I viaggi
Ma forse mancano i viaggi più straordinari. Sono quelli che non ho mai fatto, quelli che non potrò mai fare. Restano non scritti, o chiusi in un loro segreto alfabeto, sotto le palpebre, la sera.
Poi arriva il sonno, e si salpa.
Antonio Tabucchi
14 gennaio 2017 | Categorie: antologia | Tags: Antonio Tabucchi, viaggi | Lascia un commento
Barboni
Milano, ieri.
Freddo.
Un’aria tagliente che ho avvertito principalmente sul viso, anche se era affondato letteralmente nella sciarpa. Pure le mani ben inserite nelle tasche del giaccone imbottito erano gelide.
Camminavo in fretta, così mi sembrava di percepire meno la morsa del gelo.
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Ogni tanto, sulla strada, i giacigli di qualche clochard.
Una volta li si chiamava “barboni”, senza tanti giri di parole, ma clochard è più “romantico”: cambia il termine, ma la sostanza è la stessa.
Si vedevano in giro, con i cappotti laceri, berrettoni informi sul capo con i punti di lana un poco smagliati, un sacchetto di plastica dal quale affiorava un pack di vino, un po’ di pane, una cartata di mortadella, raramente chiedevano l’elemosina, l’occhio puntato a terra per ghermire in fretta una cicca ancora abbastanza lunga per essere fumata. Tempo addietro all’ora di pranzo si mettevano ordinatamente in fila alla mensa di san Francesco presso Piazza Concordia o al Pane quotidiano in viale Monza.
Ora lo fanno sempre meno spesso, perché il loro posto è stato preso dai nuovi “poveri”, ragazzoni di colore con tanto di giacche a vento, gilet in piuma, jeans, scarpe da tennis e l’immancabile smartphone, radunati in gruppi chiassosi, tanto i barboni erano riservati, quasi a voler passare inosservati.
E ogni tanto li vedi in un cantone , avvolti in coperte o vecchie trapunte, sopra un pavimento di cartoni che li isolano dal marciapiede, a volte con un cagnetto a far loro compagnia, col quale dividono quel poco che hanno. Oppure, se il tempo lo permette, in piccoli gruppetti al parco, su una panchina, passando di mano in mano il cartone di vino dozzinale.
Qualcuno però è ancora vestito decentemente: fa parte di quanti hanno perduto il lavoro e cercano di mantenere la loro dignità, un minimo di decoro. Sono quelli che pur dormendo per strada frequentano comunque le docce presso le istituzioni caritatevoli, sempre sperando di trovare un’occupazione qualsiasi che permetta loro di rialzarsi dalla situazione nella quale sono precipitati.
Qui a Milano i posti letto per la notte non mancano, ma il vero barbone rifiuta di usarli preferendo la propria indipendenza. Poi ci sono altri che non vogliono (o possono) utilizzarli perché non gradiscono essere registrati ed identificati.
Ricordo ancora una notte di novembre a Torino : sotto i portici una serie di scatoloni con una piccola apertura per far circolare l’aria; tante piccole “abitazioni” per questi derelitti che di giorno, non so in quale modo, le facevano sparire.
Oggi in via San Pietro all’Orto non c’era il solito giaciglio disordinato: tutto era stato ricoperto con un plaid ed accatastato in perfetto ordine, come il famoso “cubo” che facevano i militari nelle camerata. Il “proprietario” però non si vedeva, forse era in giro per cercare di rimediare qualcosa.
Molti passano le notti a Linate, all’aeroporto: caldo in inverno, fresco d’estate: non sarebbe consentito, ma se gli “ospiti” si comportano bene e non litigano, i sorveglianti lasciano correre, però al minimo sgarro, buttano fuori tutti.
Le giornate invernali invece le passano nelle biblioteche: sono luoghi caldi e tranquilli, c’è il wi-fi e si può ricaricare il telefonino. Inoltre ci sono i servizi igienici molto puliti. Poi si può leggere, si possono visionare filmati, ci sono i quotidiani da sfogliare per tenersi aggiornati e per leggere gli annunci economici: qualcosa magari può sempre saltare fuori.
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Sul tram, un bravo violinista passa con disinvoltura dalla “Ciaccona” di Bach a “O mia bèla Madonina”, passando per la “Cumparsita” ed un valzer musette eseguito a pizzicato. Gli chiedo se è ungherese, dato che gli tzigani sono maestri nel suonare questo strumento. Mi risponde, in un italiano abbastanza buono, che è polacco, che ha studiato per dieci anni al conservatorio e sembra essere più contento del fatto che gli abbia rivolto la parola che delle monete che gli ho offerto.
A volte, per queste persone, un cenno di attenzione vale più del denaro. Spesso vorrebbero rendersi invisibili, ma è sufficiente una frase, un cenno, un sorriso e subito si crea una certa empatia.
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14 gennaio 2017 | Categorie: così la penso io, cronache da Milano | Tags: barboni | 5 commenti
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