Evgenij Aleksandrovič Evtušenko
Non posso non ricordare Evgenij Evtushenko.
Un brevissimo accenno alle questioni politiche: fu fautore del dissenso, ma anche utilizzato dal PCUS a fini propagandistici, il che gli procurava non pochi vantaggi, tanto da essere etichettato come “poeta ufficiale di tutti i disgeli fittizi” da Vladimir Bukovsky, mentre la vedova di Osip Ėmil’evič Mandel’štam non ebbe parole tenere per lui, denunciandone l’arrendevolezza nei confronti dei poteri forti, mentre suo marito era invece morto nei campi di prigionia staliniani.
È indubbio però che scrisse versi molto belli.
Ricordo tra le sue poesie la celebre “La terza neve”, studiata verso per verso unitamente a mio figlio quando frequentava ancora le elementari.
Qui sotto, una di quelle che maggiormente mi piacciono, che denuncia lo sbigottimento del popolo russo per la rapidità dei cambiamenti che causarono la frantumazione dell’impero in varie parti, che portò a separazioni dolorose ed a questioni ancor oggi irrisolte.
E la delusione nel vedere la trasformazione da uno sperato socialismo dal volto umano in un capitalismo a volte sfrenato lo spinse, nel 1991, ad emigrare negli Stati Uniti (per quanto sembri una contraddizione), dove si è spento ieri.
Arrivederci, bandiera rossa – dal Cremlino scivolata giù
Non come ti innalzasti, agile, lacera, fiera,
sotto il nostro esecrare sul fumante Reichstag,
sebbene pure allora intorno all’asta, truffa si attuasse.
Arrivederci bandiera rossa… Eri metà sorella, metà nemica.
Eri in trincea speranza unanime d’Europa,
ma tu di rosso schermo recingevi il Gulag
e sciagurati tanti in tuta da carcerati.
Arrivederci, bandiera rossa. Riposa tu, distenditi.
E noi ricorderemo quelli che dalle tombe più non si leveranno.
Gl’ingannati hai condotto al massacro, alla strage.
Ricorderanno anche te – ingannata tu stessa.
Arrivederci bandiera rossa. Non ci portarsti bene.
Grondavi di sangue e te noi col sangue togliamo.
Ecco perché adesso lacrime non ci sono da detergere,
così brutalmente sferzasti, con le nappe scarlatte, le pupille.
Arrivederci, bandiera rossa… Il primo passo verso la libertà
lo compimmo d’impulso sulla nostra bandiera
A su noi stessi, nella lotta inaspriti.
Che non si calpesti di nuovo «l’occhialuto» Zivago.
Arrivederci, bandiera rossa… Da te disserra il pugno,
che ti serra di nuovo, ancora minacciando fratricidio,
quando all’asta si afferra la marmaglia
o la gente affamata, confusa dalla retorica.
Arrivederci bandiera rossa… Tu fluttui nei sogni,
rimasta una striscia nel russo tricolore.
Nelle mani dell’azzurrità e del biancore
Forse il colore rosso dal sangue sarà liberato.
Arrivederci, bandiera rossa… guarda, nostro tricolore,
che i bari di bandiere non barino con te!
Possibile anche per te lo stesso giudizio:
pallottole proprie ed altri ne hanno la seta divorato?
Arrivederci, bandiera rossa… Sin dalla nostra infanzia
Noi giocavamo ai «rossi» e i «bianchi» battevamo forte.
Noi, nati nel paese che più non c’è,
ma in quell’Atlantide noi eravamo, noi amavamo.
Giace la nostra bandiera al gran bazar d’Ismajlovo.
La «smerciano» per dollari, alla meglio.
Non ho preso il Palazzo d’inverno. Non ho assaltato il Reichstag.
Non sono un «Kommunjak». Ma guardo la bandiera e piango.
Cosa ne pensate?