Monza – 1^ parte – Villa reale
In circa 25 anni che frequento Milano, a Monza ci eravamo stati ben poche volte, più che altro per frequentare l’autodromo e per un ristorante che piaceva molto ad alcuni parenti.
Finalmente (ed è passato fin troppo tempo), abbiamo deciso di visitare la villa Reale, anche perché in questo periodo ospitava la mostra fotografica di Steve McCurry, un artista molto apprezzato (quello della famosissima copertina di National Geografic con la ragazzina afgana).
La villa ci ha lasciato davvero senza parole. Peccato che non fosse possibile fotografare le stanze in quanto, come ci ha spiegato la guida, molte erano ancora prive degli arredi originali, andati dispersi tra i vari palazzi dei Savoia, primo fra tutti il Quirinale, dopo l’assassinio di Umberto I, quando sia il nuovo Re Vittorio Emanuele III che la vedova, regina Margherita, decisero di non abitare più in quelle stanze, ma fecero comunque trasferire altrove suppellettili ed arredi vari.
Intanto alcuni cenni storici.
La villa venne fatta costruire in soli tre anni, dal 1777 al 1780 dall’imperatrice Maria Teresa d’Austria perché divenisse la residenza estiva del figlio Ferdinando d’Asburgo governatore generale della Lombardia. Fu scelto quel luogo sia per la salubrità della zona, che ospitava già altre ville nobiliari che per l’ubicazione, sulla direttrice che collegava Milano a Vienna.
Inizialmente furono stanziati 70mila zecchini d’oro per la realizzazione, somma che lievitò poi di ulteriori 30/35mila per lo sfarzo della costruzione e degli arredi in essa contenuti.
L’architetto incaricato dell’esecuzione del progetto fu Giuseppe Piermarini, già allievo di Vanvitelli che aveva progettato la reggia di Caserta, cui si ispirò. Nello stesso periodo lavorò anche alla costruzione della Scala di Milano e di palazzo Belgioioso. La villa, in stile neoclassico, ha la pianta ad U: un corpo centrale molto imponente con due ali laterali per alloggiare le stanze padronali e quelle degli ospiti, mentre perpendicolarmente ad esse ci sono altre due sezioni per alloggiare le stalle e la servitù. In totale si contano circa settecento stanze. Con l’avvento di Napoleone, la residenza venne abitata dal 1805 dal figliastro dell’Imperatore, Eugenio di Beauharnais, ma con la nuova caduta dell’imperatore, la villa fu quasi abbandonata, finché il viceré del Lombardo-Veneto, Massimiliano d’Asburgo, non ne prese possesso nel 1857. Con l’avvento del Regno d’Italia (1861), la proprietà passò allora alla dinastia Savoia, e nel 1868 il re Vittorio Emanuele II la donò al figlio Umberto ed alla regina Margherita quale regalo di nozze.
Le stanze, anche se parzialmente prive degli arredi, sono davvero magnifiche. La prima che abbiamo visitato, era la stanza del biliardo: di questo purtroppo non c’era traccia, ma era comunque arredata con numerosi tavolini da gioco intarsiati nello stile “Maggiolini”, dove i reali ed i loro ospiti si dilettavano a giocare a carte.
Seguivano poi le stanze riservate alla regina Margherita: quella dove era solita riposare, sola o in compagnia delle dame, con un trumeau, alcune poltrone ed una chaise-longue dove era solita ritirarsi a leggere.
Subito dopo, la stanza da letto, ma priva appunto del letto, anche se si è in procinto di situarne uno molto simile a quello da lei usato. Confinante con questo, le stanze da bagno: un minuscolo gabinetto e poi, in un breve corridoio, la vasca (piccola ed a livello del pavimento) tutta di marmo.
Il pavimento era arricchito da due intarsi, uno lasciato in loco e l’altro sollevato, appeso ed incorniciato, opera di Maggiolini, davvero pregevoli. Quindi la stanza che ospitava il guardaroba.
Purtroppo della ventina di armadi che contenevano i vestiti della regina, ne restavano solo un paio (per giunta in un ‘altra stanza): a dimostrazione di quante ante ci fossero, restavano solo le borchie che fissavano gli armadi al pavimento.
Poi la stanza in cui il re Umberto riceveva: un seggio simile ad un trono, poltrone varie, un busto, ritratti e fotografie del sovrano apposte alle pareti e l’enorme libro contenente le firme di quanti avevano presenziato alle nozze.
Quindi gli appartamenti del re: la sua stanza da letto composta da due sezioni delimitate da alte colonne: nella prima, un piccolo vestibolo, il bagno (anche questo in marmo a livello del pavimento) ed un gabinetto, poi quella che ospitava il letto rivestito da biancheria celeste, con un paio di poltroncine in tinta.
Subito dopo gli armadi con il guardaroba, con una particolarità: nell’ultima anta era celata una scala che permetteva al sovrano di uscire indisturbato. Dopo il guardaroba c’è l’armeria: tutta una serie di armadi con rastrelliere dove re Umberto, appassionato cacciatore, conservava i suoi fucili: nel parco della villa venivano fatte tante di quelle battute di caccia che agli ospiti erano offerte pietanze a base di cacciagione anche alla mattina per colazione.
La serie delle stanze si chiude con una imponente biblioteca: un tavolinetto di vetro separava le due sezioni, riservate rispettivamente al re ed alla regina. Negli scaffali purtroppo non sono più conservati libri, ma al loro posto fanno bella mostra numerosi e bellissimi servizi di porcellana della fabbrica tedesca Meissen.
Si passa poi al maestoso salone da ballo, l’unico a doppia altezza. Solo la pavimentazione in pietre pregiate assorbì buona parte degli stanziamenti per la costruzione. In alto, una piccola loggia accoglieva gli orchestrali che non dovevano essere in contatto con la nobiltà. Lampadari di cristallo illuminavano la stanza, le pareti erano decorate con dei trompe- l’oeil raffiguranti putti e colonne, opere del pittore Giuliano Traballesi, mentre il soffitto, decorato con affreschi, presenta una particolarità: il Piermarini, per documentare che quella era opera sua, in un riquadro aveva fatto dipingere la pianta della villa con la sua firma.
Le immagini sono state tratte da internet, vista l’impossibilità di scattare fotografie come spiegato sopra.
Lui
Lui non era in grado di percepire l’illegittimità degli atti che autorizzava non essendo un addetto ai lavori: assolto!
Cavolo, informati prima, o firmi a scatola chiusa? O fai lo stesso anche con un qualsiasi contratto che ti riguardi?
Poi la legge , si dice, non ammette ignoranza. Lui può permettersi di ignorare, gli altri no.
Ed in queste mani abbiamo (?) messo il paese.
Abbiamo? Ce lo siamo ritrovato grazie a qualcuno che di danni ne ha fatti parecchi.
Intanto qualcun altro, ha avuto una promozione.
Chissà se il “non addetto ai lavori” si sia accorto di aver ratificato la promozione di chi lo ha assolto.
Come diceva il saggio Andreotti, a pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca.
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Inviato dal Veloce promemoria
Controcorrente
Vado controcorrente.
Primo caso.
È solo un “luogo comune” e non reato (diffamazione) definire ubriaconi i veneti,come ha decretato a tempo di record la procura di Verona, anche se l’ultima parola spetterà al gip. La diffamazione si ravvisa solamente nel caso in cui venga offesa una singola persona, quindi non costituisce reato se la frase viene rivolta nei confronti di più persone o anche una categoria anche limitata di persone non individuabili singolarmente. Quindi per ora Toscani l’ha sfangata.
Bene!
Spero che lo stesso metro di giudizio venga applicato anche nel caso in cui altri abbiano detto che i rumeni sono ladri e gli albanesi spacciatori: sono”categorie” e non persone. Ma forse mi sbaglio, e ci sono veramente “razzismi” di serie A e “razzismi” di serie B.
Secondo caso
Difendo gli olandesi. Non tutti sono gli esagitati “tifosi” del Feyenoord, quindi inutile fare di tutta l’erba un fascio. È come quando classificano tutti noi italiani all’estero come mafiosi… Poi spesso siamo noi italiani i primi a non rispettare il nostro patrimonio artistico, anche senza l’occasione di un incontro di calcio. Sovente le statue vengono prese di mira con martellate,come il Michelangelo a Roma o il Nettuno fiorentino (Biancone) e lo stesso David di Michelangelo sempre a Firenze, la fontana dei Fiumi in piazza Navona a Roma. La stessa Barcaccia era già stata danneggiata precedentemente. Scritte, graffiti, incisioni con chiodi, cuori e date, gomme americane appiccicate dove capita. Poi ci siamo scandalizzati tanto per gli hooligans che orinavano dappertutto: ormai purtroppo si vede ogni tipo di gente che espleta i propri bisogni fisiologici per strada:, e non solo turisti ed extracomunitari.
Ultimo caso
Questa volta difendo l’evasore.
Non il grande, che esporta i capitali all’estero per evadere le tasse, ma il piccolo negoziante, vessato dall’esosità dello stato, che si vede comminare fior di multe per aver regalato un panino ad un povero cristo o per aver sottratto l’enorme somma di 95 centesimi. In certuni casi, l’evasione è il solo mezzo per sopravvivere ad uno stato che diventa sempre più famelico. Vero, l’evasione è un furto, ma bisogna anche distinguere chi ruba per accumulare sempre più denaro da chi ruba per necessità e spesso non trova altra via che il suicidio per uscire da questa situazione perversa.
E forse questa volta tanto controcorrente non vado…
Canzoniere – Pessoa
Per tutta la notte il sonno non è venuto. Ora
dal fondo dell’orizzonte,
cupo e freddo, spunta il mattino.
Che ci faccio io al mondo?
Niente che la notte acquieti o susciti l’alba,
niente di serio o di vano.
Con gli occhi intorpiditi dalla febbre vana dell’attesa
guardo con spavento
il nuovo giorno portarmi lo stesso giorno
della fine del mondo e del dolore,
un giorno uguale agli altri, della eterna famiglia
d’esser tutti così.
Né ha valore il simbolo, il senso
del mattino che viene,
lentamente spuntando dalla stessa essenza della notte passata
per chi ha tante volte atteso invano
e più nulla attende.
Non sono nulla, non posso nulla, non perseguo nulla.
Illuso, porto il mio essere con me.
Non so di comprendere, né so
se devo essere, niente essendo, ciò che sarò.
A parte ciò, che è niente, un vacuo vento
del sud, sotto il vasto e azzurro cielo
mi desta, rabbrividendo nel verde.
Aver ragione, vincere, possedere l’amore
marcisce sul morto tronco dell’illusione.
Sognare è niente e non sapere è vano.
Dormi nell’ombra, incerto cuore.
Contemplo il lago silenzioso
che la brezza fa rabbrividire.
Non so se penso a tutto
o se tutto mi dimentica.
Nulla il lago mi dice,
né la brezza cullandolo.
Non so se sono felice
né se desidero esserlo.
Tremuli solchi sorridono
sull’acqua addormentata.
Perché ho fatto dei sogni
la mia unica vita?
No: non dire nulla.
Supporre ciò che dirà
la tua bocca silenziosa
è come udirlo già.
Udirlo è meglio
di come lo diresti.
Ciò che è non affiora
dalle frasi e dai giorni.
Sei migliore di quello che sei.
Non dir nulla: so.
Grazia del corpo ignudo
che invisibile si vede.
Ferdinando Pessoa.
25 febbraio
Oggi, con soli due mesi di ritardo, mi sono pervenuti gli auguri di Natale da parte della clinica dentistica della quale mi servo, unitamente ad un piccolo omaggio.
Certo è che le poste italiane sono incredibili!
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Inviato dal Veloce promemoria
Polemica
Sono polemica e lo so: un grande difetto che mi ha allontanato da molte persone, però mi ha anche permesso di tenere vicino quelle che contano, perché sanno che su di me si può fare affidamento. Una volta qualcuno mi ha definito, testuali parole, “rompicoglioni”: non mi sono certo arrabbiata,anzi l’ho preso per un complimento. 🙂
Non sono quasi mai quella che interrompe per prima le “amicizie”, (chiamiamo pure così i “contatti”, buoni o cattivi che siano), a qualunque network appartengano: l’avrò fatto forse un paio di volte nell’arco di una decina di anni: sono gli altri che se ne vanno, magari irritati dal mio caratteraccio o chissà da cos’altro, a volte senza alcuna spiegazione.
Una volta me la prendevo, ora ho capito che non ne vale assolutamente la pena. Non sono nemmeno così presuntuosa da pensare “non sanno cosa ci perdono a non mantenere la mia amicizia”, come invece facevano altri: semplicemente penso che se non vogliono restare non posso certamente trattenerli, quindi che vadano pure: amen.
Qualcuno a volte ritorna, la porta è comunque aperta perché resto in ogni caso affezionata alle persone che ho conosciuto, anche se ovviamente non si può aspettare la precedente accoglienza, non voglio però che si abusi di questa mia gentilezza e disponibilità scambiandola per dabbenaggine.
Il mondo del web è bello (?) perché è vario, ma ripetitivo: gli stessi comportamenti si registrano ormai in un sacco di persone: meglio non farsi ingabbiare, mantenere un certo distacco, prendere tutto come viene…
Eugenio Finardi – Le donne piangono in macchina
Le donne piangono in macchina,
da sole, andando al lavoro
dopo aver lasciato i figli a scuola
per un motivo tutto loro.
Poi si asciugano gli occhi
e fanno finta di niente
si stampano in faccia un sorriso
prima di tornare tra la gente.
E nessuno si accorge di niente,
e nessuno che sa veramente
cosa sentono.
E si portano dentro quel nocciolo
di dolore, che, anche se freddo,
stranamente dà calore,
un senso di vuoto giù,
nel profondo.
Come se non ricevessero mai
abbastanza amore.
Basterebbe una sola parola,
quella giusta che ti fa sentire
meno sola.
Gli uomini intanto guidano
macchine veloci,
correndo sulle autostrade
sfidano il mondo,
sparano, litigano
e lo chiamano volare.
in fondo continuano sempre
a giocare alla guerra
come dei bambini,
ma attenta a non contraddirli mai
se si mettono ad urlare.
Le donne piangono in macchina,
da sole, andando al lavoro
dopo aver lasciato i figli a scuola
per un motivo tutto loro…
Se…
Se dei tredicenni sono stati in grado di stuprare una coetanea per mesi e di ricattarla, sono anche in grado di andare in galera. Punto!
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Inviato dal Veloce promemoria
Un anno.
Domani sarà un anno.
Un anno (anzi, pochi mesi) in cui avrebbe dovuto stravolgere tutto, e non ha fatto un emerito tubo (diciamo così) anche per l’inadeguatezza dei ministri che si è scelto.
Si era presentato forte della sua giovane età, spalleggiato da un vegliardo strafottente che ha combinato più guai che altro, chiedendo di dargli fiducia: bene, gliel’abbiamo data, ma ora il tempo è scaduto, e deve smetterla di fare lo sbruffone. Ormai non incanta più nessuno. È venuto fuori il bluff che era.
Punto.
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Inviato dal Veloce promemoria
Roma
Poi dicono che una non si deve incavolare!
Per la manifestazione che la Lega Nord e Fratelli d’Italia terranno il giorno 28 febbraio prossimo, il comune di Roma, come aveva già fatto anni addietro con lo stesso movimento politico, ha richiesto un’assicurazione di 1.500.000 euro (un milione e mezzo). Questo per tutelarsi, giustamente, da eventuali danni che dovessero succedere durante la suddetta manifestazione e per le eventuali spese di pulizia.
Posso dire con cognizione di causa, avendo partecipato ad un paio di cortei, che la Lega Nord a Roma non ha mai provocato nessun danno, limitandosi a sfilare ordinatamente, e che un apposito nucleo di volontari ha sempre provveduto a ripulire quel poco che si era sporcato, come lattine o incarti dei panini.
Allora perché non fare altrettanto con i centri sociali, i sindacati, gli organizzatori di eventi musicali e partite sportive?
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Inviato dal Veloce promemoria
Un po’ di primavera
Sul tram, questa mattina.
L’uomo è piuttosto avanti con gli anni, più vicino agli 80 che ai 70, come dimostrano barba e baffi bianchissimi, nonché i capelli, dalla lunghezza inusuale per un’uomo della sua età, che fuoriescono da un berretto grigio scuro con la visiera.
Ha l’espressione vagamente malinconica di una di quelle persone che vivono da sole, senza alcuna compagnia.
È alto, magro, perfino allampanato, un cappottone lungo grigio melange che accentua queste sue caratteristiche.
In mano ha un sacchetto di plastica bianca, di quelli che danno per pochi centesimi in alcuni negozi. Per la precisione non lo sorregge per i manici, ma lo stringe al petto con una mano, quasi a proteggerne il contenuto: dentro, si intravede un vasetto di plastica scura, mentre dal bordo fuoriesce un rametto sparuto di forsizia, con qualche fiorellino giallo già aperto.
Una piantina che rallegrerà la sua casa portandovi un poco di primavera.
Giustizia (?)
Quando leggo che un carabiniere viene indagato per ” troppa irruenza ” nell’arresto di un tunisino, mi incazzo pensando a quella giudichessa che invece ha lasciato subito libero quell’altro extracomunitario che ha accoltellato due carabinieri, giudicandolo non pericoloso.
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Inviato dal Veloce promemoria
Sbagli
C’era qualcuno che se ne andava al bar, con altri tre amici, ma non per cambiare il mondo.
Probabilmente parlavano dell’equo compenso, ossia quel contributo spettante per avere il diritto di effettuare una copia privata di opere soggette al diritto di autore, il che ha comportato un aumento del costo al consumatore di ogni supporto digitale (CD, chiavette USB, schede di memoria. DVD registrabili, hard-disk).
Ora mi chiedo: se scaricassi (premetto che non lo faccio) musica da un supporto elettronico, magari di quello stesso soggetto che se ne andava al bar, sarei classificata automaticamente come una truffatrice che svilisce il suo estro artistico.
Invece il povero genio che piange perché le sue opere non vengono adeguatamente valorizzate (e monetizzate!), viene messo a capo della SIAE, porta milioni in Svizzera ed evade le tasse.
Il solito compagno che sbaglia, come quell’altro compagno che, al premio Grinzane, chiedeva i compensi in nero ma faceva la morale agli altri!
Pillole
Maledetta primavera
Una rondine non fa primavera, ma certe “primavere” hanno creato l”Isis.
La guerra in Libia?
Sarà finanziata da un’accisa sulla benzina. Tanto alle accise per finanziare le guerre ci siamo abituati.
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Inviato dal Veloce promemoria
Milano – 2
Quarta settimana a Milano: erano anni che non ci si fermava così tanto tempo. Solitamente soggiornavamo due settimane, qualche rara volta prorogate a tre.
Beh, questa volta è stata anche una necessità: le prime due settimane sono state uno strazio: all’inizio i postumi della mia influenza, poi mio marito ha cominciato con la tosse e il raffreddore. Ci si è messo pure il tempo, pioggia, neve e freddo che ci hanno costretto ad uscire pochissimo, solo il necessario per delle visite a parenti e qualche incombenza improcrastinabile.
Abbiamo quindi deciso di prorogare un’altra settimana, il che ci ha permesso di rivedere Brigitta e di conoscere anche Roberto.
È simpatico poter incontrare di persona gente con la quale si hanno solo contatti su fb e vedere che anche nella realtà sono come si presentano, senza infingimenti di sorta. Infine la decisione di fermarci anche per la quarta settimana, dedicando questi giorni esclusivamente a noi due.
Poi, sia la scorsa settimana che questa (con l’eccezione di sabato e domenica), il tempo è stato davvero ottimo: oggi addirittura sembrava primavera, e Milano col cielo azzurro è ancora più bella nonostante le solite magagne:
dappertutto i venditori di prolunghe per i selfie hanno preso il posto di quelli che vendevano giocattoli, in corso Vittorio Emanuele ci sono i soliti extracomunitari che cercano di rifilarti libri o braccialetti etnici e ti tampinano finché non agganciano una nuova vittima, in Galleria una vecchia mendicante cammina curva a piedi scalzi scuotendo ritmicamente la testa cercando di impietosire i passanti, sul tram un barbone russo sventola un foglio sgualcito scritto in cirillico ed inveisce contro tutto e tutti.
E questa dovrebbe essere la metropoli che tra poco più di due mesi dovrebbe presentare al mondo la sua parte migliore con l’Expo. Inutile ripulire palazzi e costruire grattacieli se si permettono simili cose.
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Inviato dal Veloce promemoria
Egitto…Chapeau
E bravo l’Egitto.
Dopo la Siria, che ha sferrato un attacco per vendicare l’uccisione del suo pilota, adesso la stessa strada è stata scelta dall’Egitto del presidente Abdel Fattah al-Sisi, che ha così punito gli jihadisti dell’Isis che hano massacrato ben 21 egiziani col solito barbaro sistema della decapitazione. Un gesto tanto più encomiabile in quanto le vittime non erano di religione islamica, ma cristiani copti. L’azione dell’aviazione egiziana ha colpito magazzini di armi dei guerriglieri ammazzandone, sembra, sessantaquattro.
Poi il presidente ha rincaricato il ministro degli Esteri, Sameh Shukri, di recarsi con urgenza a New York, presso il quartier generale dell’Onu per chiedere alla comunità internazionale di assumersi le proprie responsabilità assumendo le misure adeguate per far rispettare la carta delle Nazioni Unite, in quantoe tutto quello che sta succedendo in Libia è una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale.
Nel frattempo noi discutiamo: giovedì il ministro Gentiloni riferirà in parlamento, il M5S parla di trattare con questa gentaglia, Renzi dice che non c’è urgenza di un’azione militare, smentito dalla ministra Pinotti che afferma che l’ipotesi di un intervento militare era invece nell’aria da mesi.
Parlano, parlano, parlano.
Così, mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata…
Aria di guerra.
Se, come dicono, l’Isis è dotata di Scud non c’è molto da temere in quanto la gittata è di 300 chilometri scarsi.
Il vero pericolo è costituito dagli sbarchi dei clandestini, in mezzo ai quali possono frammischiarsi dei guerriglieri.
Nel frattempo un politico italiano con le arterie ostruite per il troppo grasso della mortadella parla di dialogo con quei tagliagole: se proprio vuole, può dialogarci lui, stando ben attento a non perdere la testa (non è una metafora).
Poi, date le minacce che l’Isis ha rivolto direttamente all’Italia ed in particolare a Gentiloni, ci si aspetterebbe almeno un cenno dall’Europa.
Ma al parlamento europeo preferiscono parlare della misura delle vongole.
E forse il Nobel per la pace sarebbe stato meglio conferirlo a Saddam e Gheddafi anziché all’abbronzato.
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Inviato dal Veloce promemoria
Milano
Ieri sole, in via Carducci angolo via san Vittore
Oggi foschia da via Vittor Pisani verso le ex Varesine
Solito parere personale
Mare nostrum prima, Triton adesso.
Ma i morti continuano ad aumentare a dismisura.
No, io non mi sento in colpa per questi morti, nemmeno un po’.
Colpevoli sono gli scafisti che imbarcano questa gente, colpevoli sono le organizzazioni che li allettano a venire qui, colpevoli sono quanti lucrano su queste situazioni, ONLUS in testa, gestite in maniera molto equivoca, colpevoli i nostri governi e governanti, che invece di porre un freno e bloccare gommoni e carrette del mare vanno a prenderli fin quasi sulle coste libiche.
Colpevole infine l’Europa che ci chiede di salvarli (il che significa pure andarli a prelevare come scritto sopra) pretendendo però che sia l’Italia a farsi carico dei passaggi successivi; identificazione – spesso impossibile – e detenzione nei centri di accoglienza con relativo mantenimento.
Perché allora io (una persona comune) dovrei sentirmi in colpa?
La stessa Frontex (l’agenzia europea che coordina le azioni per il controllo delle frontiere esterne della Comunità Europea) aveva ammonito non molto tempo fa la nostra nazione in quanto le zone di operazione delle missioni Triton si sono addentrate ben oltre le 30 miglia marine che delimitano le acque internazionali.
http://www.internazionale.it/opinione/stefano-liberti/2015/02/11/frontex-italia-salvataggi
Ci dicono che l’Italia viene finanziata dalla comunità europea per le operazioni di recupero degli immigrati, ma queste somme a malapena coprono le spese di pattugliamento e recupero, quindi il mantenimento dei clandestini, una volta sbarcati, è una perdita considerevole quasi completamente a nostro carico. Poi chissà perché moltissimi migranti, pur potendo approdare su coste di altri paesi mediterranei, rifiutano quelle destinazioni richiedendo espressamente di venire in Italia: logico, qui hanno vitto, alloggio,ricarica telefonica, una sommetta iniziale per i primi tempi senza dover fare assolutamente nulla; inoltre, come dimostrato da vari servizi, è assai facile evadere dai centri di accoglienza e far perdere le proprie tracce.
Poi un’ultima considerazione: alcune categorie di “migranti” (non considero quindi i VERI rifugiati politici), sembrerebbe ovvio che rimangano a casa propria imparando ad organizzarsi da soli per migliorare la loro società, mutando la propria mentalità, cambiando eventualmente i propri governanti.
Devono smetterla insomma di fare gli eterni bambini, lamentandosi e pretendendo sempre con la scusa del razzismo.
Invece i nostri benpensanti, Letta e Boldrini in testa, stanno prendendo nuovamente in considerazione l’idea di terminate Triton e ricominciare con Mare Nostrum, abbandonando le operazioni di controllo (?) delle frontiere (cosa che, come si è visto, non è mai stata fatta, accogliendo e “salvando” migliaia di clandestini) riprendendo le operazioni di carattere umanitario.
Aspettiamo…
http://www.ilpost.it/2015/02/11/differenza-mare-nostrum-triton/
Il giorno del ricordo
Quando i comunisti italiani insultavano gli esuli istriani
Di Eugenio Cipolla, il 16 luglio 2014i
Il treno procedeva lento. Partimmo da Fiume, destinazione: la Toscana. Dovevamo attraversare l’Italia che noi immaginavamo generosa e ospitale. Sulle carrozze da carro bestiame che ci portavano laggiù, c’erano per lo più vecchi, donne e bambini come me, stipati come sardine. Eravamo infreddoliti, affamati, i più piccoli piangevano perché man-cava il latte. «Va bene» pensai «prima o poi ci fermeremo». La prima sosta, per scendere a sgranchirci le gambe e mangiare qualcosa, fu a Bologna. Finalmente la stazione.
Il treno rallentò piano piano fino a fermarsi. Ad accoglierci trovammo tanta gente, con le bandiere rosse. Le stesse di Tito. Non capivo. Allora mi girai verso la mamma e le chiesi: «Mamma, ma il treno si è sbagliato? Siamo tornati a Fiume?». No. Erano gli operai e i ferrovieri comunisti che improvvisavano uno sciopero per impedire al convoglio di fermarsi nella loro città. «Fascisti, viaaa!» gridavano. «Siete tutti criminali fascisti!» La nostra patria era affamata, diffidente. Diversi erano convinti che chi fuggiva dall’Istria «rossa», dal paradiso del comunismo, fosse un criminale. Alle dame di carità, arrivate in stazione per darci latte e coperte, fu impedito di avvicinarsi. Nemmeno il latte ai bambini. Le porte del treno rimasero chiuse. Non so neanche quante ore passarono, il viaggio mi parve infinito.
Alla fine io, la mia famiglia e qualche centinaio di «pericolosi nazionalisti» arrivammo al campo profughi di Laterina, vicino ad Arezzo. Attraversammo un grande cancello verde, sorvegliato da carabinieri armati di mitra e circondato da filo spinato. Non ci aspettavamo una casa, ma nemmeno un campo di concentramento! In quei ventidue baracconi abbiamo vissuto per quasi dieci anni. Balle di paglia come materassi, un bagno in comune per venti persone. Con le coperte appese ai fili di ferro, ogni famiglia cercò di creare la propria «casa», innalzando dei piccoli divisori tra una «stanza» e l’altra. Così, giusto per avere un minimo di intimità. Anche se poi si sentiva tutto: chi parlava, chi litigava, chi rimproverava i figli, chi la notte cercava di fare l’amore. Magari uno starnutiva e dal fondo della baracca un altro rispondeva: «Salute!». E poi l’odore. A ripensarci, me lo porto dietro da una vita intera. Forte, acre e dolce, uno strano miscuglio del cibo della mensa, della naftalina del mio vestito, l’unico che avevo, e di quello ancora più forte, imbarazzante, dei miei capelli. Che non potevano essere lavati.
Ci siamo vergognati a lungo e abbiamo continuato a portare la vergogna dentro. Ancora oggi mi sento quell’odore addosso, e non se ne vuole andare: è l’odore del campo profughi. Mi ricordo il freddo del 1956, il gelo dentro le baracche senza riscaldamento, e quella notte che per caso sentii mio padre raccontare a voce bassa che vicino a Trieste, nel campo profughi di Padriciano, Marinella era morta di freddo. E questo nome, Marinella, io non lo posso più scordare. Aveva un anno, Marinella. A sedici gradi sottozero, con la neve che entrava da porte e finestre, non aveva resistito. Purtroppo non fu la sola. Per i nostri vecchi era dura: morivano di malinconia. Mio nonno, per esempio, nel momento stesso in cui arrivammo al campo profughi smise di parlare. Mai più ho sentito una sola parola uscire dalla sua bocca. Tutti i giorni lo vedevo camminare avanti e indietro per i lunghissimi corridoi dei cameroni, poi di botto si fermava davanti a una finestra, fissava un punto nell’infinito, per ore e ore. Si asciugava le lacrime col dorso delle mani. Così come i nostri vicini, che a Fiume possedevano un bel palazzo signorile e ora si ritrovavano pezzenti. Persone come mio suocero, che in Istria aveva dei pescherecci e ora faceva il facchino. Per noi piccoli invece era diverso. C’era la scuola, un campo dove giocare a pallone. Sembrava di vivere in campeggio.
I nostri genitori, quanti sacrifici hanno fatto per tirare avanti! Si sono adattati a qualsiasi lavoro pur di non farci mancare l’indispensabile. Andavano persino a spalare la neve. L’inverno pregavano Iddio che nevicasse perché per spalare gli davano duemila lire a notte, e con duemila lire si sopravviveva. Molti si sono rimboccati le maniche, sono stati capaci di inserirsi. Altri invece si sono lasciati andare, privi della forza di ricominciare. Tanti padri si uccisero con l’alcol, alcune donne si tolsero la vita per il dolore dello sradicamento: come Giovanna, esule da Buie d’Istria, ritrovata impiccata a un ulivo perché le mancava troppo la sua terra. Anche loro, in qualche modo, morti di esodo. Vittime, queste, mai considerate. Per la gente del luogo eravamo «gli slavi», «gli zingari», «i banditi giuliani». Ci chiamavano così. Col tempo hanno imparato a conoscerci, abbiamo dato pure noi il nostro contributo alla società, e siamo stati apprezzati. Fu un esodo, il nostro, che nessuno portò mai nelle piazze. Ma noi esuli non abbiamo mai protestato.
Ci vergognavamo, ci sentivamo quasi in colpa per il disturbo: «Scusate, se ci hanno strappato la nostra terra». Ma nessuno riuscì a strapparci la nostra dignità. A Fiume ci sono tornato per la prima volta a sessant’anni. Ho trovato una città molto diversa da quella che avevo lasciato cinquant’anni prima. Eppure, riconoscevo ogni sasso. Sono arrivato fin sotto casa di mia nonna senza sbagliare strada neanche una volta. Casa mia. Nella «città vecia». Un portone in stile veneziano del Settecento, le scale ancora in legno. Le stesse che ho fatto milioni di volte, su e giù. Mentre ero li, immobile, dalla porta uscì una donna: «Sta oces ti?» mi chiese. «Che vuoi?» Il mio primo istinto fu di risponderle male, invece me ne scappai via. Come un ladro.
[brano tratto dal libro “Magazzino 18” di Simone Cristicchi]
gia pubblicato su Qelsi
Il pesce
Il pesce, si sa, puzza sempre a partire dalla testa.
All’apertura dell’anno giudiziario Raffaele Squitieri presidente della Corte dei conti ha lanciato l’allarme sul pericolo “corruzione”, come se questa piaga non fosse ormai endemica in Italia e non da poco tempo, bensì da decenni.
Avrebbe però dovuto puntare il dito innanzitutto contro certi politici che brigano (forse da qui il termine “briganti”?) per arraffare quanti più soldi possibile nonostante godano di ottime indennità e cospicui privilegi.
Se i nostri “rappresentanti” sono i primi a comportarsi indegnamente è logico aspettarsi un identico modus operandi da parte dei semplici cittadini che hanno quotidianamente davanti agli occhi simili esempi deleteri.
Il che mi fa comprendere e rivalutare talune categorie di evasori, quali piccoli negozi o piccole imprese strozzate dalle tasse fino all’inverosimile.
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Il vero politico
Vabbe’… pure Machiavelli era fiorentino, però Matteuccio lo sta battendo alla grande.
A parte la mossa per l’elezione di Mattarella, anche in campo internazionale Renzi nostro mica scherza.
Prima accoglie Tsipras con sorrisi e belle parole, regalandogli perfino una cravatta di seta italiana, poi omaggia la Frau Angela e la troika dicendo che la BCE ha ragione perseguendo le sue misure contro la Grecia.
Andrà a finire che Tsipras con la cravatta ci si potrà impiccare.
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Storia di ordinaria follia.
Un benzinaio spara per sventare una rapina ed uccide un delinquente. Dalle sue parole si intuisce che prova maggior paura della magistratura che dei banditi.
Pazzesco!
C’è da capire il suo timore. Purtroppo chi dovrebbe tutelarti e proteggerti, alla fine, si rivela il tuo peggior nemico.
La magistratura sembra avere un ordine: fuori i delinquenti se immigrati e dentro chi spara loro per legittima difesa. E la maggior parte di queste storie finisce così.
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Cosa ne pensate?