La vita è sogno, soltanto sogno, il sogno di un sogno (Edgar Allan Poe)

Archivio per giugno, 2019

Ti invaghisti di un’ombra

Tu vivi sempre nei tuoi atti.
Con la punta delle dita
sfiori il mondo, gli strappi
aurore, trionfi, colori,
allegrie: è la tua musica.
La vita è ciò che tu suoni.

Dai tuoi occhi solamente
emana la luce che guida
i tuoi passi. Cammini
fra ciò che vedi. Soltanto.

E se un dubbio ti fa cenno
a diecimila chilometri,
abbandoni tutto, ti lanci
su prore, su ali,
sei subito lì; con i baci,
coi denti lo laceri:
non è più dubbio.
Tu mai puoi dubitare.

Perché tu hai capovolto
i misteri. E i tuoi enigmi,
ciò che mai potrai capire,
sono le cose più chiare:
la sabbia dove ti stendi,
il battito del tuo orologio
e il tenero corpo rosato
che nel tuo specchio ritrovi
ogni giorno al risveglio,
ed è il tuo. I prodigi
che sono già decifrati.

E mai ti sei sbagliata,
solo una volta, una notte
che t’invaghisti di un’ombra
– l’unica che ti è piaciuta –
Un’ombra pareva.
E volesti abbracciarla.
Ed ero io.

Pedro Salinas

 


Capitana coraggiosa (?!)

Oggi sono particolarmente incavolata, quindi probabilmente mi scapperà qualche parolaccia.
No, non contro lo sbarco dei migranti : sapevo fin dall’inizio che, di riffa o di raffa, sarebbe avvenuto. Lasciamo perdere anche il comportamento aggressivo, tracotante e ai limiti dell’omicidio (*) del capitano Carola Rackete (una vocale in più di racket, quello sporco dle ONG che lucrano sul trasporto dei clandestini), ma sono particolarmente incazzata con i nostri parlamentari che sono saliti a bordo a dar manforte ad una delinquente.
Quando sento graziano del rio (volutamente minuscolo) dire che il comportamento della Rackete è stato dettato dallo stato di necessità e fa l’esempio dell’ambulanza che transita col semaforo rosso, mi imbufalisco.
Primo perché l’ambulanza è autorizzata a passare col rosso, c’è tanto di articolo del codice stradale che lo consente, anzi, tutti si fermano per agevolarne il passaggio. Poi perché il parlamentare ed i suoi compagnucci sono tra quelli che hanno votato contro la legittima difesa, e se non è stato di necessità quello di una persona aggredita in casa sua…
La passerella dei politici che si sono fatti immortalare a bordo della Sea Watch quando non hanno mai fatto altrettanto in occasione delle varie disgrazie che hanno colpito la nostra nazione, è semplicemente riprovevole.
E mi fanno imbufalire quanti hanno fatto una donazione per sostenere le spese legali della capitanA coraggiosa. Non per i migranti (sarebbe stato accettabile) ma per le spese legali di una organizzazione semplicemente criminale.
(*)Torniamo a Carola.

È palese il fatto di voler destabilizzare un governo democraticamente eletto, strumentalizzando le 42 persone rimaste a bordo del natante. Inutile dichiarare di voler salvare delle vite quando poi sperona una motovedetta della Guardia di Finanza mettendo a repentaglio l’incolumità degli occupanti, che non potevano spararle addosso, anche senza colpirla, in quanto gli agenti ne avrebbero subito le conseguenze e avrebbero fatto della signorina una martire. Una martire che si vergogna della sua stirpe “ariana” (bianca, ricca e tedesca), forse perché il papino sembra che traffichi in armi e lei si vuole lavare la coscienza. Ed una scorsa su vari quotidiani nazionali rivela quanto la sinistra sia preoccupata, quella sinistra che ha sempre tutelato cause indifendibili, tipo i “compagni che sbagliano” o i Carlo Giuliani che cercano di ammazzare un carabiniere lanciandogli contro un estintore. Probabilmente sarà preoccupato anche un certo PM di Agrigento, sempre pronto ad accusare Salvini di ogni nefandezza, ma lo speronamento di una motovedetta non si può certamente ignorare, anche se le preoccupazioni maggiori sono nei confronti della sorte della Capitana coraggiosa.

La quale Capitana invece dovrebbe preoccuparsi dei clandestini che il suo paese, la Germania, ci rimanda indietro legati come salamelle e seminarcotizzati per tenerli calmi. Se proprio vuole aiutare gli africani, faccia come i missionari, e si rechi sul posto ad aiutare chi veramente muore di fame: quei poveracci però non li vedremo MAI su una nave ONG, solo perché non sono REDDITIZI. E la colpa di quanto sta accadendo è tutta di una sinistra che prima ha depenalizzato il reato di clandestinità, poi ha barattato la flessibilità dei nostri conti (sfociata nel bonus di 80 euro) con l’OBBLIGO di accogliere sul nostro suolo quanti volessero approdare da noi, non importa come ed in quale modo, anzi andandoli pure a recuperare con i nostri stessi mezzi navali, trasformando l’Italia in una enorme area di parcheggio per gli illegali.

A rigirare il coltello nella piaga, notiamo anche come i 42 sbarcati siano i soliti giovanottoni palestrati: dopo tanto tempo trascorso nei lager libici (?) e dopo 2 settimane di zigzag in mare, mi aspettavo di vederli smunti, denutriti, barcollanti, invece sono scesi baldanzosi sulle proprie gambe, alcuni con il taglio di capelli alla moda, un paio di donne piuttosto in carne con le treccine ornate di perline multicolori, Certo è che in Libia si deve stare davvero male! Tanto per dire, quelli messi peggio erano Del Rio ed Orfini, magri da fare pietà.

E pure i nostri massmedia provocano disgusto: nell’ultimo “Fatti e Misfatti” il buon Paolo Liguori (quello che da del TE a tutti ), ci ha propinato mezz’ora di dotte disquisizioni sul termine “sbruffoncella” usato da Salvini nei confronti della Rackete. Secondo Luguori costei sarebbe una persona capace, altrimenti non si spiegherebbe il fatto che in così giovane età sia stata messa al comando di una nave, dopo essere stata su un rompighiaccio ed aver compiuto altre “imprese” similari. Beh, sbruffoncella non so se sia il termine adatto, ma non mi interessa più di tanto: per me resta solo una delinquente che ha violato scientemente un sacco di norme per scopi non certamente umanitari come vuol far credere. Ed in tutto questo baillamme, è singolare “ascoltare il silenzio” sia di Mattarella che dei ministri Moavero e Trenta. Aspetto solo il comportamento della Magistratura, già scesa di molto per credibilità dopo i recenti scandali del CSM, nei confronti di una “mercenaria” tedesca su una nave pirata olandese.


Mille strade

Hai gettato un’ombra bella e dura
sui miei giorni inquieti. Intorno a essa

la luce è si fatta incredibilmente forte.
Mille strade d’un tratto sono andate verso il mare.

Henrik Norbrandt

Dipinto di Albin Veselka

 


Bellezza

Ti do me stessa,
il sole vergine dei miei mattini
su favolose rive
tra superstiti colonne
e ulivi e spighe.

Ti do me stessa,
i meriggi
sul ciglio delle cascate,
i tramonti
ai piedi delle statue, sulle colline,
fra tronchi di cipressi animati
di nidi –

E tu accogli la mia meraviglia
di creatura,
il mio tremito di stelo
vivo nel cerchio
degli orizzonti,
piegato al vento
limpido – della bellezza:
e tu lascia ch’io guardi questi occhi
che Dio ti ha dati,
così densi di cielo –
profondi come secoli di luce
inabissati al di là
delle vette –

Antonia Pozzi 4 dicembre 1934

Illustrazione di William Turner


Ascoltami

Ascoltami come chi ascolta piovere,
né attenta né distratta,
passi lievi, pioviggine,
acqua che è aria, aria che è tempo,
il giorno non finisce di andarsene,
la notte tuttavia non arriva;
figure della nebbia
voltano l’angolo,
figure del tempo
nell’ansa di questa pausa.
Ascoltami come chi ascolta piovere,
senza ascoltarmi, ascoltando quel che dico
con gli occhi aperti verso dentro,
addormentata e vigili i cinque sensi;
piove, passi lievi, rumori di sillabe,
aria e acqua, parole che non pesano:
quel che fummo e siamo,
i giorni e gli anni, questo istante,
tempo senza peso, pesantezza enorme.
Ascoltami come chi ascolta piovere,
riluce l’umido asfalto,
il vapore si alza e cammina,
la notte si apre e mi guarda,
sei tu e la tua forma di vapore,
tu e il tuo volto di notte,
tu e i tuoi capelli, lampi lenti,
traversi la strada ed entri nella mia fronte,
passi d’acqua sopra le mie palpebre,
ascoltami come chi ascolta piovere,
l’asfalto riluce, tu traversi la strada,
è la nebbia errante della notte,
è la notte addormentata nel tuo letto,
è l’onda del tuo respiro,
le tue dita d’acqua bagnano la mia fronte,
le tue dita di fiamma bruciano i miei occhi,
le tue dita d’aria aprono le palpebre del tempo,
sorgere di apparizioni e resurrezioni,
ascoltami come chi ascolta piovere,
passano gli anni, tornano gli istanti,
ascolti i tuoi passi nella stanza vicina?
non qui né lì: li ascolti
in un altro tempo che è proprio ora,
ascolta i passi del tempo
inventore di spazi senza peso né luogo,
ascolta la pioggia scorrere per la terrazza,
la notte è ormai più notte fra gli alberi,
fra le foglie si è annidato il fulmine,
vago giardino alla deriva:
– entra, la tua ombra copre questa pagina.”

Octavio Paz– Ascoltami, da El fuego de cada dìa, 1992


Libertà

A ridere c’è il rischio di apparire sciocchi;
a piangere c’è il rischio di essere chiamati sentimentali;
a stabilire un contatto con un altro c’è il rischio di farsi coinvolgere;
a mostrare i propri sentimenti c’è il rischio di mostrare il vostro vero io;
a esporre le vostre idee e i vostri sogni c’è il rischio d’essere chiamati ingenui;
Ad amare c’è il rischio di non essere corrisposti;
a vivere c’è il rischio di morire;
a sperare c’è il rischio della disperazione e
a tentare c’è il rischio del fallimento.
Ma bisogna correre i rischi, perché il rischio più grande nella vita è quello di non rischiare nulla.
La persona che non rischia nulla, non è nulla e non diviene nulla. Può evitare la sofferenza e l’angoscia, ma non può imparare a sentire e cambiare e progredire e amare e vivere. Incatenata alle sue certezze, è schiava.
Ha rinunciato alla libertà.
Solo la persona che rischia è veramente libera.

(Leo Buscaglia)


Ti amo

Ti amo come se mangiassi il pane
spruzzandolo di sale
come se alzandomi la notte bruciante di febbre
bevessi l’acqua con le labbra sul rubinetto
ti amo come guardo il pesante sacco della posta
non so che cosa contenga e da chi pieno di gioia
pieno di sospetto agitato
ti amo come se sorvolassi il mare per la prima volta in aereo
ti amo come qualche cosa che si muove in me quando il
crepuscolo scende su Istanbul poco a poco
ti amo come se dicessi Dio sia lodato son vivo.

(Nazim Hikmet)


Notte di san Giovanni

Notte tra il 23 ed il 24 giugno, la notte di san Giovanni, patrono di Firenze, che lo solennizza con i “fochi”; la notte in cui il Sole si ferma per sposare la Luna. Una notte ricca di magia, che molti celebrano in vari modi.

Qui in Alto Adige ad esempio è dedicata al Sacro Cuore, cui è affidato il Tirolo sin dal 1796, poco prima della battaglia del monte Isel, e si festeggia accendendo sulle montagne degli enormi falò. Sembra che quella dei falò, usanza tipica di tutta l’Europa, sia una tradizione derivata dai Fenici che accendevano i fuochi in onore del dio Moloch. Unitamente al fuoco, vengono celebrate anche le virtù dell’acqua purificatrice, cui si aggiungono le proprietà delle erbe che devono essere raccolte umide di rugiada ed immerse nell’acqua al chiaro di luna.

La più importante, non per altro chiamata anche “erba di San Giovanni”, è l’iperico, utile per le sue proprietà cicatrizzanti, ma anche perché assicurerebbe dei sonni sereni; l’artemisia, cui vengono attribuite proprietà anticancro e che protegge dal malocchio e dai fulmini; la ruta che ha la caratteristica di allontanare demoni e streghe e protegge contro lo stress e l’ansia, è tonificante per le arterie e vasi capillari e riduce l’infiammazione dell’artrite; il rosmarino che contrasta la calvizie e difende anche lui dalle streghe; la verbena che cura varie malattie assicurando pace e prosperità; la salvia, che salvaguardia dalle creature malvagie e cura i dolori di pancia; la menta, contro l’influenza; la vinca usata per i talismani e la mandragora per i filtri d’amore; il ribes, antinfiammatorio; la lavanda, contro il mal di testa, la tosse, l’insonnia e per tenere lontani gli insetti; l’erba carlina, cicatrizzante e diuretica, anch’essa tiene lontane le streghe. Il più potente di tutti però è l’aglio, dalle numerosissime proprietà.

Tutte queste erbe, o gran parte di esse, dovranno essere adagiate in una bacinella colma di acqua e lasciate a bagno tutta la notte al chiaro di luna: il mattino seguente ci si dovrà lavare con l’acqua di san Giovanni e di diventerà più belli 🙂 .

C’è poi la leggenda della felce: se si riesce a raccogliere un fiore di felce nato in quella notte – e che dura solo un attimo – dopo aver lottato contro il demonio, si acquisirà saggezza, forza e la capacità di poter leggere il passato e prevedere il futuro.

Legato alla notte di san Giovanni è anche la preparazione del nocino: sempre durante questa notte bisognerà raccogliere 19 noci ancora verdi, o altro numero, basta che sia dispari, senza curarsi del vento che le streghe provocheranno per evitare che i frutti vengano raccolti, poi giunti a casa si taglieranno le noci in quattro parti, provvedendo poi alla preparazione del liquore che dovrà essere pronto solo per la notte di Natale.

Tra storia, leggenda, magia e cucina…tante piccole curiosità.

(dipinto di John William Waterhouse)


Passato

Quando ripensa a quegli anni lontani è come se li guardasse attraverso un vetro impolverato: il passato è qualcosa che può vedere, ma non può toccare; e tutto ciò che vede è sfocato, indistinto.

In the mood for love

Wong Kar-wai


Il fumo

La piccola casa sotto gli alberi sul lago.

Dal tetto sale il fumo.

Se mancasse

Quanto sarebbero desolati

La casa, gli alberi, il lago!

Bertolt Brecht


Il rospo

Era un tramonto dopo il temporale.
C’era a ponente un cumulo di cirri
color di rosa. Presso la rotaia
d’un’erbosa viottola, sull’orlo
d’una pozza, era un rospo. Egli guardava
il cielo intenerito dalla pioggia;
e le foglie degli alberi bagnate
parean tinte di porpora, e le pozze
annugolate come madreperla.
Nel dì che si velava, anche il fringuello
velava il canto, e, dopo il bombar lungo
del giorno nero, pace era nel cielo
e nella terra.
Un uomo che passava
vide la schifa bestia; e con un forte
brivido la calcò col suo calcagno…
Venne una donna con un fiore al busto,
ed in un occhio le cacciò l’ombrella…
Quattro ragazzi vennero sereni,
allegri, biondi: ognuno avea sua madre,
a scuola andava ognuno. – Ah! la bestiaccia! –
dissero. Il rospo andava saltelloni
per la scabra viottola cercando
la notte e l’ombra. Ed ecco i quattro bimbi
con una brocca a pungerlo, a picchiarlo,
a straziarlo. Sotto i colpi il rospo
schiumava, e i bimbi: – Come è mai cattivo! –
L’occhio strappato ed una zampa cionca,
cincischiato, slogato, insanguinato,
non era morto; e gli voleano i bimbi
gettare un laccio, ma scivolò via
arrancando. Incontrò la carreggiata,
vi si annicchiò fra l’erba verde e il fango.
Ed i fanciulli in estasi e in furore
s’erano certo divertiti un mondo.
– Guarda, Pietro! Di’, Carlo! Ugo, dà retta!
Prendiamo, per finirlo, ora un pietrone.
E, rossi in viso, empivano di strilli
la dolce sera. Intanto uno rinvenne
con una grossa lastra: – Ecco trovato! –
A stento la reggea con le due mani
piccole, e s’aiutava coi ginocchi.
– Ecco! – E ristette sopra il rospo, e gli altri
a bocca aperta, senza batter ciglio,
stavano intorno con la gioia in cuore.
E quello alzò la lastra. Uno… due…
Quando
videro un carro che venia tirato,
là, da un asino vecchio, zoppo, stanco,
con gli ossi fuori e con la pelle rotta.
Il barroccio veniva cigolando
nei solchi delle ruote, trascinato
dalla povera bestia. Essa il barroccio
tirava, e avea due cestoni indosso.
La stalla, dopo un giorno di fatica,
era ancor lungi; il barrocciaio urlava,
e segnava ciascun: – arrì – d’un colpo.
Il solco delle rote era profondo,
pieno di melma, e così stretto e duro
ch’ogni giro di rota era uno strappo.
L’asino s’avanzava, rantolando
tra una nuvola d’urla e di percosse.
La strada era in pendio: tutto il gran carro
pesava sopra il ciuco e lo spingeva.
Ed i fanciulli videro, e, gridando
al lor compagno: – Fermo con la pietra! –
dissero: – il carro passerà sul rospo;
c’è più gusto così.-
Dunque, in attesa,
sgranavano gli allegri occhi i fanciulli.
Ecco, scendendo per la carreggiata,
dove il mostro attendea d’esser infranto,
l’asino vide il rospo: e triste, curvo
sopra un più tristo, stracco, rotto, morto,
sembrò fiutarlo con la testa bassa.
Il forzato, il dannato, il torturato,
oh! fece grazia! Le sue forze spente
raccolse, e irrigidendo aspre le corde
sugli spellati muscoli, ed alzando
il grave basto, e resistendo ai colpi
del barrocciaio, trasse con un secco
scricchiolio, fuori, e deviò la ruota,
lasciando vivo dietro lui quel gramo.
Poi riprese la via sotto il randello.
Allor nel cielo azzurro, dove un astro
già pullulava, intesero i fanciulli
Uno che disse: – Siate buoni, o figli. –

Victor Hugo

Traduzione di G. Pascoli 


Gino

“Il Gino” se ne è andato, ci ha lasciato a soli 63 anni.

Per noi bolzanini, quelli cresciuti a ghiaccio ed hockey, Gino era ormai una leggenda tanto che la sua maglia, la mitica 33, era stata ritirata nel febbraio scorso, come si fa con i veri campioni, e lui lo era, nello sport e nella vita.

Ciao, Gino, tanti bei campi ghiacciati per te, tanti puck da indirizzare in rete, come ci avevi abituato.

      Bolzano la nostra fede,

      Gino la nostra bandiera

 

(Fotografie da Alto Adige e da Center Ice Collection)


Senza titolo

Uno estraneo mi guarda,
uno estraneo mi parla,
sorrido ad uno estraneo,
parlo ad uno estraneo,
un estraneo m’ascolta,
davanti
alle sue pene
pulite e bianche
piango,
sulla solitudine che unisce
gli stranieri.

Maram al Masri

(Illustrazioner Edvard Munch)


Franco Zeffirelli

Franco Zeffirelli era un grande, non valorizzato quanto meritasse in Italia per via della sua dichiarata propensione per una parte politica avversa a quella che, in quegli anni, deteneva il monopolio della cultura. Lo hanno apprezzato maggiormente all’estero ottenendo, unico italiano, la nomina a Sir (baronetto) di Inghilterra per aver divulgato nel mondo intero le opere di William Shakespeare, ed ottenendo ben 14 nomination agli Oscar, di cui ben due per la regia. Indimenticabili infatti le sue due pellicole dedicate a “Romeo e Giulietta”, dove per la prima volta vennero utilizzati attori poco più che adolescenti come in effetti erano i due innamorati veronesi, e alla “Bisbetica domata”, con una sorprendente prova dei coniugi Burton – Taylor che, essendo perennemente in lite, erano quindi molto idonei ad interpretare Petruccio e Caterina.
Molto credente, ci ha lasciato anche il “Gesù di Nazareth”, che ora tutti conoscono come il “Gesù di Zeffirelli”, per distinguerlo da pellicole affini, e la bellissima biografia di san Francesco e santa Chiara (Fratello Sole, sorella Luna), ma è anche ricordato per le sue numerose regie teatrali ed operistiche, e per questo strinse una solida amicizia con Maria Callas. L’ultima sua opera, l’allestimento della “Traviata” sarà rappresentata a Verona tra pochi giorni, il 21 giugno prossimo, aprendo la stagione operistica dell’Arena.

Dichiaratamente omosessuale, deprecava però le manifestazioni del Gaypride, in quanto sosteneva che la sessualità andasse vissuta senza ostentazioni ed esternazioni volgari.

Un amante del bello, in tutte le sue forme, come si vedeva anche nelle scenografie, nelle “location”, nei costumi dei suoi film, tutti ricostruiti con un’attenzione maniacale e rigorosa.

Amava tantissimo la sua Firenze, ma non ne era abbastanza ricambiato, e giunse perfino a rifiutare il “Fiorino d’oro”, quel riconoscimento da sempre tributato da Firenze ai suoi concittadini più illustri, ma che era sempre stato negato ad Oriana Fallaci. L’allora sindaco di Firenze, Matteo Renzi, conservò però il Fiorino, e lo consegnò al regista quando questi regalò alla città un considerevole archivio consistente in 10 mila volumi e 4000 foto di scena, in aggiunta a numerosissimi bozzetti relativi alle pellicole ed alle rappresentazioni teatrali.

” Quando sento che mi prende la depressione, torno a Firenze a guardare la cupola del Brunelleschi…Se il genio dell’uomo è arrivato a tanto, allora anche io posso e devo provare a creare, agire, vivere “.


Tavoletta Petelia

Tu troverai sulla sinistra della casa di Ade una sorgente in un pozzo

ed al suo fianco un bianco cipresso.

Non avvicinarti a questa sorgente.

Ma tu ne troverai un’altra vicino al Lago della Memoria,

acqua fredda che sgorga e davanti vi sono guardiani.

Di’: “Io sono un figlio della terra e del cielo stellato; ma la mia razza e’ il Cielo soltanto.

Questo lo sapete da voi.

E, mirate, io sono arso dalla sete e perisco.

Datemi presto l’acqua fredda che sgorga dal Lago della Memoria”.

E da se stessi essi ti daranno da bere dalla sacra fonte e da allora tu avrai signoria fra gli altri eroi…

(Illustrazione Teodoro Wolf Ferrari)

 


Senza nessuna ragione

Senza nessuna ragione qualcosa si rompe in me
e mi chiude la gola.
Senza nessuna ragione sobbalzo ad un tratto
lasciando a mezzo lo scritto.
Senza nessuna ragione, nella hall di un albergo,
sogno in piedi;
senza nessuna ragione l’albero sul marciapiede
mi batte in fronte.

Senza nessuna ragione un lupo urla alla luna
iroso infelice affamato.
Senza nessuna ragione le stelle scendono a dondolarsi
sull’altalena del giardino;
senza nessuna ragione vedo come sarò nella tomba.
Senza nessuna ragione nebbia e sole nella mia testa,
senza nessuna ragione mi attacco al giorno che inizia
come se non dovesse finire mai più:
e ogni volta sei tu,
che sali dalle acque.

Nazim Hikmet


Anche questa mattina

Berlino 1961

Anche questa mattina mi sono svegliato
e il muro la coperta i vetri la plastica il legno
si son buttati addosso a me alla rinfusa
e la luce d’argento annerito della lampada

mi si è buttato addosso anche un biglietto di tram
e il giallo della parete e tre righe di scritto
e la camera d’albergo e questo paese nemico
e la metà del sogno caduta da questo lato s’è spenta

mi si è buttata addosso la fronte bianca del tempo
e i ricordi più vecchi e la tua assenza nel letto
e la nostra separazione e quello che siamo
mi sono svegliato anche questa mattina
e ti amo.

Nazim Hikmet

Dipinto di Vincent van Gogh


Notte

Sei la finestra a volte verso cui indirizzo parole di notte, quando mi splende il cuore.

(Alda Merini)

 


Desiderio

M’infiamma il desiderio
e brillano i miei occhi.
Sistemo la morale nel primo cassetto che trovo,
mi muto in demonio,
e bendo gli occhi dei miei angeli
per
un bacio.

Maram – al Masri 

 Ciliegia rossa su piastrelle bianche


Il giardino

Mille anni e poi mille

Non possono bastare

Per dire

La microeternita’

Di quando m’hai baciato

Di quando t’ho baciata

Un mattino nella luce dell’inverno

Al Parc Montsouris a Parigi

A Parigi

Sulla terra

Sulla terra che è un astro.

Jacques Prévert


Felicità

La felicità è come una farfalla: se l’insegui non riesci mai a prenderla, ma se ti metti tranquillo può anche posarsi su di te.

Nathaniel Hawthorne


Estate

L’estate era venuta di colpo;

con un paio di giornate calde aveva trasformato il mondo,

resi più profondi i boschi,

più maliose le notti.

Herman Hesse


Mi basta una candela

Mi basta una candela. Il mio lume gracile
Meglio propizia, con più pietà, l’incontro
Coi fantasmi, che tornano, d’amore

Mi basta una candela. Mia camera, stasera
Rimani semibuia. Mi voglio perdere
nell’Indeterminato e nella Suggestione,
E in quest’alito minimo di luce
Attirare visioni
Di fantasmi, che tornano, d’amore.

Costantinos Kavafis 

 

 


Occhi

Il problema è avere occhi

e non saper vedere,

non guardare le cose che accadono,

nemmeno l’ordito minimo della realtà.

Occhi chiusi.

Occhi che non vedono più.

Che non sono più curiosi.

Che non si aspettano

che accada più niente.

Forse perché non credono

che la bellezza esista.

Ma sul deserto delle nostre strade

Lei passa,

rompendo il finito limite

e riempiendo i nostri occhi

di infinito desiderio.

Patrizio Barbaro, (erroneamente attribuita a Pier Paolo Pasolini)