Cinquant’anni son passati…
Una ricorrenza importante, quella del ’68 che, nel bene e nel male, ha segnato tutti gli anni seguenti.
Fantasia al potere….Vietato vietare… Gli slogan assurdi di allora, senza costrutto. Il punto di riferimento erano le teorie di Herbert Marcuse, contro l’autoritarismo e con il rifiuto della tecnologia e della repressione, ma più che altro dai giovani di allora fu recepita la sua teoria di “liberazione dell’eros”.
Qualcosa di buono il ’68 ha lasciato: una rivoluzione “pacifica”, dove abbondavano i colori, la musica, lo stravolgimento di un certo modo di comportarsi, molto “ingessato”, e soprattutto maggior libertà.
Ma quest’ultima, se da un lato è positiva, dall’altro ha stravolto tutto. Maggior libertà per cosa? Se la libertà non è accompagnata dalla responsabilità – personale e verso gli altri – è solamente il primo passo verso l’anarchia.
Ed infatti in anarchia si è trasformata: senza la guida degli adulti, che fino allora li avevano accompagnati e guidati nei loro percorsi, i giovani si sono sbandati: spinelli, LSD, droghe mano a mano sempre più pesanti, una esagerata promiscuità sessuale, la contestazione di tutto ciò che era visto come convenzionale e “borghese”. Il rifiuto di qualsiasi autorità, con il risultato di snobbare lo studio pretendendo comunque di essere promossi.
In poche parole, il caos.
Il “maggio francese” stravolse il motto “Liberté, fraternité, egalité”.
Libertà divenne appunto anarchia, fraternità in un senso di solidarietà più illusorio che altro, l’uguaglianza tese verso il basso, anziché cercare di elevare chi in basso già c’era.
Solo che anche i giovani di allora invecchiano, e con l’età la maggior parte di loro si è trasformata nei borghesi tanto aborriti, occupando posti nelle banche, negli enti pubblici, in politica, ma in loro è rimasta l’arroganza del “so tutto io” che imperava allora.
Ed anche i meno fortunati che non hanno avuto accesso a carriere importanti, cosa hanno lasciato in dote ai loro figli? Madri e padri spesso gareggiano in giovanilismo con i propri figli, sia nel comportamento che a livello estetico. I genitori non sono più tali, ma “amici”, mancano di autorità e non sono più di esempio. I figli ovviamente ne approfittano, non osservando più orari e rifiutando eventuali consigli e/o rimproveri. E forse ciò è anche la conseguenza di tanti atti di violenza che si osservano al giorno d’oggi nelle scuole, dove i docenti non vengono più rispettati.
E siamo solo all’inizio…
La visita
Abbiam tirato a sorte coi fiammiferi, chi ci doveva andare.
E’ toccato a me. Mi alzai dal tavolino,
Si avvicinava l’ora di visita in ospedale.
Non ha risposto nulla al mio saluto.
L’ho preso per la mano – l’ha ritratta
Come un cane affamato, che non vuole mollare l’osso.
Sembrava, che quasi si vergognasse di morire.
Non so, cosa si dice a uno come lui.
Ci alternavamo sguardi come un fotomontaggio.
Non mi ha chiesto di restare, né di andarmene.
Non ha chiesto di nessuno del nostro tavolino.
Né di te, Beppe, né di te, Titti, né di te, Lello.
Mi è venuto mal di testa. Chi a chi muore?
Lodavo la medicina e tre violette nel bicchiere.
Raccontavo del sole e mi spegnevo.
Che bello, che ci sono le scale, per correre giù.
Che bello, che c’è il portone, che si apre.
Che bello, che mi aspettate qui al tavolino.
L’odore dell’ospedale mi fa proprio svenire.
Wislawa Szymborska, 1967
da “Sto pociech” (Cento consolazioni)
(traduzione di Alessandra Czeczott)
Cosa ne pensate?