

Ci fu infine la seconda guerra mondiale e qui si può dire che una santa mano salvò la città per ben due volte. La prima volta fu progettata una linea difensiva lungo il canale che da Zeebrugge arrivava fino in città, per fermare un eventuale sbarco degli alleato lungo la costa. Il comandante tedesco però, vista l’inutilità di una Battaglia per Brugge, convocò il sindaco dicendo che qualora lo sbarco fosse avvenuto i tedeschi si sarebbero ritirati per evitare di finire accerchiati. Naturalmente sapeva che il borgomastro avrebbe avvertito gli americani, che invece si diressero qualche chilometro più a sud della città, risparmiando così quelle antichissime abitazioni. Ancora più eccezionale invece fu il secondo avvenimento. Immo Hopman, il comandante al quale era stato ordinato di distruggere a cannonate la città, si rifiutò di eseguire l’ordine, con la scusante che Bruges non aveva nessuna importanza strategica…e fortunatamente i suoi superiori gli dettero ragione, salvando così la città dalla distruzione.   Così oggi possiamo ammirare questa cittadina dove, almeno entro “l’uovo”,

 

2013_bruges piantinail tempo sembra essersi fermato, passeggiare lungo i suoi canali e riacquistare un’altra dimensione.


Monaco di Baviera

Erano anni che non tornavamo a Monaco. Tra le città tedesche è quella che più assomiglia alle nostre, perché qui in molti parlano italiano a causa di una massiccia immigrazione di nostri connazionali ed anche per il carattere gioviale dei bavaresi.

Il periodo non era dei migliori, in quanto il periodo di Pentecoste, domenica e lunedì, è festivo, come in molte aree di lingua tedesca, ma era l’unico possibile, tra impegni delle settimane precedenti e quelli delle settimane successive. Questa volta, consigliati da un’amica, non abbiamo scelto un hotel, ma un B&B, con un notevole risparmio di denaro che, visti i tempi, non è affatto male.

Siamo partiti con una temperatura, alle otto, di appena 12 gradi, al Brennero ce n’erano solo 7. Non pioveva, ma l’umidità si condensava in minuscole goccioline sul parabrezza mentre la nebbia si alzava dai boschi e dalle campagne, andando a raggiungere le nuvole, davvero molto basse. Un bel contrasto, il grigio del cielo e il verde della vegetazione, molto rigogliosa date le piogge di questi tempi.

Ringraziamo il navigatore che ci ha permesso di attraversare la città senza intoppi.

La pensione è graziosa, in una zona tranquilla, il quartiere periferico di Pasing in una zona residenziale. La stanza confortevole e ampia. A Copenhagen, ad esempio, in albergo sito in zona centrale, avevamo a mala pena lo spazio per muoverci e niente TV. Qui lo spazio non manca e, cosa assai rara nei paesi nordici, la finestra ha le tapparelle, così potrò dormire tranquillamente.

La prima cosa che abbiamo fatto è stata quella di acquistare la Personal Kard valida 3 giorni, che consente di girare su tutti i mezzi pubblici della cerchia urbana. Per due persone magari può sembrare cara, ma sarebbe valida per gruppi fino a 5 persone. E sui mezzi pubblici, a differenza di quelli italiani, nessun controllo, nessun tornello: il tutto è affidato al senso di responsabilità dei cittadini.

Per arrivare nella centrale Marienplatz, con la S-Bahn, ci vogliono 5 minuti a piedi e nemmeno 10 di metropolitana di superficie… Meglio di così!

L’unica cosa contraria è la solita sfortuna che ci perseguita. Appena usciti, pioggia e vento a tutto spiano, un freddo che sembrava di essere a novembre inoltrato invece che nella seconda quindicina di maggio. Comunque siamo attrezzati: giacca impermeabile e scarpe in Goretex, ombrelli e pure berrettino. 

La zona migliore è racchiusa in un Ring che ha per centro la Marienplatz, dove è sito il Neues Rathaus, (municipio nuovo anche se la sua costruzione data a cavallo tra il 1800 ed il 1900), celebre per il suo carrilon che suona puntualmente ogno mezzogiorno. Da là si dipartono le strade principali. 

La Kaufingerstrasse offre molte attrazioni. Per strada prima abbiamo ascoltato un trio che interpretava Mozart. Più avanti quattro giovanotti cantavano a cappella. Nei pressi della Marienplatz, dei cantanti interpretavano il Rigoletto, “Bella figlia dell’amore”.

In piazza invece si esibiva un quartetto russo, con un baritono dalla voce davvero notevole. 

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Di mangiare alla rinomata birreria Hofbraeuhaus (la più antica di Monaco) nemmeno a parlarne,

perché c’era una fila lunghissima di persone che si accalcavano per accedervi e poi ci sarebbe sembrato di mangiare in un’immensa mensa; inoltre detestiamo la confusione,  ma nella Weinstrasse abbiamo trovato un localino davvero delizioso dove, naturalmente, abbiamo mangiato Wuerstel.

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Si fa presto a dire Wuerstel… Le varietà di salsicciotti in Germania sono davvero tante, come i modi di cucinarli. Solitamente vengono bolliti, altre volte cotti al vapore, ma i migliori sono quelli arrostiti (Bratwuerstel). E le qualità variano anche a seconda dell’ora in cui vengono mangiate. Ad esempio i Wuerstel bianchi che vanno rigorosamente accompagnati dai Bretzel e dalla senape dolce unitamente ad un bel boccale di Weizen, si dovrebbero gustare solamente entro mezzogiorno.

Dalla Weinstrasse si diparte la Theatinerstrasse che prende il nome dall’omonima chiesa baroccca fatta costruire in onore di San Gaetano da Erichetta Adelaide di Savoia per ringraziarlo di aver potuto dare un erede al consorte. Tutta la costruzione è opera di maestranze fatte giungere appositamente dall’Italia, in quanto la principessa non riteneva all’altezza gli artigiani locali. Sempre nei pressi della Theatinerstrasse ci sono i cinque cortili (Fuenf Hoefe) ossia la moderna ristrutturazione e copertura di edifici antichi collegati tra di loro, ed ospitanti negozi eleganti e boutiques.

Se si percorre la Maximilianstrasse, sembra di essere in via Montenapoleone, ma molto più in grande: è tutto un susseguirsi di marche italiane, Valentino, Gucci, Armani, Versace, Ferragamo, Ermenegildo Zegna, Loro Piana, Dolce e Gabbana, Tod’s…e via dicendo. Fa un certo effetto veder entrare in questi negozi delle donne arabe, accompagnate dal marito, rigorosamente vestite di nero dalla testa ai piedi, con anche un panno che ricopre il viso: solo gli occhi restano scoperti, un passo solo indietro al burqa.

In molte vetrine si notano manichini vestiti con le maglie rosse del Bayern,

dato che la città si sta preparando per la finale della Coppa dei Campioni che verrà disputata sabato contro il Borussia Dortmund.

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In partenza

La valigia è nuovamente pronta…domattina si parte per Francoforte e questa volta non sappiamo per quanti giorni, il ritorno non dipende da noi ma dagli impegni di lavoro del nostro amico. Purtroppo non più di 7 o 8 gorni, speriamo non siano di meno. Ed al ritorno dovremo prepararci per ripartire per Milano… da parecchio che manchiamo, e ne sento nostalgia.

Duomo di Milano


Linz 13 maggio


È tornato il sole, ma fa molto freddo, almeno per la stagione. Oggi ci siamo recati nella parte opposta al centro, oltre il grande ponte (ponte dei Nibelunghi) che attraversa il Danubio, per nulla blu, specie dopo le piogge torrenziali di ieri.

Una zona residenziale piena di villette e giardini, davvero graziosa e tranquilla. Poi una passeggiata lungo le rive, per tornare  in hotel per un po’ di riposo, prima di uscire nuovamente per la cena. Di domenica molti locali caratteristici erano comunque chiusi, e restavano aperti solo quelli etnici e italiani, ma qualcosa abbiamo comunque trovato, dopo tanti giri.

Fa rabbia dover andare all’estero per poi magari dover cenare in un locale,che ne so, cubano o thailandese o, ancor peggio, italiano. Se devo mangiarmi un piatto di spaghetti, preferisco farlo in Italia, ovvio. Già mi sono rassegnata all’espresso che fanno loro che, per quanto di buona marca, (Lavazza o Illy), è talmente lungo da sembrare una tradotta militare… Comunque qualcosa abbiamo trovato, perché tra l’altro qualche ristorante esponeva la scritta che, essendo anche la festa della mamma, sarebbe rimasto aperto.

La sera, passeggiare è davvero bello, anche se mezzi congelati dal vento. Lampioncini dalla luce fioca che illuminano i palazzi dall’aspetto massiccio, solitamente di quattro piani, ma illeggiadriti da stucchi di una delicata tinta pastello, mentre agli angoli spesso si notano piccole nicchie con statue di Santi, protette da reti contro le “incursioni” dei piccioni.

In un bar, nel pomeriggio, abbiamo seguito l’arrivo del Gran Premio…quanti austriaci tifano Ferrari, proprio non lo immaginavo: forse riconrdano ancora il periodo passato nella Rossa da Nicky Lauda. A me però premeva più sapere della “mia” Juventus, e constatare che abbiamo fatto un campionato senza perdere nessuna partita.

Ci siamo promessi di ritornare: solitamente ad un primo giro “esplorativo” segue quasi sempre un periodo più lungo per approfondire la conoscenza del luogo, perché ad esempio c’è ancora il Lentos Museum da visitare, che assomiglia ad una enorme finestra dalla quale si può ammirare il Danubio.

L’unica cosa che è stata inclemente, in questa breve gita, è stato il tempo…speriamo allora nella prossima volta.


Linz 12 maggio 2012

Piove, da stamattina, com’era nelle previsioni. La temperatura estiva di ieri è calata di circa 20 gradi. Ma siamo ben attrezzati. Giacca impermeabile, ombrello, scarpe MBT (comodissime per le lunghe camminate) di Goretex, il maltempo non ci spaventa. Abbiamo camminato per la città, e resto sempre stupita di come, all’estero, non si trovino muri scarabocchiati e strade insozzate da cartacce, mozziconi e porcherie varie. Anche sui mezzi pubblici non troviamo giornali free-press abbandonati sui sedili o sui pavimenti. C’è quell’educazione civica che da noi è molto carente… Tanto per fare un esempio, ieri sull’Autobrennero, in pieno sorpasso, arriva il “solito” italiano che lampeggiava per chiedere strada (fortunatamente una razza in via di estinzione), mentre in Austria ci hanno lampeggiato per consentirci di immetterci nuovamente in autostrada visto che eravamo rimasti “intrappolati” in una colonna di camion dopo una sosta…

Anche le persone sono molto educate. Nei locali pubblici nessuno che alzi la voce, e spesso, notando che siamo italiani, si sforzano di parlare nella nostra lingua, e replicano con un sorriso se vedono che si risponde loro in tedesco.

Sarebbe stata la giornata da dedicare ad un’escursione in battello sul Danubio, ma il tempo era veramente pessimo. Così ci siamo limitati a scorrazzare per un po’ di tempo sui tram da una parte all’altra della città, fermandoci dove ci sembrava più interessante… Alla fine attraversato il grande ponte sul Danubio (Ponte dei Nibelunghi) siamo approdati al museo dell’elettronica (Ars Elettronica Center): museo molto interessante, con tanti esperimenti da eseguire unitamente a degli assistenti, solo che molte cose non riuscivamo a capirle, in quanto tanti termini erano tecnici, ed il mio tedesco non arriva a quei livelli. L’edificio è molto bello: un cubo di cristallo che alla sera cambia continuamente di colore, con lampi di luce…Ma questo purtroppo non abbiamo potuto vederlo, in quanto, all’imbrunire, eravamo già rientrati in albergo.

All’uscita poi, un piccolo giro turistico di circa mezz’ora su un trenino sinile a quello che usano i bambini, però su ruote, che ha come punto di partenza e di arrivo la Hauptplatz (piazza principale) con la grande Colonna della Trinità, un enorme monumento votivo a ringraziamento per la liberazione dalla peste in stile barocco.

E per finire la giornata, sempre imperando la pioggia, non ci è rim asto altro che passeggiare per la strada principale (la Linzer Landstrasse), ricca di centri commerciali.


Linz, 11 maggio 2012


Dopo esserci recati varie volte a Vienna, questa volta abbiamo deciso di dedicare un paio di giorni a Linz. Avevo già spiegato che saremmo scappati da Bolzano in concomitanza dell’adunata degli Alpini, solo per non restare intrappolati in una città blindata per tre giorni. Viaggiando per questo stato, ci si rende conto di quanto sia vera l’espressione “Austria felix”. Paesini lindi e ordinati, per lo più raccolti intorno alla parrocchiale che li sovrasta con il suo campanile appuntito. Campi verdi dove vedi contadini al lavoro, boschi che danno subito l’impressione di frescura, in lontananza montagne ancora spolverizzate di neve, mucche placide che pascolano, campi di colza di un giallo luminoso.

Arrivare all’albergo è stato facile, seguendo le indicazioni del Garmin (un plauso all’inventore del navigatore satellitare).

Pur essendo nei pressi della stazione, la zona non ha quell’aria equivoca che si respira in altre città .

Tutto è pulito ed ordinato, l’albergo è accogliente, anche se il wireless in stanza non funziona benissimo, almeno questa sera. Un primo giro per il centro, appena arrivati, con una temperatura di 32 gradi, per inquadrare bene Linz, e di primo acchito l’impressione è ottima. Nonostante l’estensione, non c’è molto traffico.

In lontananza si sente della musica… Proprio davanti al Duomo, sul sagrato, c’è un concerto rock. Su un palco 4 ragazze, 3 cantanti ed una violinista, a piedi nudi, eseguono musiche sacre arrangiate con ritmo moderno , accompagnate da chitarre, batteria e pianola elettronica, ed attorniato da altri giovani dai 13/14 anni ai 20 circa. Dai cartelli che portano, vedo che sono gruppi di ragazzi cattolici.

Il duomo è molto bello: in arenaria rosata , ormai ingrigita dal tempo, ha un campanile sorretto da contrafforti e sormontato da una guglia traforata, portoni con edicole di marmo a sesto acuto, puro stile gotico.

Per le strade molti locali caratteristici, ed in uno di questi abbiamo cenato davvero ad un prezzo molto ragionevole, considerando anche le due Hefe da mezzo litro, il dolce (naturalmente la classica Linzertorte)

e due liquori, Varadero per la precisione…


Viaggio in Germania – 3

Martedì 12.10.10

Avevo promesso a mio marito che durante queste giornate non lo avrei trascinato per musei e gallerie varie, ma qui a Stoccarda c’è il nuovissimo museo della Mercedes, inaugurato nel 2006, e ci si arriva comodamente con la U-Bahn.

Das Mercedes-Benz Museum

Nel museo c’è molto da vedere, ma anche molto da camminare. Devo confessare che dopo 3 giorni di scarpinate e scale (sia Stoccarda che Backnang sono su più livelli) ho le gambe a pezzi, peggio che se fossi andata in montagna. Un po’ sarà anche colpa delle MBT con la loro forma a gondola, cui mi debbo ancora abituare, ma i polpacci sono davvero indolenziti… Che non sia invece colpa dell’età?

Il museo è sito in una struttura avveniristica di acciaio e cristallo, di 9 piani, dove è possibile ammirare tutte le auto tra le quali le prime costruite da Daimler e da Benz, costruite dal 1890 in poi. Già nel 1911 la Mercedes stabilì un record raggiungendo sul circuito di Daytona la velocità di 228 km/h. Ma una delle più belle è senza dubbio la cosiddetta “Ala di gabbiano”, una delle più ammirate e fotografate.

Avrei preferito visitare la Kunstgalerie, della quale ho accennato nel precedente post, e non di certo la galleria di arte moderna che, pur fronteggiando lo Schlossgarten, è un cubo di vetro in cima ad una scalinata, che mal si amalgama con i palazzi storici circostanti. Comunque in essa c’è una permanente di Otto Dix, artista piuttosto “incisivo”, che ha creato varie opere piuttosto grottesche sul tema della guerra e dei suoi orrori. (qualcosa di lui avevo visto già a Milano).

Kunstmuseum


viaggio in Germania – 2

Lunedì 11.10.10

Stamattina, dopo la colazione in albergo, partenza per Stoccarda. Le colazioni sono di tipo “continentale”, ossia ti riforniscono oltre che di joghurt, muesli succhi di frutta e dolci, anche di uova, sode o fritte, salumi, formaggi cetrioli e cose simili. Noi ci limitiamo a pane burro e marmellata,in alternativa domani ci sarà la mitica Nutella,  con the per mio marito e caffé (pur se luuuuuungo) per me.

Con la S3 arriviamo in centro a Stoccarda. La giornata è splendida e la dedichiamo alla visita del centro, quasi interamente pedonale. Arriviamo alla Hauptbahnhof (stazione centrale) sul tetto della quale campeggia un enorme stella della Mercedes che gira a seconda del vento.

In un’edicola vedo la testata de “il Giornale”, ma è quello del giorno precedente. Un signore ci informa in italiano che i quotidiani del giorno in lingua italiana arrivano solo dopo le 13. Ci fermiano qualche minuto a chiacchierare con lui: è pugliese, brindisino come Mariuccia, risiede a Stoccarda da 38 anni e, pur avendo nostalgia dell’Italia dove torna ogni anno per le ferie, si è ambientato benissimo qui. Ci informa che c’è una folta comunità italiana, circa 10mila persone, anche se anni prima erano circa 15mila. Gentilmente ci indirizza al Tourist Information che è appena fuori dall’uscita della stazione.

Lo stemma della città è una cavalla nera rampante su uno scudo giallo, (che appare anche sullo scudetto della Porsche), molto simile a quello della Ferrari.


Questo perché il nome della città sembra sia dovuto alla locuzione Stutengarten, ossia giardino della giumenta, in quanto nell’anno 960 il duca Luitolfo (spero di rammentare bene il nome), figlio di Ottone I, istituì un allevamento proprio in questo luogo.

Stoccarda, che subì gravi distruzioni durante la seconda guerra mondiale, è stata ricostruita secondo criteri moderni. Ci sono ampie strade di scorrimento che, a tratti, intersecano le ampie zone pedonali dove ci sono tantissimi luoghi per lo shopping. Non mancano però gli spazi verdi. Uno dei più belli è quello della Schlossplatz (piazza del Castello),

 


un ampio giardino dove ci sono 2 bellissime fontane che fiancheggiano la Jubilaeumssaeule (colonna del giubileo)


 

eretta per il 25 ^ anniversario dell’ascesa al trono di Wilhelm 1^ . Subito dietro il neue Schloss (castello nuovo), la cui entrata è segnalata da due alti pilastri sormontati uno da un leone e l’altro da un cervo. L’intera costruzione, dall’aspetto maestoso, ha il perimetro superiore abbellito da un numero cospicuo di statue. Anche lo Staatstheater e la Kunstsgalerie prospettano su bellissimi e curatissimi giardini. Quest’ultima ha una cupola sulla quale campeggia un enorme cervo dorato.

 

Sempre dal centro della città si vede la sua “periferia”, villette residenziali erette su collinette alberate sulle quali svetta la Fernsehturm (torre della televisione), altro simbolo cittadino costruita nel 1956, alta 217 metri e che accoglie anche un ristorante panoramico a 150 metri. Se ci riuscirà, ci faremo una sosta.

 

Siamo riusciti a pranzare in un altro locale tipico, con arredo davvero caratteristico. Cameriere col Dirndl, gentilissime, che ci hanno fornito delucidazioni su un paio di piatti tipici, naturalmente innaffiati da birra, per la precisione la classica Paulaner dell’Oktoberfest. Abbiamo continuato il giro della città, dove vecchie costruzioni massicce si alternano ad altre avveniristiche in cristallo ed acciaio. Per strada, un anziano suonatore di flicorno, poi un gruppo di 5 musici da strada che eseguivano samba ed altri brani sudamericani e, più avanti ancora, una piccola banda stile “Esercito della salvezza”. Una moltitudine di persone che percorre queste arterie commerciali, sostando nei bar e gelaterie all’aperto, data la bella giornata, ma per strada nemmeno un pezzo di carta o una cicca… Arrivato il tardo pomeriggio ritorno con la metro, brevissima sosta in albergo e poi in paese, dove abbiamo cenato nel medesimo posto della serata precedente.