Per non dimenticare.
Questo bimbo sorridente era un piccolo ebreo di famiglia ungherese abitante a Nyiregyhaza, di soli quattro anni e si chiamava Istvan Reiner.
Nel 1940 fu deportato, unitamente ai suoi familiari nel campo di concentramento di Auschwitz.
Là fu diviso dai parenti. I nazisti lo fotografarono, con la sua espressione allegra, facendogli credere che quanto accadeva fosse tutto un gioco e che presto avrebbe riabbracciato i suoi genitori.
Poco tempo dopo però fu avviato alle camere a gas assieme a molti altri bambini, sorte tremenda che subirono migliaia di piccoli colpevoli solo di essere ebrei.

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Spero che davvero esista l’inferno per certe persone
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27 gennaio 2022 alle 14:02
Dovrebbero soffrire almeno tre volte tanto.
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27 gennaio 2022 alle 19:51
Che poi io mi sarei pure rotta l’anima di questi giorni della memoria, di questo motto “per non dimenticare” e di quell’altro che recita “mai più”, perché vedi che alla fine pochi capiscono il dolore di chi l’ha provato, di chi è stato coinvolto, di atrocità inenarrabili e di chi è rimasto a vivere con quei ricordi e con la consapevolezza del male inconcepibile patito dai propri cari. E poi ci sono i figli e i nipoti della Shoà, quelli di cui la gente pensa che non abbiano vissuto la guerra e in effetti no, non l’hanno vissuta, ma che ne sa la gente di cosa significhi essere cresciuti da genitori che hanno vissuto quella vita e quei traumi! In mezzo a tutto questi i negazionisi, che forse sono addirittura i meno peggio, visto che ritengono che un orrore del genere non possa avere avuto luogo. Peggio di loro quelli che pensano che fu una cosa ben fatta, e si dispiacciono che “zio Adolf” non abbia terminato il lavoro. Io ho sempre suddiviso l’umanità in due grandi categorie, gli esseri umani e gli esseri disumani: i primi non hanno bisogno di ricordare, dei secondi non abbiamo alcun bisogno che restino sulla faccia della terra.
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7 aprile 2022 alle 12:59