Milano dicembre
Giornata grigia, a Milano.
Non piove, ma l’acqua è comunque sospesa nell’aria in minutissime goccioline che si appiccicano alla pelle, quasi spruzzate da un’invisibile bomboletta spray. L’umidità è altissima, e penetra fin dentro le ossa, anche se la temperatura è più che accettabile in questa stagione.
Una triste (anche se prevista) sorpresa: il nostro ristorantino vegano è chiuso. C’è esposto un cartello, ma l’interpretazione non è abbastanza chiara. Ripieghiamo su un’insalateria…vedremo i prossimi giorni dove e cosa mangiare.
La Feltrinelli invece è aperta. Un amico ci aveva dato notizia della chiusura del negozio in galleria: forse era stato male informato lui o non ha visto che l’entrata è stata solo spostata di un poco: naturalmente abbiamo subito approfittato per i consueti acquisti di DVD, anche se ormai gli spazi (come alla Mondadori delle ex Messaggerie Musicali) vanno riducendosi sempre più.
Anche il nostro tram che usiamo di solito, il nr 1, dal capolinea di Greco a piazza Repubblica non è in funzione, sostituito da una linea di autobus per lavori alle rotaie in via Vittorio Veneto.
Ormai la zona dell’Isola è quasi completata: palazzi e grattacieli sono in funzione,
già in parte abitati o adibiti ad uffici: una distesa di pareti vetrate di grandissime proporzioni, dietro alle quali si intravedono persone intente al lavoro: quasi un Hopper rivisitato in maniera moderna.
Da un lato si intravede il Diamantone, dall’altro un passaggio porta alla piazzetta Gae Aulenti, (quella del palazzo Unicredit, con la sua caratteristica guglia) dove stanno allestendo un avveniristico albero di natale su un telaio di tubi rossi.
Vedremo tra qualche giorno come sarà quando verrà completato.
Poi, girando, eccoci in via Dante: già da lontano si intravedono le due strutture tubolari bianche erette per l’Expo 2015 che, oltre ad essere veramente brutte e male inserite architettonicamente in quel contesto, impediscono la vista del castello Sforzesco… Criticate da tutti, costate un occhio della testa, ma restano là…
Per fortuna, ci risolleviamo il morale passando davanti a Peck, il tempio della gastronomia milanese, anche se ormai per noi il tempo di salumi e formaggi è passato…
Funerale senza tristezza
Questo non è esser morti,
questo è tornare
al paese, alla culla:
chiaro è il giorno
come il sorriso di una madre
che aspettava.
Campi brinati, alberi d’argento, crisantemi
biondi: le bimbe
vestite di bianco,
col velo color della brina,
la voce colore dell’acqua
ancora viva
fra terrose prode.
Le fiammelle dei ceri, naufragate
nello splendore del mattino,
dicono quel che sia
questo vanire
delle terrene cose
– dolce –,
questo tornare degli umani,
per aerei ponti
di cielo,
per candide creste di monti
sognati,
all’altra riva, ai prati
del sole.
Antonia Pozzi
3 dicembre 1934
Il 2 dicembre 1938, quattro anni dopo aver scritto questa delicata poesia, Antonia Pozzi, poetessa milanese, si suicidò ad appena 26 anni, ingerendo dei barbiturici e lasciandosi morire nei pressi dell’Abbazia di Chiaravalle e lasciando una lettera ai genitori in cui esprimeva la sua “disperazione mortale”, dove la morte giunge livida, “abbrividendo con le spalle nude”.
Di famiglia agiata, padre avvocato, madre contessa, viveva a Milano in una elegante dimora di via Mascheroni. Fin dal liceo scriveva poesie, che però vennero pubblicate solamente dopo la sua scomparsa dopo una attenta e puntigliosa catalogazione da parte del padre anche se, in un primo momento, molte cose furono tenute nascoste per salvaguardare il buon nome della famiglia. Solo dopo anni furono resi noti tutti i suoi scritti, compreso quelli riportati sul diario che teneva fin da studentessa, quando intratteneva una relazione con il suo insegnante di latino e greco. È ricordata anche come fotografa (“nelle fotografie si vede la mia anima”), che ritraggono per lo più paesaggi, ma anche personaggi della montagna raffigurati nelle loro occupazioni quotidiane.
Adesso è ricordata come una delle più grandi poetesse del nostro tempo.
Cosa ne pensate?