Persone
Ci sono giorni nei quali ogni persona che incontro e, ancor di più, le persone abituali della mia convivenza obbligata e quotidiana, assumono aspetti di simboli e, isolati o fra loro connessi, formano un alfabeto profetico od occulto che descrive in ombre la mia vita.
L’ufficio diventa per me una pagina con parole fatte di gente; la strada è un libro; le parole scambiate con i conoscenti o gli sconosciuti che incontro sono espressioni per le quali viene meno il dizionario ma non completamente la comprensione.
Parlano, si esprimono; eppure non parlano di se stesse e non esprimono se stesse; sono parole, ho detto, e non indicano, lasciano solo intendere.
Ma, nella mia visione crepuscolare, distinguo solo vagamente quanto queste vetrate, che si rivelano sulla superficie delle cose, lasciano trasparire dalla loro interiorità che custodiscono e rivelano.
Intendo senza arrivare alla coscienza, come un cieco al quale si parli di colori.
A volte, passando per la strada, colgo brani di conversazioni intime, e si tratta quasi sempre di conversazioni sull’altra donna, sull’altro uomo, sul ragazzo di uno o sull’amante dell’altro …
Per il solo fatto di sentire queste ombre di discorso umano, che poi in fondo è tutto ciò di cui si occupa la maggioranza delle vite coscienti, porto dentro di me un tedio disgustato, l’angoscia di un esilio tra ragni e l’immediata consapevolezza della mia umiliazione fra gente reale; la condanna, nei confronti del proprietario e del luogo, di essere simile agli altri inquilini dell’agglomerato; di stare a spiare con disgusto, fra le sbarre del retrobottega, l’immondizia altrui che si ammucchia sotto la pioggia in quel cortile interno che è la mia vita.
Fernando Pessoa, Il libro dell’inquietudine
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