Fiori

A man with business suite holding roses proposing.
Ci sono uomini che non ci pensano mai.
Ma tu sì.
Tu arrivavi
E mi dicevi che avresti voluto comprarmi dei fiori
Ma poi qualcosa era andato storto.
Il negozio era chiuso.
O avevi dei dubbi.
Quel genere di dubbi che si affacciano alla testa di gente come noi.
O avevi pensato
Che io non volessi i tuoi fiori.
Io a quel punto sorridevo.
E ti abbracciavo.
Sorrido ancora adesso.
Perché vedi, quei fiori che non mi hai mai portato
Durano ancora.
Wendy Cope
Fine della storia…
Fabo se ne è andato…lo voglio ricordare con un sorriso, perché era quello che desiderava.
Certi cattolici sono più realisti del re.
Con la loro fissazione della vita a tutti i costi, non si accorgono delle sofferenze che provocano alla gente.
Potrei capire nel caso dell’aborto (ma vorrei anche sapere quante “pie donne” l’abbiano praticato e si ergano poi a moraliste e quanti obiettori di facciata lo procurino invece di nascosto, magari in cliniche private), ma nel caso dell’eutanasia il problema non dovrebbe proprio porsi, perché ciascuno dovrebbe essere padrone della propria vita. Tu non vuoi l’eutanasia? Non praticarla, ma non imporre il tuo volere agli altri.
Ed a quanti in questi giorni stanno dibattendo su questo tema, criticando chi si reca in Svizzera o in Olanda per assicurarsi un trapasso indolore per porre fine alle sofferenze, dico solo: provate a bendarvi strettamente gli occhi, tanto da rendervi ciechi come Fabo, provate a stendervi su un letto, incapaci di muovere anche solo un muscolo, dipendendo dagli altri in tutto e per tutto. Quanto tempo pensate di poter resistere? Se solo riuscite a farlo per almeno un mese, allora avrete forse il diritto di parlare contro l’eutanasia, ma solo a titolo personale.
Pensate anche a quel povero giovane che avrebbe dovuto essere costretto a “vivere” (?) in quelle condizioni: un ergastolo perenne, senza nemmeno i permessi premio…
Ovvio che in una materia tanto delicata ci debba essere una regolamentazione.
Innanzitutto la volontà espressa della persona maggiorenne, e non una “libera interpretazione” come nel caso di Eluana Englaro, e che per la decisione presa dal padre fu fatta morire orribilmente, negandole cibo ed acqua e che quindi non può essere considerata vittima dell’eutanasia che, per definizione, significa “dolce morte”.
Questo potrebbe risolversi solamente con il testamento biologico, da stilarsi quando si è ancora in salute.
Resterebbe però il problema di chi è minorenne e, malato terminale, soffre terribilmente…
Spero solo che la morte di Fabo e di quanti l’abbiano preceduto in questa scelta terribile, servano a far approvare quanto prima una legge che ponga fine a questo problema.
Fabo …fino alla fine
Ecco…a quanti sono contrari all’eutanasia, voglio dedicare questo filmato.
È una libera scelta di chi ormai non può godere più nemmeno di un attimo di vita, condannato al buio ed all’immobilità perenni, e che per ricorrere all’eutanasia, si è dovuto recare in Svizzera, dove lo accompagneranno fino alla fine.
Credo che non ci sia più nulla da aggiungere.
Un abbraccio, Fabo, e che le tue sofferenze abbiano fine.
Clandestino
Nuova bagarre sui termini “politicamente corretti”.
Un clandestino quindi non può più essere chiamato tale, ma dev’essere identificato con l’appellativo “richiedente asilo”.
L’ennesima buffonata all’italiana, dopo che era stato vietato di chiamare zingari gli zingari (ed il ministero continua invece ad usare questo termine, per la serie “fai ciò che dico, ma non ciò che faccio”)
(FONTE WIKIPEDIA)
e tante altre cretinate che ci vengono propinate dall’alto, iniziando da “sindaca” ed amenità varie.
Allora analizziamo il termine “clandestino”.
Naturalmente la voce più autorevole è quella del vocabolario Treccani
“agg. [dal lat. clandestinus (der. dell’avv. clam «di nascosto»), attrav. il fr. clandestin]. – 1. Che è fatto di nascosto, e si dice per lo più di cose fatte senza l’approvazione o contro il divieto delle autorità: giornale, foglio c.; edizione c., tipografia c.; bisca c.; matrimonio c., in passato, contratto in segreto, per libero consenso dei contraenti ma senza intervento di sacerdote (e perciò considerato nullo dalla Chiesa); lotto c., gioco del lotto tenuto da un privato, in cui però le vincite sono regolate sui numeri estratti nel lotto pubblico (costituisce una frode ai danni dell’erario ed è perciò punito dalla legge); passeggero c., passeggero imbarcatosi su una nave o su un aereo senza essere munito di un biglietto di viaggio (anche sostantivato: un c., una clandestina); immigrato c., che entra in un paese illegalmente (anche sostantivato: le stime dei c. in Italia)”.
Non so dove si evinca che il termine “clandestino” sia offensivo ed a quale titolo la Lega Nord di Saronno sia stata multata di €10.000.-
La sanzione può arrivare solamente da una magistratura che “interpreta” a suo uso e consumo la legge, tanto più che come si nota dai due manifesti che allego, nessuno era intervenuto per evidenziare il carattere “discriminatorio” del termine CLANDESTINI, quando ad usarlo in tempi pregressi era stato il PD.
È palese che chi entra senza documenti nella nostra
nazione e non può provare la propria identità e la propria provenienza è, con tutta evidenza, un clandestino, tanto più che molto spesso chi approda in Italia spesso si rifiuta di declinare le proprie generalità.
Proviamoci noi a girare senza carta d’identità o a guidare senza patente: in caso di controllo ce la vedremmo davvero brutta.
C’è la convenzione di Ginevra che all’art.31 recita così:
“Gli Stati Contraenti non prenderanno sanzioni penali, a motivo della loro entrata o del loro soggiorno illegali, contro i rifugiati che giungono direttamente da un territorio in cui la loro vita o la loro libertà erano minacciate nel senso dell’articolo 1, per quanto si presentino senza indugio alle autorità e giustifichino con motivi validi la loro entrata o il loro soggiorno irregolare”.
Se non dimostra che nel paese di provenienza poteva esser sottoposto a persecuzioni il profugo può essere a giusto motivo esser considerato clandestino, e trattato di conseguenza. Ha l’obbligo di presentarsi alle competenti autorità per giustificare la sua presenza nel paese di arrivo.
Sembra strano, ma non l’ha scritto la Lega Nord 🙂
Non basta quindi dire: “chiedo asilo” per essere considerato profugo, bisogna presentarsi alle autorità e fornire validi motivi che giustifichino l’ingresso irregolare nel paese. Se questi NON ci sono il “rifugiato” è, tutti gli effetti, un clandestino.
Però sul web ne ho letto una bella: il clandestino non sarebbe più tale in quanto siamo noi che andiamo a prelevarli.
E questo proprio fa capire a che punto di “pecoraggine” e di asservimento siamo arrivati.
Fiducia
“Ho fiducia nella magistratura”
La classica frase che tutti dicono quando vengono indagati.
Poi succede che degli innocenti restino in carcere per decenni, come è successo a Giuseppe Gulotta, (ventidue lunghi anni dietro le sbarre) con la confessione estorta tramite tortura, o più recentemente ad Angelo Massaro, che ha scontato venti anni per una telefonata male interpretata.
Le ingiustizie non si contano, basta cliccare “errori giudiziari” su Google e ne escono a bizzeffe.
Per contro, succede anche che un processo per lo stupro di una ragazzina che all’epoca aveva solo sette anni,veda l’imputato rilasciato perché il reato è caduto in prescrizione in quanto il processo è durato 20 anni!
Non può essere che in un paese CIVILE una causa penale duri così a lungo.
Ed allora la frase citata sopra, assume un significato canzonatorio.
Una breve gita
Vivo in una città di provincia, Bolzano, e come tutte le città di provincia non molto grandi la trovo piuttosto “riduttiva”: piacevole viverci (anche se ultimamente, grazie alle “risorse” molto meno che in periodi precedenti), ma con minori attrattive di una grande città. Del resto, se qualcuno ha letto altri miei precedenti interventi, sa che molto spesso mi reco a Milano per periodi piuttosto lunghi e che la amo tantissimo.
Però c’è una cittadina che mi affascina molto. Più piccola della mia (80mila abitanti contro i 105mila di Bolzano), ma molto “salottiera” anche se è il prototipo del comune di provincia, tanto che qui Pietro Germi ha girato il film che meglio denota i pregi ed i molti difetti di questo tipo di città, ossia “Signore e signori”.
Senza dubbio avrete riconosciuto Treviso.
In tempi passati mio marito ed io ci andavamo molto spesso, ed erano anni che non ci recavamo là, così ci è venuta voglia di rivederla, anche se solo per una giornata.
L’ho trovava affascinante come al solito: con i suoi palazzi, il Sile ed il Siletto, le mura e, naturalmente, la piazza dei Signori.
Un giro così, senza meta, solo per passeggiare, anche se la giornata era grigia, trovando scorci di vecchie case che si specchiavano nel canale, o vedendo un gabbiano al mercato del pesce, scoprendo targhe, insegne, affreschi sotto i porticati dai quali ogni tanto vedevamo balconcini fioriti o ammirando le sue fontane, tra le quali la famosa Fontana delle tette che, nei periodi festivi, erogava vino bianco e rosso dai seni. Nella piazzetta c’è una copia, mentre l’originale si trova in una teca nella piazza dei Signori.
Qui una piccola carrellata di fotografie (naturalmente con le limitazioni datemi dal cellulare, ma il fotografo in famiglia era mio marito, anche se adesso ha appeso le macchine al chiodo).
Febbre del mare
Devo tornare sul mare, solitario sotto il cielo,
e chiedo solo un’alta nave e una stella per guidarla,
colpi di timone, canti del vento,
sbuffi della vela bianca,
e bigia foschìa sul volto del mare
e un bigio romper dell’alba.
Devo tornare sul mare, ché la chiamata
della marea irruente è una chiara
selvaggia chiamata imperiosa;
e io chiedo soltanto un giorno di vento
con volanti nuvole bianche,
pien di spruzzi e di spuma e di strillanti gabbiani.
Devo tornare sul mare, alla vita
di zingaro vagabondo; alla via
delle balene e degli uccelli marini,
dove il vento è una lama tagliente;
e io chiedo solo un’allegra canzone
da un compagno ridente e un buon sonno
e un bel sogno
quando la lunga giocata è finita.
JOHN MANSFIELD – Febbre del mare
C’era una nebbia che non si vedeva a un metro,
c’era il timone che non rispondeva più,
i marinai come San Pietro chiedevan di tornare indietro
ma lui aspettava un sogno,un segno da lassù stelle lontane stelle,miserevoli stelle di questo mondo mandatemi una luce per vedere fino in fondo stelle preziose stelle,incantevoli occhi del mistero spiegatemi che razza di motivo ha questo mio veliero
Il capitano era perduto in un miraggio,in mezzo a un mare che non si fermava più,
poteva andarci pure peggio: “mentiva in faccia all’equipaggio”,
e poi cantava per il ponte su e giù, da qualche parte ci sarà pure l’amore,
da qualche parte forse incontreremo il sogno
il desiderio che ci manca,la gioia l’attesa e l’emozione
cose che manco so ma scopriremo insieme. Stelle lontane stelle,silenziose stelle dell’universo ditemi dove,quando e per cosa mi sono perso stelle pietose stelle,sparpagliate stelle di questa sera che cosa ci sto a fare su questo obrobrio di nave nera.
il capitano era di quelli del coraggio e tra le gambe nascondeva un cuore in più
ma dopo secoli di balle e barzellette all’equipaggio,scoprì le lacrime di non poterne più stelle sbraccate stelle,stralunate stelle di questa notte a voi che ve ne frega se siete vive o siete morte… stelle perdute stelle miserabili stelle di questo cielo, è venuto il momento di mandarvi a fare in culo…
Stelle
Tutto passa.
Le sofferenze, i tormenti, il sangue, la fame e la pestilenza.
La spada sparirà, e le stelle invece rimarranno, quando anche le ombre dei nostri corpi e delle nostre azioni più non saranno sulla terra.
Le stelle rimarranno allo stesso modo immutabili, allo stesso modo scintillanti e meravigliose. Non esiste uomo sulla terra che non lo sappia.
Perché allora non vogliamo la pace?
Perché non vogliamo rivolgere il nostro sguardo alle stelle?
Perché?
Michail Bulgakov
Il giudizio
Ho provato a spiegarlo.
Nulla, ho cozzato contro un muro di pietra.
Ho detto che, secondo il mio parere, non consideravo colpevole quella mamma che ha denunciato il figlio, e del resto molte altre madri lo hanno fatto e sono state elogiate: a lei è andata male, purtroppo, anche per la labilità di carattere del ragazzo.
Una sola voce in mio favore, quella di un’amica che è stata così onesta da riconoscere che lei si era astenuta dal commentare in quanto non si sentiva in grado di giudicare non conoscendo appieno come si erano svolte le cose e provava solo pietà per quanto era successo.
Le hanno dato dell’ignava, citando perfino Dante che metteva gli ignavi nel Limbo, indegni perfino di essere giudicati.
Poi qualche timida voce si è fatta sentire…uno che, cristianamente, citava il Vangelo (non giudicare e non sarete giudicati), un altro che invitava invece a CAPIRE.
È che il giudizio si è trasformato , anche se inconsapevolmente, in una condanna (IO non l’avrei fatto, IO non l’avrei denunciato, IO avrei fatto così e cosà…).
Pochi hanno espresso la volontà di comprendere perché quella madre si sia comportata in quel modo e quali siano le vie che l’abbiano condotta a “tradire” la fiducia del figlio denunciandolo, inoltre non siamo nemmeno a conoscenza se lei, prima, abbia tentato altre strade.
Sono quasi tutti partiti lancia in resta non a giudicare, ma a CONDANNARE, in quanto i fatti si sono conclusi tragicamente, senza considerare che in altre circostanze magari sarebbe andata in maniera diversa.
Ecco, quell’IO…IO…IO… mi ha dato fastidio, molto fastidio.
Dicevano bene i Nativi Americani: “Prima di giudicare qualcuno, cammina per due lune nelle sue scarpe”.
E, a proposito, nessuno che abbia citato il padre: pur separato, anche su di lui incombeva la responsabilità dell’educazione del figlio.
L’ombra della scissione
Prendiamo dell’acqua, ci aggiungiamo dell’olio, li frulliamo per bene per farli amalgamare ed otteniamo un’emulsione che SEMBRA stabile: prima o poi però i due elementi si separeranno.
È quello che sta succedendo con il PD, che tempo addietro ha fuso l’anima veterocomunista, rappresentata da D’Alema, Bersani e soci con quella appartenente all’ala sinistra dell’ex Democrazia Cristiana.
La repentina ascesa di Matteo Renzi, che ha subito palesato l’intenzione di svecchiare la nomenklatura rottamando i parlamentari più longevi, ha sparigliato le carte. Già all’epoca del patto del Nazareno, con Berlusconi, molti “sinistri duri e puri” avevano storto il naso, ma sotto sotto la loro più grande paura è stata quella di essere sostituiti ed hanno quindi seguito il novo leader.
Mi ero sempre chiesta cosa ci facessero nel PD persone come Rosi Bindi (ancora nei ranghi del partito) o la cattolicissima Paola Binetti, che è rimasta nel PD fino al 2010 trasmigrando poi in varie formazioni (UDC- Scelta civica- Nuovo Centro Destra , approdando infine al Gruppo Misto (lei, non chiamandosi Scilipoti non ha fatto notizia).
Per non parlare di altri, come Enrico Letta, Franco Marini, Silvia Costa, Romano Prodi, Dario Franceschini. Giuseppe Fioroni, Rosa Russo Iervolino, Maria Pia Garavaglia, Oscar Luigi Scalfaro, tanto per citare alcuni nomi tra i più noti, che in comune avevano, oltre alla provenienza dalla DC, solo l’astio contro Berlusconi.
Le due “anime” hanno visioni antitetiche su moltissimi argomenti, però alla resa dei conti votano concordemente pur di tenersi stretta la poltrona, quindi al momento, non so se si arriverà ad una scissione: troppi interessi in ballo, anche se alcuni hanno manifestato l’intenzione di separarsi ed aderire al nuovo movimento creato da Giuliano Pisapia.
Chi tiene banco intanto però è sempre lui, Matteo, che si dice capace di trionfare al congresso e sminuisce gli avversari.
È arrivato all’assemblea con un look diverso dal solito: niente giacchette striminzite e pantaloni sopra la caviglia, ma maglioncino stile Marchionne, che gli dà un’aria informale e soprattutto giovane, e se per caso indossa la giacca, non mette la cravatta.
Prodigo di battutine e facezie, questa volta non molto ben accolte, si comporta da vero democristiano nell’accezione peggiore del termine, ma non ha la stoffa dei suoi grandi predecessori.
Ma ambiguo è apparso anche Emiliano, scissionista, poi mediatore, infine ancora scissionista.
Mi scindo o non mi scindo? questo è il dilemma
Intanto aspettiamo.
Con tutti i problemi che ha il nostro paese, sentir blaterare per scoprire chi vincerà la tenzone è francamente fastidioso.
Foglie morte
Chi eravamo ?
Eravamo due o due forme di uno ?
Non lo sapevamo né ce lo chiedevamo: un sole vago doveva esserci, dato che nella foresta non era notte.
Una vaga fine doveva esserci, dato che camminavamo.
Un mondo qualsiasi doveva esserci, dato che c’era la foresta.
Noi, comunque, eravamo estranei a ciò che fosse o potesse essere, eterni camminatori all’unisono su foglie morte, ascoltatori anonimi e impossibili di foglie cadenti.
Niente di più.
Fernando Pessoa
La madre esemplare
Gira sul web la lettera che un uomo, già tossico in gioventù, ha inviato al “Fatto quotidiano”, spiegando quanto sua madre gli sia stata vicino in quel triste e brutto periodo, recandosi (udite udite!) in farmacia per acquistare siringhe pulite affinché non si infettasse, accompagnandolo in auto a comprare le dosi, pagandole perfino.
La lettera (*) è molto bella, con parole davvero “sentite” e commoventi e naturalmente gli elogi per questa mamma, messa in contrapposizione a quella di Lavagna, si sprecano.
Madre esemplare, definita addirittura “sublime” (sic!)…
Eh no, cari signori, qui si rasenta l’ipocrisia.
La signora in questione è stata solo fortunata.
Se per caso il figlio fosse morto per overdose, sareste tutti ad esecrare quella donna snaturata che, con le sue stesse mani, riforniva il figlio dei mezzi per drogarsi.
Poi quanti criticavano la madre di Lavagna perché il figlio si faceva le canne in quanto non poteva essere considerata una vera madre perché adottiva e che quindi il ragazzo non trovava corrispondenza in famiglia, mi spieghino perché un figlio biologico con una madre tanto amorevole e comprensiva si faceva di eroina.
Ho notato inoltre che tra quanti disprezzano la mamma di Lavagna si trovano molte persone favorevoli all’adozione di minori da parte di omosessuali.
Decidetevi, ma usando la coerenza.
Da parte mia, continuo a rifiutare l’ipocrisia.
(*)
Ci ho messo tempo, tanto tempo a decidere se scrivere o meno queste poche righe sui fatti di Lavagna. Se ho deciso di farlo è un po’ perché sento che mi riguardano da vicino, da troppo vicino, un po’ perché mi provocano un dolore insopportabile e, scrivendone, mi illudo che diminuisca.
Ma dirò poche cose, le mie posizioni antiproibizioniste non sono un mistero per nessuno.
Vede, signora, non voglio farle la morale e nemmeno giudicarla. In un certo senso, scrivere queste righe mi dà pena e imbarazzo.
Che fosse stato o meno partorito dal suo ventre, la morte di un figlio è il dolore più immenso che possa capitarci. Merita il rispetto di chiunque, anche di chi, come me, trova quanto lei ha fatto incomprensibile, per certi versi orrendo e assolutamente innaturale.
Voglio solo raccontarle una breve storia: la mia.
Tra i 20 e i 28 anni io sono stato un ‘junkie’, ho provato, con sostanze ben più pericolose e devastati della cannabis, a distruggere la mia vita. Oggi so perché e non mette conto parlarne qua.
Ma per quasi 6 anni, dal momento in cui se ne è accorta, ogni giorno mia madre mi è stata vicina, mi permetteva di farlo in casa, mi comprava siringhe pulite che i farmacisti a me non avrebbero dato, mi accompagnava, senza mai dar segno di vergogna, al Sert per prendere le dosi di Metadone.
Soffriva, soffriva immensamente, soffriva senza posa, senza respiro, ma è stata là ogni giorno, sempre con la mano tesa verso di me, armata di pazienza. Ha aspettato. Oh quanto ha aspettato: che io tornassi vivo la sera, che capissi quanto grande era il suo dolore, che trovassi la voglia e il tempo per dimostrarle il mio amore, che capissi che stavo uccidendomi.
Lei aspettava e io fuggivo. Ma, quando tornavo, era là. Se stavo troppo male per trovarmi da solo una dose, si metteva in macchina con me, mi accompagnava, stava attenta a che guidassi senza imprudenze, subiva di incontrare con me quelli che sulla mia vita lucravano, li odiava, ovviamente, ma aspettava con me che arrivassero, li pagava, mi riaccompagnava a casa. Incredibile vero? Ma continuava ad aspettare e a parlarmi, a farmi sentire che non ero solo, che un filo, un esile filo tra me e la realtà era rimasto e che se mi fossi attaccato a quel filo, avrei potuto risalire la china, essere di nuovo libero, riacquistare il diritto e la voglia di realizzare i miei sogni, che erano anche i suoi. E infine ha vinto lei.
Io oggi ho 60 anni, sono vivo, non ho l’Aids, ho tutti i miei denti in bocca, scrivo poesie e le metto in musica, insegno a splendidi ragazzi, ho una famiglia normale e un bellissimo figlio e non ho mai più sentito il desiderio di tornare indietro. Mai.
Quando ho pubblicato il mio primo romanzo, l’ho dedicato a lei, perché mi aveva partorito due volte.
Mia madre non ha mai nemmeno pensato di denunciarmi, sapeva bene che a uccidermi non era quella sostanza, ma il dolore, la solitudine, lo sperdimento. E contro il dolore non c’è Guardia di Finanza che tenga. Non si può vietare il dolore. Con il dolore e il disagio, soprattutto con quello dei propri figli, bisogna farci i conti, mi creda.
Non è la droga che uccide i nostri figli, gentile signora, è questo nostro modo di vivere, di convivere, questa nostra incapacità di parlarci, toccarci, stare insieme, condividere, anche e soprattutto in famiglia.
Non è certo colpa sua, se noi anziani abbiamo così poco da dire e da insegnare ai giovani: vivono in un mondo totalmente diverso dal nostro, almeno quanto quello dei nostri nonni era sostanzialmente simile al nostro, quando avevamo la loro età.
Escher – 6
La sesta ed ultima sezione infine è dedicata alla diffusione delle sue opere utilizzate in varie maniere.
Tralasciando quanto Escher ha fatto per i propri committenti, tipo vari ex-libris, biglietti d’auguri, copertine di CD, è stato interessante vedere quanto l’artista abbia influenzato vari aspetti della nostra vita quotidiana, quali il cinema, i fumetti e la pubblicità.
“Giorno e notte” sulla facciata del Museo Escher a l’Aja
ex-libris
Immagine per la copertina del libro Larix di Henriette Roland Holst
copertina del CD dei Pink Floyd
Castello di Hogwards dal film Harry Potter
Immagine dal film Labyrinth
Dai fumetti Disney Paperino e Topolino
Fumetti dei Simpson
Pubblicità Illy caffè
Pubblicità Audi
Le immagini sono tratte da internet
“Lo stupore è il sale della terra.”
Genitori e figli
Essere genitori è difficile.
Non ci si nasce, ma si diventa ASSIEME ai nostri figli, commettendo a volte anche degli errori.
Non me la sento di tirare la croce addosso a quella povera mamma di Lavagna, che deve già confrontarsi con il rimorso di essere stata la causa della morte del figlio per aver chiamato lei stessa la Guardia di Finanza.
L’accusano in quanto è una “madre adottiva”, come se l’aver allevato un figlio per sedici anni non conti nulla.
L’accusano perché, secondo loro, l’uso di marjuana non doveva considerarsi droga.
L’accusano di aver cercato un riscontro mediatico per aver parlato in chiesa della morte del ragazzo davanti alle telecamere, mentre era solo un monito per altri coetanei del figlio a non cedere alle tentazioni della droga e ad avere maggior comunicatività con i propri genitori.
Una madre non si rivolge alle forze dell’ordine per danneggiare scientemente il figlio, ma per salvarlo dalla rovina: pensava certamente che con l’intervento delle forze dell’Ordine, si sarebbe spaventato e non avrebbe più fatto uso di marjuana.
Anche il padre si è autoaccusato di non aver saputo comprendere il ragazzo, interiormente fragile per essere arrivato ad un gesto così estremo.
Noi genitori sbagliamo, sia per troppo permissivismo che per troppa severità. Qualche volta, magari solo per fortuna, ci va bene, ed escono dei bravi ragazzi; altre volte, anche per fattori esterni alla famiglia, invece va male, e non esiste il manuale per diventare genitori perfetti.
Alzi la mano chi non ha mai commesso errori nell’allevare i figli, ma sia sincero nell’ammetterlo.
I genitori perfetti non esistono (e neppure i figli perfetti se è per questo).
La mia Africa
No, non parlo del libro di Karen Blixen o del film tratto da questo ed interpretato da Meryl Streep, ma di Milano.
Milano?
Già, perché a qualcuno, grazie allo sponsor Starbucks, quello del caffè all’americana, che tra l’altro a me piace e che all’estero, ma solo all’estero, frequento spesso (begli ambienti, gradevoli e con wi-fi libero), ha avuto la brillante idea di piantare in piazza Duomo delle palme e dei banani.
Tipica flora lombarda 🙂 . Peccato che il Duomo in stile gotico stoni un pochettino, ma lo si potrebbe sempre sostituire con una moschea ed il relativo minareto.
Sul web impazzano gli scherni ed i lazzi, come quelli di sostituire i tram con i cammelli (errore! In Africa ci sono i dromedari! ).
Per mio conto, le palme proprio non le vedo per niente in piazza Duomo, (a dire il vero più che Africa fanno tanto Los Angeles) ed offuscano il fascino di questa classica piazza.
Amore e grammatica
Edmondo De Amicis pubblicò tanto tempo fa un libro intitolato “Amore e ginnastica”.
Oggi dovremmo invece scrivere un testo intitolato “Amore e grammatica”.
Real Time ci propone infatti di firmare una petizione perché la parola “Amore” sia considerata di genere neutro (!?!), che in italiano non esiste e pertanto venga scritto un’amore con l’apostrofo, in nome ed in difesa di non so quale identità sessuale, senza valutare la sua attinenza con la grammatica!
Del resto, cosa ci si può aspettare ancora in un paese in cui gli studenti universitari compiono pacchiani errori di ortografia (per non parlare della sintassi…) e dove, tra le cariche istituzionali, annoveriamo una presidentA della Camera ed una sindacA di Roma? (per non parlare del “petaloso” approvato dall’Accademia della Crusca).
i giorni del vino e delle rose

Vitae summa brevis spem nos vetat incohare longam
(La brevità della vita ci impedisce di nutrire una
lunga speranza)
Il pianto e il riso, non a lungo durano.
L’amore, la passione e l’odio:
credo non in noi si trovino
dopo che varcato sia il passo
I giorni del vino e delle rose, non a lungo durano.
Da un sogno sfocato
emerge a tratti il nostro sentiero
Poi riaffonda in un sogno
Non sono lunghi, i giorni del vino e delle rose:
da un vago sogno
il nostro cammino emerge per un tratto, poi si chiude
in un sogno.
Ernest Cristopher Dowson
(Cliccando sulle immagini, parte l’animazione)
Escher – 5 bis – la Galleria di stampe
La galleria di stampe
L’opera più strabiliante di Escher, quella che esprime maggiormente l’illusione, è la “Galleria di stampe”, e per questo le dedico un post a parte.
Qui viene sfruttato “l’effetto Droste”.
Droste era la marca di un cacao olandese, sulla cui scatola era raffigurata un’infermiera che su di un vassoio portava una tazza e la scatola del medesimo cacao, sulla quale era raffigurata l’infermiera etc etc etc…in teoria si potrebbe andare all’infinito, se non fosse per le dimensioni che via via si rimpiccioliscono.
La struttura della Galleria è però differente e molto più complessa, in quanto si basa su di una griglia matematica (troppo difficile da spiegare per me, che matematica non sono) .
La conformazione però è molto ben evidenziata dal filmato di You Tube che è in allegato. Qui posto solamente la griglia che è servita per formare la galleria.
In pratica si tratta del ritratto di un giovane in una galleria di quadri, tra i quali si possono vedere anche le”Sfere” e la “Buccia” dello stesso Escher (ecco un altro aspetto dell’autoreferenzialità) mentre il paesaggio, che rappresenta il porto di La Valletta e che teoricamente dovrebbe essere all’esterno della galleria stessa, entra dentro la medesima. Nella Galleria di stampe lo sguardo si sposta continuamente dall’interno all’esterno e viceversa della galleria e della stampa osservata dal giovane, in una specie di moto perpetuo in cui i piani si combinano e si fondono tanto da non capire più dove finisca l’interno e dove cominci l’esterno, e viceversa. Così la stampa che il giovane osserva, le imbarcazioni che galleggiano sull’acqua, la città con i tetti a terrazza, quelle rare persone – un ragazzo seduto in un angolo del terrazzo all’ombra, una donna affacciata alla finestra che sembra guardare in direzione del giovane di spalle che osserva la stampa, due passanti, quasi due ombre, sul molo vicino all’ingresso della galleria – stanno “dentro” l’opera che, data la sua autoreferenzialità e la commistione di interno ed esterno, contiene se stessa.
e, a seguire, il video di cui parlavo sopra con l’effetto di ripetizione all’infinito.
Al Jarreau
…e qui voglio ricordare Al Jarreau, che ci ha lasciato ieri, con una delle sue canzoni che amo, sigla di una serie di telefilm che preferisco. ❤
Escher – 5
La quinta sezione era dedicata ai paradossi geometrici
…ossia alle sue opere più conosciute e famose, quelle che sfidano la prospettiva e che “sfidano” la bidimensionalità del foglio sul quale sono rappresentate.
Innanzitutto le celeberrime “Mani che disegnano” che paiono uscire dal foglio, dove una mano sembra disegnare l’altra e viceversa.
Poi ci sono le “Sfere”, in cui l’effetto prospettico messo in risalto dalle ombreggiature fa sì che la sfera superiore appaia intera, la mediana invece una semisfera e l’inferiore quasi un disco piatto.
Poi ci sono le stampe con i cristalli (Escher era anche affascinato dalla cristallografia e dalle forme degli elementi):. Ha rappresentato una forma che in natura non esiste, o perlomeno non è ancora stata scoperta, derivante dalla fusione di un ottaedro con un esaedro
(cubo) o da tre ottaedri nei quali sono posti due camaleonti, mentre sullo sfondo ci sono altri cristalli che rappresentano una sorta di universo stellato.
Molto originale infine “Altro mondo”, una statuina dono del suocero posta al centro di varie prospettive mutevoli.
Ed eccoci alle sue interpretazioni più fantasiose e famose: “Relatività” (ho un poster di questa opera affascinante), basata sul triangolo di Penrose, una figura che non può esistere se non nella prospettiva: tutto vi appare strano e tuttavia perfettamente logico anche se impossibile 🙂 .
Il triangolo è stato sfruttato anche per opere come “Salita e discesa”
e “Cascata”.
In questa ultima stampa un flusso d’acqua cadendo dall’alto mette in funzione un mulino il quale, a sua volta, spinge il flusso in un canale che, zigzagando, torna all’inizio della cascata.
Per ottenere questo effetto, egli ha unito due triangoli di Penrose in un’unica figura. La cascata rappresenta un sistema chiuso: essa ritorna in continuazione alla ruota del mulino in un movimento perpetuo che viola la legge di conservazione dell’energia.
Salita e discesa invece rappresenta un complesso di case i cui abitanti, che paiono monaci, camminano in un percorso circolare fatto di scalini. Apparentemente tutto sembra a posto, ma osservando attentamente la figura, ci si accorge che i monaci compiono un percorso sempre in discesa o sempre in salita, lungo una scala impossibile.
Lo stesso in “Convesso e concavo”: anche qui delle prospettive ingannevoli che cambiano a seconda di come le si guardino o le si interpretino.
Poi c’è il “Belvedere” (anche di questo posseggo il poster), dove invece a farla da padrona è il cubo impossibile, con la scala che porta al piano superiore che è contemporaneamente all’interno ed all’esterno dell’edificio, cubo che è anche tra le mani del personaggio seduto in basso a sinistra.
Per meglio far comprendere l’effetto della prospettiva, nella sala erano esposti due letti di legno, uno normale, uno costruito con l’effetto “cubo di Necker: guardando quest’ultimo da un punto preciso segnato sul pavimento, sembrava perfettamente normale ed identico all’altro, mentre invece spostandosi, era palese che fosse completamente differente.
Le immagini sono tratte da internet
Escher – 4
la quarta sezione è dedicata alle metamorfosi
Le “metamorfosi” sono una serie di pannelli che “riassumono” l’opera omnia di Escher, dove le tassellature si intersecano e si trasformano, terminando con la raffigurazione del paese di Atrani, luogo a lui assai caro in cui aveva trascorso il suo viaggio di nozze. I paesaggi italiani sono una costante ricorrente nelle opere di Escher che li ricorda anche dopo aver lasciato il nostro paese.
metamorfosi 1
dettaglio
Tuberi
Oggi parlo di tuberi.
Tuberi, ossia patate, quelle patate bollenti che hanno riscaldato gli animi ed infiammato le discussioni.
Già, perché Virginia Raggi, sindacO di Roma, ha incassato la solidarietà di tante donne (prescindendo dal rispettivo orientamento politico) per il titolo di “Libero”, titolo magari dalla comicità un pochino greve per il doppio senso, però perfettamente lecito. La stessa solidarietà che non è stata dimostrata nei confronti di Giorgia Meloni per gli apprezzamenti negativi fatti da Asia Argento (che farebbe meglio a stare zitta viste certe immagini da lei stessa messe in rete) o, sempre restando nel campo di “Libero”, per il medesimo titolo (Patata bollente) usato nei confronti di Ruby.
Quest’ultima poteva benissimo essere presa in giro in quanto legata a Berlusconi, la Raggi invece poverina… Ma Virginia appartiene a quel movimento che del turpiloquio ha fatto la sua religione. Restando nel campo femminile, sul blog di Grillo o nei comizi, ci sono state ingiurie ben più pesanti: Rita Levi Montalcini ad esempio, chiamata “Vecchia puttana”, oppure si invitava la gente a far stuprare (trombare) la Boldrini dai Rom o la Boschi a battere per strada, la governatrice del FVG appellata “Serracchiani mille mani”, per non parlare di un osceno fotomontaggio con Gad Lerner ritratto tra la Carfagna e la Minetti.
Neppure glu uomini sono stati esentati, quali ad esempio Umberto Veronesi che veniva sempre chiamato Cancronesi, Brunetta e Berlusconi messi alla gogna per la statura.
A suo tempo, pur non approvandolo, abbiamo difeso Charlie per cose ben peggiori.
Il titolo di Libero, ripeto, è semplicemente un gioco di parole, e ricordiamo che con le patate si confezionano gli gnocchi, inteso come maschile di gnocche 🙂 .
Honni soit qui mal y pense.
Cosa ne pensate?