MILANISTAN
Facebook a volte fa strani scherzi.
Stai leggendo un diario ed i relativi commenti ed improvvisamente la pagina si aggiorna e scompare tutto, così non si può nemmeno replicare.
Ero su un sito, non ricordo quale, dove stavano elogiando Sala e la sua gestione dell’immigrazione e mi sono chiesta se queste persone girano Milano a piedi o con i mezzi pubblici ed in quali zone, oppure si spostano a bordo delle loro belle auto di rappresentanza esclusivamente nelle zone centrali.
Spesso dal cellulare, tramite la geolocalizzazione di Google, vedo la presenza di molti miei contatti quasi esclusivamente nelle zone più prestigiose della città e mi chiedo se siano tra quelli che tanto lodano l’attuale amministrazione (appena un pochino meglio della precedente).
Beh, io Milano la giro appunto a piedi, in metropolitana, in tram, più raramente in autobus e quello che vedo a livello di immigrazione, non mi piace affatto.
Iniziando da viale Monza, dove è tutto uno stazionare di nullafacenti appoggiati ai muri delle case per sfruttare il wi-fi della farmacia sottocasa o dell’adiacente negozio di parrucchiere.
Non parliamo dei sotterranei della metropolitana, perché anche là trovi banchetti che vendono di tutto, di questa stagione specialmente sciarpe e berretti, ma anche cover per i cellulari.
Uno dice: vabbè, è zona periferica, ci può stare, vista anche la vicinanza con viale Padova.
Via Vittorio Veneto però non è periferia, siamo già in semicentro. Causa il freddo, non ci sono più gli “insediamenti” di profughi (?) che quest’estate nella striscia di verde facevano di tutto, cucina, barberia ed altro, incluso i bisogni corporali. Però alle fermate del 9 salgono spesso gruppi di neri tutti sprovvisti di biglietto.
Brera? Eh, qui siamo già in pieno centro, ma per terra c’è un bazar, con una sfilza di lenzuoli bianchi dove si vende di tutto!
Lo stesso in corso Como: borsette, cinture, batterie per la ricarica dei cellulari, un vero mercato all’aperto.
Pochi metri più avanti c’è la piazzetta sopraelevata intitolata a Gae Aulenti, e si viene letteralmente assediati da venditori di libri su negritudine e razzismo. Idem in via Dante: cavolo, ormai siamo a pochi passi dal Duomo, però l’assedio continua.
Perlomeno sono spariti, in Galleria Vittorio Emanuele, i venditori cinesi di simil-pashmina e giocattoli elettronici.
Questo è quello che si vede.
Poi c’è quanto si legge sui giornali: aggressioni, scippi, stupri, spaccio di droga, prostituzione, bande che si affrontano.
Non oso pensare a quello che non si vede e del quale non si viene a conoscenza…
E questa sarebbe la buona gestione dell’immigrazione?
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Inviato dal Veloce promemoria
Statistica della felicità
Qualche giorno fa l’ISTAT ha scritto che l’indice di soddisfazione degli italiani è risalito dallo scorso anno, e che quindi siamo tutti più felici.
Certo è che le statistiche bisogna saperle interpretare: se il 41% delle persone oltre i 14 anni è più soddisfatto delle proprie condizioni di vita, significa per contro che un 59% non lo è per nulla.
Di questa totalità di persone, solo il 34,4% degli ultrasettantacinquenni è molto soddisfatto delle proprie condizioni come il 54,1 dei giocavi tra i 14 ed i 19 anni. Del restante 65,6% degli anziani e del 45,9 dei giovani rimanenti che ne facciamo? L’indice di soddisfazione quindi è parecchio “annacquato” da un buon numero di insoddisfatti!Aumenta pure la soddisfazione economica sempre tra la pololazione dai 14 anni in poi, dal 47,5 dello scorso anno al 50,5, Certo, poco è meglio di niente, però non mi sembrano cifre strabilianti da poter vantare pubblicamente: una metà circa della popolazione non è per nulla soddisfatta.
L’unico dato positivo sembrerebbe essere quello relativo alla sfera personale: il 90,1 è soddisfatto delle relazioni familiari, l’82,8 delle relazioni amicali e l’81,2 del proprio stato di salute, ma sembrano piuttosto dati espressi tanto per dire. E la fiducia negli altri? Solo il 19% delle persone dichiara di averne, e di questi tempi è ben comprensibile.
Gli altri indicatori? Mah, non so quale valenza abbiano: se il 31,6 persone dichiarano di avere un problema per la sporcizia nelle strade, credo che il restante 68,4 se ne sbatta altamente e non lo consideri un fatto rilevante, e così per altri indici statistici.
In breve: se si sbandiera ai quattro venti che la felicità della nazione è aumentata, e se si fa parte di quel fortunato 50% circa che asserisce di essere contento più per esasperazione che altro, tutto va bene e qualcuno magari ci crede pure…
Per chi volesse consultare l’archivio, ecco qui i link
http://www.istat.it/it/archivio/192991
Fai clic per accedere a Report-soddisfazione-cittadini.pdf
sera
Milano in macchina una sera che piove… come cantava Loredana Berté.
Viale Monza…sulla via di casa
La discesa
Bolzano scende dal secondo all’ottavo posto nella classifica della qualità della vita per l’anno corrente.
È sempre una posizione “onorevole” su 111 province considerate, ma non eravamo mai scesi tanto in basso, da anni occupavamo sempre il podio tra la prima e la terza posizione.
Non ho sottomano la classifica per i vari indici (affari e lavoro, ambiente, disagio sociale e personale, affari finanziari e scolastici, sanità, tempo libero, criminalità, popolazione articolate in ben 84 sezioni), però su una testata locale ho letto che manteniamo comunque la prima posizione per il lavoro, con una media di disoccupati poco sopra il 3%, notevolmente inferiore alla media nazionale, mentre sanità, scuola ed ambiente dovrebbero comunque essere in buona posizione.
Non è che il crollo sia dovuto all’aumento della criminalità e microcriminalità, una volta praticamente inesistenti in provincia, che ora registrano episodi quasi quotidiani?
E non è che la proliferazione degli episodi criminali sia causata dall’incremento della presenza degli immigrati, visto che gli episodi sono aumentati a seguito della crescita delle loro presenze?
A pensare male si fa peccato, diceva la buonanima di Andreotti, ma spesso ci si azzecca…
Mitizzazioni
La morte di Fidel Castro mi ha dato modo di ripensare al personaggio di Che Guevara, ancor oggi idealizzato (assolutamente a torto) come non pochi..
Il vero Che Guevara è lontano anni luce dal mito propagandistico creato dalla sinistra, il buon guerrigliero che si faceva ritrarre con aria sorridente in mezzo ai bambini, ma si sa, l’uomo a volte è un bimbo credulone, magari non crede a divinità e santi, però poi ha bisogno comunque di crearsi dei miti in terra, personaggi puri ed immacolati alla pari dei cavalieri medievali o di san Giorgio che combatte il drago, però i meccanismi della mente umana sono incomprensibili e misteriosi!
Il tanto mitizzato Che Guevara era il più ortodosso filosovietico.
Seguiva pari pari le orme di Stalin ed il modello totalitario da questi instaurato, tanto da scrivere di appartenere alla classe di coloro che credono che la soluzione dei problemi del mondo risieda dietro la cortina di ferro.
Dopo la defenestrazione di Fulgencio Batista nel 1959, ristabilita la…libertà (!) a Cuba, Fidel decise che bisognava “curare” i cubani malati di anticomunismo. Chi meglio era adatto allo scopo del “Che” Ernesto Guevara, che era pure medico? Ed il bravo Che prese l’incarico molto sul serio e mise su immediatamente un bel campo di concentramento, dove “ricoverava” i “pazzi ” che non erano comunisti, e già che c’era, anche omosessuali di tutte le età, cattolici, protestanti e testimoni di Geova! Era talmente bravo Ernesto Guevara,che subito si meritò il soprannome di “macellaio del campo di Cabana ” per le torture e le sevizie a cui sottoponeva anche ragazzi adolescenti. Praticamente iniziò una grande opera di irreggimentazione dei giovani con la creazione di campi di concentramento per prigionieri politici, anzi “campi di rieducazione” sul modello dei gulag sovietici nella penisola di Guanaha, tra i quali Hoja de Cabana sopra nominata; si occupò personalmente della fucilazione di seicento oppositori del regime, tra i quali Carrera, che da rivoluzionario del 1959 diventò un oppositore della politica castrista. A Lloma de Coches vennero trucidati 1000 prigionieri in pochi giorni; a Santa Clara fucilarono 381 “banditi” in una sola giornata; Luis Boitel, che aveva guidato la rivolta studentesca contro Batista e divenuto poi anticastrista si lasciò morire di fame dopo 53 giorni di digiuno nel carcere di Boniato, dichiarando “Faccio lo sciopero per ottenere i diritti riservati ai prigionieri politici; quegli stessi diritti che voi chiedete per gli altri Paesi dell’America Latina e negate al vostro”.
Ma Cuba, ora che finalmente era stata “pacificata”, non gli bastava più, allora via, verso nuove terre da conquistare alla “libertà ed alla democrazia” (!), finché qualcuno liberò lui (e noi) da questa valle di lacrime il 9 ottobre 1967, a nemmeno 40 anni di età.
Così uno dei più efferati criminali comunisti divenne “el libertador”, una delle più grandi truffe perpetrate dai comunisti, tanto che la sua fama dura ancora, anche se molti ormai lo hanno sgamato per quello che veramente era. Oggi sarebbe considerato nient’altro che un terrorista e ricercato dalle polizie di mezzo mondo.
Ma si sa, si dice che “è gradito agli dei chi muore giovane”, era fotogenico, molto del suo “fascino” lo si deve anche alla bella canzone “Hasta la victoria siempre”, specie nell’interpretazione di Joan Baez, la sua immagine stava assai bene sulle magliette, però ho il sospetto che con quel barbone e i capelli bisunti non si lavasse poi molto, anche perché un guerrigliero non poteva mostrarsi lindo e pinto come una femminuccia e doveva mostrare anche nell’aspetto la propria mascolinità.
Ancora voglia di glorificare un simile personaggio?
Io non molta, anzi per nulla.,
no comment
Il politicamente corretto vorrebbe che dei morti si parlasse bene o, in alternativa, non si parlasse affatto.
Io non ci riesco.
È morto un assassino liberticida.
Amen.
Da sempre idealizzato, è stato il simbolo, assieme al Che Guevara, di un guerriero romantico dell’epoca moderna. In realtà fu tutt’altro: i cubani passarono semplicemente dalla dittatura di Fulgencio Batista a quella comunista del líder maximo, assai peggiore, praticamente come cadere dalla padella nella brace.
Molti dei primi “rivoluzionari”, che lo avevano inizialmente seguito, con il solo pensiero di ripristinare la costituzione sospesa da Batista e di poter tornare ad elezioni democratiche, si dissociarono da lui e divennero suoi oppositori, subendo carcere, torture e spesso la morte. Il regime castrista si dimostrò subito per quello che era: abolita definitivamente la costituzione e, con essa, la possibilità di votare (alle opposizioni rispose arrogantemente “Elezioni? A che serve votare? “), soppresse il diritto di sciopero (“Il sindacato non è un organo rivendicativo”), nazionalizzò forzatamente le campagne dei latifondisti invece di distribuirle tra i contadini, mandando a morte gli oppositori o rinchiudendoli nei campi di rieducazione istituiti da Guevara sul modello dei gulag sovietici. Istituì poi la DSE, una efficiente polizia segreta, tuttora attiva, suddivisa in varie sezioni che controllano tutta la società cubana: arte, sport, membri dell’amministrazione pubblica e del corpo diplomatico, trasporti, economia, comunicazioni (con l’intercettazione di lettere e telefonate) mentre una sezione apposita “indirizza” per bene i turisti affinché credano di trovarsi in un paradiso socialista. Non solo, ma al DEM fa capo una vasta rete di informatori infiltrati sia tra la popolazione civile che nell’esercito, ed una sua branca si occupa dell’eliminazione fisica di avversari particolarmente invisi Castro e da lui personalmente indicati.
I più fortunati finiscono nei campi di rieducazione (gli UMAP) dove sono stati rinchiusi cattolici (ma il Papa queste cose le sapeva?) protestanti, testimoni di Geova, omosessuali, ritenuti di rappresentare potenzialmente un pericolo per la società, dove avvenivano torture con eletttochoc, finte esecuzioni, privazione del sonno.

1998 – In una foto d’archivio del 22 gennaio 1998 Giovanni Paolo II, in visita a Cuba, incontra Fidel Castro all’aeroporto dell’Avana. ANSA / MICHEL GANGNE
Sotto il regime di Batista, illiberale e liberticida anch’esso, Cuba era comunque un’isola ricca, mentre ora il PIL pro capite si aggira sui 4500 dollari annui (tanto per un confronto, in Albania, uno dei più poveri in Europa, il PIL è di 5500 dollari, e pure la Colombia perseguitata da terrorismo e droga, il PIL è di 7500 dollari).
Molti sostenitori di Cuba vantano l’eccellenza del sistema sanitario, ma pure questo è un bluff. Infatti ai medici fu impedito l’espatrio, requisendo loro il passaporto, e molte disfunzioni si sono registrate in vari ospedali: dall’invasione di scarafaggi, alla mancanza di medicinali – finanche l’aspirina!- ed equipaggiamenti medici e di ambulanze, ai black-out, alle liste di attesa lunghissime ed alla burocrazia snervante e corrotta che impedisce cure tempestive.
L’unica cosa che Cuba ha “esportato”, sono i guerriglieri: sempre presenti in nazioni quali l’Angola, il Nicaragua, il Mozambico e l’Etiopia, forse anche nel Salvador, con l’ETA in Spagna e le FARC della Colombia.
Il fatto che Castro abbia intrattenuto rapporti d’affari con Chavez prima e Maduro poi (che ha trasformato il Venezuela ad un paese ridotto alla fame), dovrebbe dare da pensare…
Così come il fatto che per sfuggire al suo regime, migliaia di cubani espatriarono dall’isola a bordo di ogni tipo di imbarcazione cercando rifugio negli Stati Uniti, cosa mai successa con Batista.
Ora la palla è nelle mani del fratello Raul, che da sempre è stato uno zerbino sotto i piedi di Fidel. Non credo che le cose cambieranno molto presto. Io lo spero.
A pensare male…
Abeil Temesgen. Ai più, questo nome non dirà nulla: è quello di un ragazzo eritreo diciassettenne (ammesso che fosse veramente minorenne e non con l’età stabilità dagli esami auxologici), morto qualche giorno fa travolto da un treno alla stazione di Bolzano nel tentativo di raggiungere il fratello residente in Germania. Il fatto è che il ragazzo avrebbe avuto pienamente diritto a questo ricongiungimento, solo che il centro di accoglienza di Messina non glielo ha comunicato.
Mi viene allora il sospetto che questa mancata comunicazione sia dovuta al fatto che il centro non abbia voluto rinunciare alla diaria che percepiva per il giovane, che ammonta al doppio di quanto viene invece elargito per un “profugo” maggiorenne.
A pensare male…
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Inviato dal Veloce promemoria
Vado controcorrente.
Vado controcorrente.
Giornata contro la violenza sulle donne?
Mi sa tanto di atteggiamento “modaiolo”, di comodo.
Inutile la giornata contro la violenza sulle donne come inutile la legge sul femminicidio o i movimenti alla “se non ora quando”.
Parole, null’altro che parole.
Fatti concreti assolutamente nulla.
Perché, un esempio tra tanti, quando leggo di una bestia che innaffia di benzina la sua compagna incinta di otto mesi e le dà fuoco e viene condannato a soli 18 anni di galera, che in realtà diventeranno forse dieci tra sconti di pena ed altro, invece di rinchiuderlo a vita e gettare la chiave, mi sale la rabbia, anzi la carogna.
Tutto deve iniziare invece con l’educazione a casa e l’insegnamento a scuola.
Educare al rispetto della persona, uomo o donna che sia, insegnare a difendersi, insegnare a denunciare gli atti di violenza senza accettarli passivamente, perché non sono simbolo di un amore “malato”, ma solo di sopraffazione. Insegnare a considerare le donne come “persone” e non “cose” da usare a piacimento.
Pretendere il rispetto ed evitare le discriminazioni.
Allora anche questa giornata perderà il suo ipocrita significato di “contentino” istituito solo per pulirsi, un solo giorno all’anno, la coscienza.
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Inviato dal Veloce promemoria
Pioggia
Anche oggi piove, e le previsioni indicano che proseguirà così per tutta la settimana. Una volta trovavo questo tempo piuttosto deprimente, ora guardo Milano con altri occhi, e mi sembra comunque bellissima.
In via Torino sono le tre del pomeriggio, ma ormai sembra quasi sera.
I fari delle auto, i semafori, i fanali stradali, le insegne dei negozi che riflettono le loro luci sul pavé lucido, una folla di ombrelli neri, variopinti, a spicchi nei vari colori dell’arcobaleno;
il profumo delle caldarroste che si mescola all’aroma dei bastoncini d’incenso che emanano dai banchetti dei venditori ambulanti; folle di extracomunitari che vendono parapioggia agli angoli delle strade o all’entrata delle metropolitane. E corso di Porta Ticinese, che ogni volta vedo con gli stessi occhi, ma sempre nuovi, con le sue saracinesche decorate artisticamente e con i manifesti “artigianali” che l’acqua stacca dai muri.
Poi le colonne di San Lorenzo, dove quest’oggi, a causa della pioggia battente, non sosta nessuno a mangiare seduto sui basamenti.
Dal tram, la visione è offuscata dalle gocce e dalla condensa,
ma da sotto il sedile un cane riposa con aria indifferente ed annoiata…
Grigio
Tante sfumature (non 50 🙂 ), dal perla al piombo.
Tipiche giornate milanesi di autunno inoltrato, con l’umido che penetra nelle ossa e lascia la pelle del viso bagnata anche se non sempre piove.
Foschia, quasi nebbia… e Milano è bella anche così.
Contraddizioni
Alfano era a Milano per annunciare con fare tronfio che i reati in questa città sono in diminuzione, snocciolando cifre su cifre. Probabilmente gli accoltellamenti avvenuti gli altri giorni in piazzale Loreto e nel piazzale all’interno del Palazzo Lombardia sono pure casualità, come i 250 furti e le 10 rapine che avvengono ormai quotidianamente, il degrado di Rogoredo, le intimidazioni delle bande dei latinos. Pure il prefetto si accoda a questa tesi, dicendo che non c’è alcuna emergenza.
Se quanto afferma il ministro dell’Interno si dimostrasse vero, ossia che il numero dei reati è diminuito, non vedo la necessità di incrementare il numero dei militari che pattugliano la metropoli per l’operazione “Strade sicure” invece di portare questo numero a 800 addetti, contro i 400 del 2013 o i 650 fino ad oggi, e non vedo nemmeno perché il sindaco Sala abbia richiesto di aumentare il numero dei soldati. Il quale Sala ha dichiarato che la sicurezza “è una priorità della sinistra e alla destra non va lasciato un tema così delicato, una destra che sta festeggiando l’elezione di Trump (eh, non poteva mancare pure questo accenno!) e che gioca sulle paure della gente”.
Peccato che non la pensassero allo stesso modo quando divenne sindaco Pisapia: i militari a Milano, con la giunta Moratti, erano già presenti, e fu proprio Pisapia a volerli allontanare, il Pisapia che voleva che tutta Milano divenisse una grande Via Padova multietnica, quella via Padova che ormai è uno dei posti più pericolosi e meno sicuri.
Però c’è un però: non è che il numero dei reati è diminuito per alcuni semplici motivi? Primo, perché la gente non denuncia più molti reati ritenuti “minori”, anche perché moltissimi sono stati depenalizzati., ad esempio uno scippo è ritenuto, a torto, “microcriminalità”, ma è sempre una violenza contro la persona e contro la proprietà. Secondo: per le strade avvengono meno violenze, ma quanta gente ormai vive praticamente barricata in casa, con sbarre alle finestre, porte blindate e sistemi di allarme? In pratica le persone per bene vivono da recluse, mentre i delinquenti scorrazzano per la città.
A coronamento di questo discorsetto, una considerazione: se la città è così sicura, come si spiega il dispiegamento ingente di forze a protezione del ministro?
La signora dei gatti
È la nostra amica che abita sul lago Maggiore.
Andarla a trovare è sempre un piacere anche se un po’ stressante : bisogna infatti partire prestissimo da Milano per arrivare ad un’ora decente. Ci vuole più tempo per attraversare Milano ed arrivare al casello che percorrere il tratto dal casello al lago con code interminabili di automobili sia in entrata che in uscita dalla città. All’altezza di Rho, nei pressi della fiera dove si è tenuta l’Expo si vede ancora l’albero della vita ormai spento – di luminoso è rimasta solo una lampada rossa sulla cima per farlo vedere ai mezzi aerei – ed il padiglione Italia, unico superstite dei tanti dell’esposizione.
Il tragitto è sempre bello, anche in questa stagione: fabbrichette e capannoni si alternano a boschetti con foglie multicolori e campi, dove erba ancora verde risalta meglio dato il grigiore del cielo. All’andata percorriamo sempre l’autostrada fino al casello di Vergiate, poi c’è la provinciale che costeggia paesini della provincia varesina, fino ad arrivare al lago, la “costa magra”, in contrapposizione alla costa occidentale (quella di Arona, Stresa, delle Isole Borromee) chiamata invece la “costa ricca” . E là il lago appare velato da una fitta foschia che fa appena intravvedere la sponda opposta. Da Laveno a Porto il tragitto è breve, poi bisogna inoltrarsi in una viuzza sterrata che si intravede a malapena e, dopo un ponticello, ecco la villetta della nostra amica. Potrebbe quasi definirsi un eremo, tanto è nascosta alla vista, ed io sinceramente da sola non ci vivrei.
Là lei si è ritirata dopo aver lavorato molti anni tra Bolzano, Innsbruck, Monaco di Baviera, e da Bolzano si era portata i suoi primi tre gatti, Pulce (una gattina nera), Cino (diminutivo di Guercino, così chiamato in quanto sembrava orbo di un occhio che invece era perfettamente guarito) e Bettina. Mano a mano i gatti originari sono stati sostituiti da altri: ora sono ben sei (tre hanno rifiutato di farsi riprendere) e la casa praticamente è a loro completa disposizione, come il vasto giardino che ha davanti.
(N.B.le foto sono state fatte questa primavera, tranne l’ultima)
Purtroppo l’ora di lasciarci arriva sempre troppo presto: di questa stagione poi è anche peggio perché il buio arriva fin troppo presto. Al ritorno invece da Gemonio percorriamo la Varesina, abbastanza trafficata, ma sempre più scorrevole della strada che percorriamo all’andata, fino ad imboccare l’autostrada. Il brutto è quando si arriva a Milano: è un’ora di punta, quando molti pendolari rientrano dal lavoro e le strade, specie quelle cittadine, sono intasate. In quei momenti, meglio non rivolgere proprio la parola all’autista 🙂 che è davvero nervosetto, nonostante la sua perizia alla guida. La parte più suggestiva è naturalmente la zona dei nuovo grattacieli: la guglia Unicredit è sempre illuminata, le finestre del diamantone brillano, così come le altre torri…un vero spettacolo.
Porta Venezia
Immagine da internet
La nostra zona di riferimento, per quanto si giri per tutta la città, è pur sempre quella di Porta Venezia, anche perché è facilmente raggiungibile sia con la metropolitana (la Rossa 1) che con varie linee tramviarie.
Porta Venezia, una volta chiamata porta Orientale, fu costruita tra il 1827 ed il 1828 come porta daziaria, ed i due caselli che ancora sussistono lo stanno a dimostrare. Collega corso Buones Aires, il corso dello shopping, a corso Venezia, dove c’è la “Milano di Stendhal”, ossia la parte settecentesca della città, con i suoi bellissimi palazzi, mentre ai lati della parte finale di Buones Aires si trova un quartiere multietnico, con locali con cucina eritrea, cinese, brasiliana, indiana e così via… Da qualche anno inoltre la zona è stata rivalutata, quindi è uno dei quartieri di tendenza della città, anche per via della sua posizione, abbastanza centrale.
Piazza Oberdan, via Felice Casati, viale Tunisia, via Lazzaretto, i Bastioni con i giardini, via Vittorio Veneto, via Panfilo Castaldi, via San Gregorio, queste sono le vie che più frequentiamo
In questa zona c’è il ristorante del nostro amico Roby, con tutta la sua bella famiglia, il banco libri del nostro amico Giuseppe, la videoteca Bloodbuster, ma il luogo che più mi piace è il Libraccio: ti accoglie con i suoi alti scaffali pieni di libri, e la prima cosa che si avverte è l’odore della carta.
Già, perché al Libraccio non vendono solo libri nuovi, ma anche usati, e lì, come dal nostro amico Stefano di piazzale Baracca, ne ho trovati molti ormai introvabili tramite i normali canali di vendita, inclusa Amazon. Oltre ai libri, c’è anche un piccolo reparto dedicato ai CD ed ai DVD, ed oggi abbiamo avuto un piccolo colpo di fortuna. Tutta la serie originale de “Ai confini della realtà”, quella degli anni dal 1959 al 1964, incluso un cofanetto con gli speciali. Sono un’amante di queste serie quindi, anche se la spesa è stata abbastanza rilevante (350 euro), l’ho comperata senza battere ciglio.
Del resto ho sempre detto che per me lo shopping a Milano non è acquistare vestiti, scarpe od altri oggetti di vestiario, ma cercare di scovare qualcosa che nella mia piccola città di provincia è praticamente irreperibile.
Quindi, con lo stomaco pieno (per il pranzo da Roby) ed il portafoglio vuoto (per l’acquisto al Libraccio), sono ritornata a casa con il mio tram preferito.
Milano romana
Milano conserva anche molti reperti dell’epoca romana. Non hanno certo la rilevanza del Colosseo o del Foro romano, sono comunque testimonianza di un’epoca storica ben definita.
Una delle vie più nascoste della città, via Brisa, poco distante da un locale dove un tempo andavamo spesso a pranzare, il Matarèl, conserva alcuni reperti davvero interessanti: là sorgeva l’antico palazzo imperiale di Milano, costruito da Massimiano quando fece di Mediolanum la capitale dell’Impero romano d’Occidente. Mediolanum restò capitale dal 286 fino all’anno 402 d.C., quando il suo posto venne preso da Ravenna.
(veduta aerea da Google Street viev)
In quel periodo la città di Milano venne notevolmente ampliata, anche per consentire l’esercizio di tutte le funzioni sia militari che amministrative dell’Impero, ed a questo scopo il palazzo del quale purtroppo restano poche rovine si prestava benissimo: era infatti dotato sia di un tempio per il culto, di terme con annessi calidarium e tepidarium, di uffici per le incombenze amministrative ed un circo per i giochi, la cui torre è stata riconvertita nella torre campanaria del convento di San Maurizio.
Oggi lo si potrebbe chiamare “complesso multifunzionale”.
Le rovine sono al di sotto del piano stradale: mattoni pieni color ocra rosseggiano tra l’erba verde, dove alcuni gatti passeggiano tranquillamente o sonnecchiano sui resti delle mura. La zona è stata ben valorizzata con un piccolo parco con piante verdi, vialetti, alcune panchine, il tutto naturalmente rigorosamente pedonale. Del resto la via è piuttosto corta, e si dirama da corso Magenta e proseguendo poi per via Moriggi, (o Morigi, secondo altre fonti) dove di trova l’antica taverna omonima (ci abbiamo mangiato parecchio tempo fa), lungo la quale, nell’androne di un condominio si può ammirare un grosso frammento di un pavimento a mosaico.
(Immagine da internet)
Molte altre vestigia sono disseminate per la città. Se avrò il tempo di visitarle, mi piacerebbe raccontarne la storia.
Noterella
Allora…
1 – Trump, il repubblicano guerrafondaio.
Ricordo una cosa: le peggiori guerre le hanno fatte i democratici.
Truman… ordinò di sganciare le atomiche, anche se con quelle si risparmiarono altri morti. Dicono comunque che il Giappone stesse per arrendersi. Non so quanto sia vero, però resta il fatto che a Hiroshima e Nagasaki morirono moltissimi civili inermi.
Poi la guerra di Corea, nella quale venne fatto uso di Napalm
Kennedy… per un pelo non scatenò un conflitto mondiale con i missili di Cuba, crisi nella quale Krusciov si dimostrò più accomodante degli americani (anche perché disponeva di forze notevolmente inferiori); poi iniziò la guerra in Vietnam, continuata dal democratico Johnson e che fu poi terminata dal repubblicano Nixon, tanto denigrato ed esecrato.
Obama… beh, ormai lo sanno tutti quanto il premio Nobel per la pace (?)abbia destabilizzato il medioriente: le primavere arabe, con l’intero nord Africa nel caos più completo. La Libia è stata il caso esemplare: dando il suo appoggio alla Francia ed alla Gran Bretagna, Obama disse che “uccidere Gheddafi significa stare dalla “parte giusta” della storia”. Trucidato il dittatore che fungeva da collante tra le varie fazioni, il paese è finito nell’inferno delle divisioni tribali. In Ucraina Obama ha fomentato la rivolta ucraina contro la Russia, scatenando una guerra civile. In Siria ha appoggiato contro Assad i ribelli “moderati”, che poi tanto moderati non si sono dimostrati, dietro ai quali si nascondono gruppi estremisti finanziati sia dalla Turchia che dalle monarchie dei paesi petroliferi, da sempre partners degli americani. Gli USA, tanto amanti della libertà e della democrazia, non hanno mosso ciglio per aiutare lo Yemen, per non disturbare gli amici sauditi.
2 – Trump razzista che vuole il muro tra Stati Uniti e Messico
Ma il muro è stato già costruito dal democraticissimo Clinton, anche se non continuo, è lungo mille chilometri (!) alto tra i due ed i quattro metri, dotato di illuminazione ad altissima intensità, di una rete di sensori elettronici e di strumentazione per la visione notturna, connessi via radio alla polizia di frontiera statunitense, oltre ad un sistema di vigilanza permanente, effettuato con veicoli ed elicotteri armati. Già, ma Clinton il democratico lo ha potuto fare senza scatenare dissensi, Trump il repubblicano invece è un reprobo razzista.
Acqua
Adoro l’acqua, fin da quando, ancora piccina, sguazzavo nella tinozza di zinco dove mi facevano il bagno.
Non parliamo poi di quando ho imparato a nuotare e dovevano tirarmi fuori a forza dalla piscina (non mi è mai piaciuto invece nuotare al mare).
Inoltre amo indistintamente laghi, fiumi, torrenti.
A Milano quindi è sempre d’obbligo una passeggiata lungo i Navigli. Il Grande è il più conosciuto ed è il più caratteristico, perciò è anche quello maggiormente visitato dai turisti, anche per le sue botteghe ed ateliers artistici che lo fiancheggiano. Però proprio poco distante dalla nostra abitazione c’è la Martesana, un naviglio molto particolare e dall’aspetto piuttosto romantico anche perché non è diritto e largo come il Grande ed il Pavese: sembra piuttosto un fiumiciattolo tranquillo.
Oggi, vista la bella giornata, abbiamo fatto una lunga passeggiata nella parte inferiore, quella che da Viale Monza (all’altezza dello Zelig) arriva fino a via Melchiorre Gioia.
All’inizio la Martesana è fiancheggiata da casette basse che si affacciano sul naviglio, specchiandosi nelle acque lisce, appena increspate dal nuoto delle anatre e da un’altra specie di uccelli che non sono riuscita a riconoscere: piumaggio nero con coda e crestina bianca (i maschi) o grigio piombo (le femmine) col becco color arancio, zampe piuttosto lunghe di un colore tra il verde ed il giallo fluo, una specie che sta tra la folaga ed il pollo sultano, almeno credo, purtroppo lontane per essere fotografate: magari qualcuno avrebbe potuto darmi qualche informazione al riguardo.
Nell’acqua si specchiano cespugli ed alberi, dai quali filtra la luce del sole con strani giochi.
Si passa sotto i ponti della ferrovia, adornati (?) da graffiti strani, ogni tanto, piccoli giardinetti ed orticelli trascurati, con scalette che scendono fino a pelo dell’acqua.
Nei pressi della Melchiorre Gioia, le casette lasciano il posto a condomini, mentre in lontananza si scorge il grattacielo della Regione Lombardia. L’ultima a riflettersi nella Martesana, è una fabbrichetta gialla un po’ scrostata
…ed è subito città, con il traffico, la gente, i rumori.
Quelli che non sanno perdere.
L’elezione di Trump ha scatenato una vera rivoluzione. Una parte dei democratici (?) che non l’ha votato è scesa in piazza inscenando manifestazioni più o meno violente, più o meno volgari (c’è chi si è fatta riprendere senza slip in un filmato dove in segno di spregio defeca su un foglio di giornale, questo per protestare contro un presidente “rozzo, volgare e impresentabile ” 😨).
Poi ci si mettono i sondaggisti che asseriscono che il tycoon sia stato votato da una maggioranza di vecchi poco acculturati, frase già sentita in occasione del referendum per il Brexit, come se tutti gli anziani siano rincoglioniti (mi scuso per il francesismo ☺). Dalle elezioni di Obama ovviamente tutti sono invecchiati di 4 o 8 anni, ma non credo che i diplomi o le lauree dei votanti abbiano perso di validità, anche perché Hillary ha preso moltissimi voti in meno di Obama.
Ho letto le statistiche più assurde, una delle quali affermava che se avessero votato solo i nati dopo il 1982 (chissà perché proprio quell’anno) la Clinton avrebbe vinto a man bassa, al che qualcuno ironicamente aveva replicato che se avessero votato solo i bimbi fino ai 4 anni il nuovo presidente sarebbe stato Peppa Pig 😅 .
Noti volti del cinema e della canzone si stracciano le vesti, ed ora aspetto solo che mantengano le promesse fatte durante la campagna elettorale, chi di recarsi in Canada, chi in Messico, chi addirittura di cambiare pianeta. Tutta gente che si professa pacifista, ma che non ha avuto remore ad appoggiare chi ha sempre sostenuto l’interventismo americano con l’uso della forza.
Quelli che odiano Trump perché è ricco, ma forse non sanno che i Clinton hanno speso 3 milioni di dollari per il matrimonio della figlia, probabilmente attingendo alla cassa della fondazione da loro creata.
Infine ci si mette pure Hillary Clinton che incolpa il direttore dell’FBI per sua débacle, ma non considera che è il suo programma elettorale ad essere stato bocciato.
Le più ridicole sono quelle che hanno promosso tramite Facebook la “marcia di un milione di donne ” per contestare Trump ed i suoi trascorsi sessisti, ma che non hanno speso una parola né per Bill Clinton (beh, è passato parecchio tempo dalle sue “marachelle” nello studio ovale) né per Anthony Weiner, marito della “consigliera “di Hillary, Huma Abedin, coinvolto in vari scandali sessuali con giovani ragazze.
Evidentemente qualcuno non ha ben chiaro il significato della parola “democratico” che sbandierano nel nome del loro partito.
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Inviato dal Veloce promemoria
Io
Quella donna dal viso indifeso
un poco sfiorita –
che passa nello specchio
in una scolorita veste rossa,
senza fruscio, di fretta,
rialzando sul capo i capelli
con mano distratta:
quella donna dall’anima dimessa
dicono che son io.
(Fernanda Romagnoli)
Hallelujah
Forse uno dei ricordi più particolari di Leonard Cohen e del suo brano più celebre lo ha scritto Eugenio Cau, su “il Foglio”. Eccolo qui di seguito .
La storia di Hallelujah
E’ stato il suo brano più travagliato. Leonard Cohen non azzeccò né la prima né la seconda versione della sua canzone più iconica. Ma poi Hallelujah è diventata un inno, una consolazione e una preghiera, ed è stata cantata da tutti, proprio tutti.
La prima versione che Leonard Cohen compose di Hallelujah, la sua più grande e celebre ed emozionante canzone, faceva schifo. Forse schifo è una parola eccessiva, e attribuirla a Leonard Cohen, morto il 7 novembre a 82 anni, è un sacrilegio imperdonabile. Ma ecco, Leonard Cohen non azzeccò né la prima né la seconda versione della sua canzone più iconica. Hallelujah è diventata un inno, una consolazione e una preghiera, ed è stata cantata da tutti, proprio tutti, da Bob Dylan agli U2. E’ diventata la colonna sonora di infiniti film e cartoni animati, è il jingle di centinaia di pubblicità, è cantata nei karaoke, nei bis dei concerti tenuti nei seminterrati vuoti e negli stadi davanti a migliaia di persone. Tutti conoscono Hallelujah, tutti hanno canticchiato Hallelujah almeno una volta nella loro vita.
Ma Hallelujah è stata la canzone che più ha tormentato Cohen nel corso della sua carriera – e chi conosce l’opera di Cohen sa che il cantautore canadese era abituato ai tormenti. La storia del brano è tanto complessa e interessante e rappresentativa della carriera di Cohen che il musicologo Alan Light le ha dedicato un intero libro, “The Holy Or the Broken”, uscito nel 2012. Più di recente, il giornalista e intellettuale Malcom Gladwell ha dedicato ad Hallelujah una puntata del suo podcast “Revisionist History”, intervistando Light.
Il primo aneddoto meraviglioso riguardo ad Hallelujah è che il primo scopritore e fan della canzone fu Bob Dylan. Cohen e Dylan hanno sempre avuto un’ammirazione strisciante l’uno per l’altro, e quando finalmente si incontrarono, negli anni Ottanta, il cantautore americano disse al canadese che Hallelujah era uno dei suoi pezzi preferiti. Quanto tempo hai impiegato a scriverla?, chiese. Cohen rispose: due anni, ma era una bugia. Cohen ha impiegato molto più tempo a scrivere Hallelujah, e Light stima che abbia composto almeno 50-70 versioni diverse. L’aneddoto continua così: Cohen chiese a Dylan quanto tempo avesse impiegato a scrivere la canzone I and I, dall’album “Infidels”. Dylan rispose: quindici minuti. Entrambi avevano talenti sconfinati, ma agli antipodi per modalità di espressione.
Cohen aveva passato cinque anni a scrivere Hallelujah, e parlerà in seguito di nottate intere trascorse sveglio, in mutande nella sua camera d’albergo, a sbattere la fronte sul pavimento perché non riusciva a risolvere il mistero di quella canzone. Alla fine, Cohen la registrò nel 1984, nell’album “Various Positions”, che fu però era un tale disastro da venire rifiutato dalla sua casa discografica, Cbs Records. Fu pubblicato da un’etichetta indipendente e fu un fiasco. E anche Hallelujah, appunto, faceva un po’ schifo:
Ma Cohen è un genio riflessivo. Quella canzone lo ossessionava, e lui continuerà a rimaneggiarla, a cambiare ritmi e timbri e fraseggi, e a ogni data del suo tour ne porterà sul palco una versione diversa, fino ad allungarla abnormemente, come in questo live del 1988, in cui Hallelujah è quasi il doppio dell’originale:
Una sera, tra il pubblico di uno dei concerti di Cohen c’è anche John Cale. Cale è una leggenda musicale alla pari di Cohen. Negli anni Sessanta fondò insieme a Lou Reed i Velvet Underground, e senza di lui la musica rock come la conosciamo adesso non esisterebbe. Quando sente Hallelujah, seppure nella sua versione lunga e lagnosa, Cale rimane abbagliato. E’ uno dei più grandi geni della musica del Novecento, e in quanto tale capisce – come lo capiva anche Cohen, che pure non riusciva a risolvere il mistero – che Hallelujah è un capolavoro. Alla fine del concerto, Cale chiede all’artista canadese di mandargli il testo della canzone per farne una cover. Cohen gli manderà quindici pagine di testi e appunti, il risultato di anni di rovelli irrisolti. Sarà Cale a prendere parte di quel romanzo che ormai era diventato Hallelujah, a scegliere, a detta sua, le parti più “sfacciate” del testo, a ricombinarle e a riportare alla luce i riferimenti biblici che Cohen aveva scartato negli anni. Cale cambierà perfino alcune parole, e il risultato è una canzone vicinissima alla Hallelujah che conosciamo, praticamente già perfetta. E’ stato John Cale, scrive Alan Light, a risolvere il mistero di Hallelujah:
Ma anche questa versione non ottiene un grande successo. Fu registrata all’interno di un album di cover di Cohen dato in allegato a un magazine francese. L’album, che si chiamava “I’m your fan” e uscì nel 1991, non fu acquistato quasi da nessuno. Ma tra i pochi che lo comprarono (oltre a Malcom Gladwell, che ne parla nel suo podcast) ci fu una ragazza di Brooklyn di nome Janine. In quel periodo, Janine ospitava nel suo appartamento uno sconosciuto cantante di nome Jeff Buckley, con la faccia da surfista e la voce d’angelo. Jeff è figlio di Tim Buckley, il quale è anche lui una leggenda del rock (in questa storia si sprecano), un cantante sperimentale morto troppo giovane di overdose nel 1975. Un giorno Jeff vede “I’m your fan” in casa di Janine, lo ascolta e sente Hallelujah cantata da John Cale. Decide di farne una sua cover. La suona in un bar microscopico dell’East Village, dove per puro caso si trovava anche un dirigente della Columbia. Tempo pochi giorni e Jeff Buckley ha già firmato un contratto per il suo primo e unico album registrato in studio. “Grace”, uscito nel 1994, contiene anche l’arrangiamento di Hallelujah suonato da Jeff. E’ la sua versione definitiva e non è davvero una cover della canzone di Leonard Cohen. E’ una cover della cover di John Cale. Tutte le Hallelujah che verranno dopo, ha notato Gladwell, saranno cover della cover di Jeff Buckley della cover di John Cale.
Ma intorno ad Hallelujah c’è come una maledizione. Nel 1994, quando escono “Grace” e la sua versione miracolosa di Hallelujah, nessuno se ne accorge. L’album è un flop commerciale, la canzone non gira sulle radio, e sembra che la vena sotterranea che ha portato il brano di artista in artista si sia esaurita. Passano tre anni e ancora nessuno la conosce. E’ il 1997 quando un evento tragico cambia tutto. Jeff Buckley è inghiottito dalle acque di uno dei canali del Mississippi, a Memphis, mentre fa un bagno. Buckley svanisce, nessuno troverà il suo corpo, ma la commozione intorno alla sua morte prematura è così grande in America da generare un successo tardivo. Il pubblico e la critica riscoprono Buckley, riscoprono “Grace” e, infine, riscoprono Hallelujah. Le prime colonne sonore, le prime cover, appariranno all’inizio del millennio, oltre quindici anni dopo la pubblicazione della prima versione della canzone in “Various Positions”.
Oggi Hallelujah è una delle canzoni più abusate della storia. Il New York Times ha contato che almeno 200 artisti di fama hanno voluto produrre una loro cover della canzone, e di recente ha pubblicato un articolo in cui spiega, con video e argomentazioni, che la cultura pop ha ormai logorato il capolavoro di Cohen. Su Salon, nel 2012, David Daley chiese una “moratoria” contro l’“abuso criminale” di Hallelujah, ma prima ancora fu lo stesso Cohen, nel 2009, a chiedere di porre fine alla continua produzione di nuove cover: “Penso che sia una buona canzone, ma troppe persone la cantano”.
Ma Hallelujah rimane una testimonianza della qualità del genio di Leonard Cohen. Non solo perché è una canzone grandissima, ma perché tutta la sua opera è stata così, tormentata e riscritta e generosa. Come per Hallelujah, il successo per Cohen è arrivato in ritardo, a 33 anni, e alcune delle sue più grandi canzoni, da Suzanne a Bird on a Wire, furono rese note al grande pubblico inizialmente dalle cover di altri artisti celebri. E perfino Hallelujah, che oggi è considerata una preghiera lacrimevole, può essere ascoltata con orecchie nuove. In una dichiarazione celebre, Jeff Buckley disse che evidentemente la canzone riguardava “l’hallelujah dell’orgasmo”.
L’uomo dal cappello nero
Poche righe scarne per annunciare che uno dei miei cantanti preferiti è morto.
Inconfondibile, con quella sua voce profonda ed un po’ rauca e con il suo cappello nero in testa, elegantissimo, con i testi delle sue canzoni che erano davvero delle poesie messe in musica, se ne è andato in silenzio. Nessuno sa la causa della morte, anche se ormai l’età era avanzata (82 anni).
Per sua stessa ammissione disse di non aver mai detto “ti amo” a nessuna donna, però trovò una certa sicurezza e tranquillità prima accanto a Marianne,
poi a Suzanne, il suo punto fermo durante le crisi depressive che lo portarono anche a fare uso di droga.
Ebreo, era sempre alla ricerca della spiritualità avvicinandosi anche al buddismo, e la riprova è anche nella canzone “Hallelujah”.
Riposa in pace, Leonard, quella pace che hai sempre cercato… sei stato un punto importante per me.
“Mi dici che il silenzio è più vicino alla pace delle poesie, ma se in dono ti portassi il silenzio (perché io conosco il silenzio) diresti allora: ‘Questo non è silenzio, è un’altra poesia’, e me lo restituiresti”
Le spezie della terra, Leonard Cohen
Un grande personaggio
Le elezioni del Presidente USA hanno messo un po’ in ombra la notizia della morte di Umberto Veronesi.
Noi donne dovremmo solo ringraziarlo per i suoi studi, che hanno permesso di operare i tumori al seno con la quadrantectomia, ossia l’asportazione solo di una piccola parte della mammella, con una terapia conservativa che consente migliori risultati estetici e conseguentemente minori risvolti psicologici.
Molti lo hanno avversato ritenendolo ammanicato con le case farmaceutiche, stessa accusa rivolta a Rita Levi Montalcini, accuse di persone altamente incompetenti, (tra le quali un noto comico prestato alla politica), che pretendono di curare il cancro con metodi alquanto discutibili, quali omeopatia, bicarbonato, infusi vari. Questi “esperti” che giudicano pesantemente ricercatori, scienziati e medici ma non spendono una parola su chi, con false promesse e teorie fasulle, specula sulla sofferenza altrui.
Gente che indirettamente è anche la causa della morte di vari ammalati che si affidano alla pseudoscienza di ciarlatani.
Gente che farebbe meglio solo a tenere la bocca chiusa ed a levarsi il cappello davanti a chi cerca solo di fare del bene.
Da parte mia, solo un “Grazie, dottore”.
Election day
La notte appena passata è stata quella delle elezioni americane.
Molti, anche in Italia, si sono sorbiti la maratona in diretta, io invece sono andata pacificamente a dormire perché non avrei comunque potuto cambiare nulla e poi ero certa che a prevalere sarebbe stata Hillary Clinton.
Questa mattina invece la lieta sorpresa: acceso alle 7 lo smartphone (non la tv, in quanto io marito dormiva ancora) ho visto che Trump era in vantaggio e mano a mano il distacco dall’avversaria andava aumentando sempre più, fino alla vittoria finale.
Trump ha molti difetti : poco educato, per nulla raffinato, scorretto, vanaglorioso, ma con lui non dobbiamo certo recarci a pranzo o a teatro.
Una cosa è certa: lui con Putin cercherà un dialogo, non certo lo scontro, mentre consoliderà l’accordo con Putin ed Assad per quanto concerne la lotta al Califfato, cesserà la politica di ingerenza negli affari interni degli altri paesi – vedi le primavere arabe e le destabilizzazioni in Libia e nei Balcani il cui risultato stiamo ancora pagando – politica perseguita da Bill Clinton e dal premio Nobel per la pace (!) Barak Obama.
Inoltre vuole rivedere “l’amicizia” tra USA ed i sauditi (grandi finanziatori di Hillary) che non godono delle sue simpatie, come le multinazionali e banche, che unitamente alle grandi lobbies sostenevano la Clinton.
Ha vinto l’ uomo che, nella maniera forse più evidente e plateale, rappresenta il simbolo della volontà di rottura del sistema costruito dall’America stessa che però ora si sta ritorcendo contro gli americani stessi.
Nell’America sull’orlo dell’implosione, ha vinto la parte più sana, quella che crede, a torto o a ragione, di essere l’anima migliore del mondo ma ritiene anche di non doverlo dimostrare al mondo con la forza, diversamente dai democratici, grandi “esportatori” di democrazia, con le conseguenze che ben conosciamo.
E in fin dei conti è questa l’America che ci piace, quella che ci dice: “Noi siamo i migliori, ma non veniamo a rompervi le scatole per farvelo capire”.
Trump sarà chiamato a mantenere quelle promesse che tutto il mondo aspetta; ridimensionare la NATO, la CIA, NSA, tutti quegli strumenti con i quali l’America si è assunta il compito di costruire il grande ordine mondiale, facendosi odiare ormai praticamente da quasi tutti.
Questa è la parte più difficile di tutte perché significa ridimensionare tutte quelle lobbies che hanno costruito le fortune degli USA e il loro sostanziale dominio sul mondo.
Trump ha vinto contro tutte le previsioni, e molto probabilmente aveva ragione quando esternava che i sondaggi erano truccati, pronostici probabilmente indirizzati a convincere gli indecisi. Lui con le sue parole, nei suoi comizi, nei confronti diretti con la Clinton ha comunque saputo convincere la gente, quella gente stufa di essere presa per i fondelli e riempita di menzogne, stanca di essere accusata di xenofobia, razzismo, islamofobia e quant’altro.
La gente (“sporchi populisti” secondi i soliti radical-chic) che vuole risposte ai problemi concreti che vive sulla sua pelle ogni giorno, quindi la ribellione contro le élites non è la causa del problema, bensì l’effetto. Le ondate migratorie hanno rafforzato la ricerca dell’identità nazionale e la risposta è stata anche il massiccio voto a favore del candidato repubblicano.
È pure stanca dello pseudofemminismo della Clinton che mostrava a tutti il fuscello nell’occhio di Trump e non la trave che aveva nel suo e che tutti ben ricordavano, tanto che moltissime donne non l’hanno votata.
Poi bisogna considerare non quanto Trump abbia vinto ma quanto Hillary invece abbia perso, nonostante la massiccia presenza di personaggi dello star system che la sosteneva. Sembrava che la candidata democratica avesse già la vittoria in tasca, poi però si è presentata parlando con il linguaggio del potere, dell’establishment, delle lobbies che la sostenevano (e le lobbies, si sa, se ti appoggiano vogliono poi una contropartita).
Questo alla gente comune, agli “sporchi populisti” che non capiscono nulla, non è andato giù, quella gente che era stanca dopo il mandato fallimentare di Obama (mi chiedo ancora come abbiano fatto a rieleggerlo la seconda volta), stanca del politicamente corretto, stanca della recessione economica.
Non so se Trump manterrà o no le promesse, ma se Trump sarà davvero Trump, se farà davvero Trump, ci aspettano grandi cambiamenti, non solo in America, ma nel mondo intero.
Nel frattempo, God bless America (e pure noi).
O mia bèla Madonina…
E da ieri, eccoci nuovamente a Milano.
Questa volta speriamo bene, senza dolori per mio marito (a forza di terapie laser ora ha uno sguardo che trapassa i muri 🙂 ) e senza raffreddori o, peggio, influenze varie.
Naturalmente abbiamo fatto tutto il viaggio con la pioggia battente, così come lo scarico dei bagagli, piuttosto voluminosi perché in valigia abbiamo messo maglioni ed indumenti pesanti, ma oggi ci siamo svegliati con un sole splendido ed un cielo interamente sgombro da nuvole. Sarà un soggiorno spero piuttosto lungo, interrotto solo da una rapida scappata a Bolzano per il referendum per poi rientrare in giornata. Quindi tra ieri ed oggi le solite incombenze, solito giretto, solita verifica della connessione, solito saluto alla portinaia… e da domani si ricomincia a girare.
Beh, qualcosa doveva pure andare storto…la pila del mouse wireless è scarica ed in casa non ne ho una di riserva, quindi devo usare quello con il filo (con il touchpad non mi sono mai trovata bene…).
Cosa ne pensate?