salto nel buio
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi-
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
(Cesare Pavese)
Masticone, dal suo blog, mi aveva domandato qualche tempo fa se avevo mai scritto nulla sulla morte. Ho risposto di no, forse perché è una forma per esorcizzare quel momento che tutti temiamo. Lo temiamo perché il più delle volte arriva inaspettato ed accompagnato dal dolore che è quello, più che la morte in se stessa, che ci fa maggiormente paura, oltre al fatto che non sappiamo cosa avviene “dopo”.
E qui inizia il bello, perché il concetto del dopo-morte implica uno stretto legame con la religione, anzi le religioni anche se, parere mio personale da agnostica qual sono, qualora davvero ci fosse un qualcosa di soprannaturale la religione dovrebbe essere unica.
Senza pensare alla classica iconografia dei paradisi dei vari culti, con nuvole, angioletti, arpe che suonano o, per i mussulmani, un sacco di vergini (e per noi femminucce?), dato che nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si trasforma, mi piacerebbe rigenerarmi in qualcosa o qualcuno di utile, ma in cosa esattamente non lo so.
Le religioni ce le siamo ideate noi, all’inizio dei tempi, dapprima per timore di fenomeni atmosferici ed astrali (fulmini, terremoti, eclissi, carestie), in seguito per dare una speranza a chi, in tempi andati, conduceva un’esistenza assai grama e poteva quindi sperare in un’eternità colma di quello che non aveva avuto in vita.
Coloro che credono sanno quindi che nell’aldilà avranno la ricompensa o la punizione che si meritano, e di questa loro fede ho perfino un poco di invidia, perché dà loro una speranza che a me, più materialista, manca del tutto, traducendosi quindi la morte in un vero salto nel buio.
Si dice però che si vive fino a che restiamo nella memoria altrui. Fino a che si ricorda qualcuno, fino a quando rammentiamo le sue parole, il suo sorriso, la sua vicinanza… questa persona, non più presente fisicamente, è comunque vicina a noi e continua a far parte del nostro vissuto, della nostra esistenza, e quindi non è scomparsa del tutto.
Ecco perché nel tempo si è sviluppato il culto della morte, un po’ per ricordare chi ci ha lasciato, un po’ per collegare questa esistenza reale, terrena a quella ipotetica e futura; e si è concretizzato, nei tempi remoti, nella conservazione del corpo mediante la mummificazione e con la sepoltura accanto all’estinto di oggetti di uso quotidiano, mentre ai giorni nostri si onorano i defunti con l’offerta di fiori e l’accensione di lumini, quasi ad illuminare il percorso nel mondo dell’Adilà, mentre in epoca recentissima, si moltiplicano le pagine sui network, primo fra tutti FB, dove parenti ed amici ricordano la persona scomparsa.
La morte è un distacco dalle cose terrene, dalle persone che amiamo e che ci amano, dalle nostre abitudini. I funerali, che celebrano questo rito hanno quindi una connotazione triste, consona allo stato d’animo di chi resta (o per lo meno, consono a quello che si suppone sia lo stato d’animo). Per me invece sognerei una cerimonia simile ai funerali di New Orleans, gente allegra, bella musica, bei ricordi, o almeno quel poco di bello che posso aver lasciato nel ricordo altrui.
Ed alla fine, come saluto, un
“ARRIVEDERCI”,
perché la speranza in un mondo migliore è sempre l’ultima a morire, magari accompagnati dalla classica “When the Saints Go Marching In”
🙂
E come al solito mi rispondi da par tuo.
Non mi addentro in pericolose discussioni filosofiche. I migliori intelletti del mondo l’hanno già fatto prima di me.
Il mio pensiero sposa quello di Blaise Pascal uno dei più grandi geni della storia del mondo che sosteneva che alla fine, nessuno può dire davvero niente di quel che c’è dopo ma che la miglior scommessa rimane quella di crederci perche se perdi nessuno ti chiederà la posta.
Inutile dire che comunque la morte fa paura….
ma anche la vita lo fa, spesso… quindi?
sei una grande…
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13 febbraio 2012 alle 09:00
Avendo fatto studi tecnici, di filosofia non ne mastico punto, se non quel poco che ho letto per puro interesse personale. Molto bello e vero il pensiero di Pascal 🙂
La vita a volte può fare paura, però sembra strano: ci sono periodi e luoghi assai brutti, dove tutto sembra perduto, ed invece scopri che la solidarietà, l’amicizia e tanti altri legami vengono invece rafforzati, mentre certe esistenze che sembrano tutte rose e fiori sono invece molto più difficoltose e vuote…mistero dell’animo umano…
(ma mi sto allargando…)
Loredana
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13 febbraio 2012 alle 16:56
Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
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13 febbraio 2012 alle 09:04
Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
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13 febbraio 2012 alle 18:23
La morte verrà all’improvviso… ma mica sempre! Magari fosse così!
A volte ti passa un sacco di tempo accanto, parla con te, ti fa compagnia: insomma ti concede di fare la sua conoscenza. E questo è molto peggio. O forse no. Basterebbe prepararsi in anticipo. Molto in anticipo. Forse il problema è proprio quello: non vogliamo prepararci.
Non ha importanza quello che dicono le religioni, ha importanza la mia religiosità, quella cioè che mi fa credere in quello in cui credo senza dettami filosofici o dogmi di fede, insomma ciò che mi fa credere in quello che le mie esperienza di vita e di conoscenza e di sentimento mi dicono.
Non mi interessa sapere cosa ci sia dopo, mi interessa farmene una ragione ora, perché è con questa ragione che dovrò vivere e sarà questa ragione che mi consentirà di affrontare la morte nel miglior modo possibile, per me e per chi mi sta vicino.
Io parlo spesso della morte, seriamente e anche no! Lo faccio forse per esorcizzarne la paura, o forse perché mi attrae il concetto.
Ne ho vissute tante di morti e al di là della sofferenza atroce per la perdita di chi mi era stato accanto, o anche di chi era stato mio essenziale punto di riferimento, ho imparato non ad accettare ma a consapevolizzare la morte, come quella fase di passaggio necessaria e indispensabile per andare oltre. Dove non so e salvo delle ipotesi che mi piace fare per puro esercizio intellettuale, (la vita è un labirinto e la morte è l’uscita da questo e l’ingresso in un labirinto superiore), non me lo chiedo molto, anche se faccio le mie ipotesi e ho le mie convinzioni.
Però la morte mi affascina e, pur augurandomi di piangere in questa valle di lacrime il più a lungo possibile, non la considero una nemica della mia vita. Credo che me ne andrò quando sarà ora che vada, e credo che non sarà brutta, nera e con la falce.
Ma questo lo affermo adesso. Sono pronto a scommettere che quando verrà il momento, se solo me ne renderò conto, me la farò sotto come chiunque. Però intanto la vivo così, alla San Francesco… sorella morte. Ammesso che sia femmina! 🙂
Un abbraccio Jazz. Giancarlo 🙂
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13 febbraio 2012 alle 19:03
Credo che alla morte, quando non arriva all’improvviso, sia difficile abituarsi.
Non solo alla propria, ma anche a quella dei propri cari.
Ricordo ancora gli ultimi mesi di mio padre, far finta che quel Natale fosse come tutti gli altri, mentre noi tutti, tranne lui, sapevamo che sarebbe stato l’ultimo. E gli ultimi giorni, quando la sua bella intelligenza era stata distrutta dal cancro al cervello. Ecco, per me mio padre è morto qualche giorno prima della data ufficiale, ridotto ad un vegetale, forse anche peggio che morto.
Più che di religiosità, parlerei piuttosto di spiritualità. Puo’ essere spirituale anche il materialista piu’ incallito, inteso come persona logica e concreta. Ed in senso razionale, mi dico che sia naturale arrivare alla fine dell’esistenza, ma non credo che mi ci abituero’ comunque mai, tanto e’ bella la vita, nonostante le sofferenze, le delusioni, ma anche con le gioie che a volte ci passano accanto senza che le sappiamo vedere.
Tu definisci la vita come un labirinto, dove ci vengono prospettate varie scelte che condizioneranno il nostro futuro. Io lo definisco un intervallo tra due respiri…il primo e l’ultimo.
Un abbraccio, Giancarlo 🙂
Loredana
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14 febbraio 2012 alle 16:34
finche’ ci sei lei non c’e’ quando arriva non ci sei piu’ .ho letto anni fa’ queste righe non ricordo dove .di cosa aver paura ?di qualcosa che non vedrai mai ?diverso e’ il salto nell’ignoto per molti che necessitano di certezze ma a ben pensarci se non ci sara’ niente nulla avremo da temere . visto che nessuno e’ in grado di dire cosa c’e’ ha senso arrovellarsi la testa ?o forse serve a ricamare il vuoto presente in ognuno . meglio viere come si puo’ poi…..ciao bg
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14 febbraio 2012 alle 11:22
Un ragionamento ineccepibile il tuo, Mario. Ma quello che piu’ temiamo non e’ la morte in quanto tale, ma la sofferenza che l’accompagna, sia che sia la nostra che quella delle persone che amiamo.
Un ragionamento il tuo che ricorda quello del tale che era preoccupato per una problema e si senti’ rispondere: – Se c’e’ una soluzione, datti da fare per trovarla. Se la soluzione non c’e’…che ti preoccupi a fare? –
Quindi, come giustamente dici, pensiamo a vivere al meglio gli anni che ci sono donati…
Ciao, e buona serata 🙂
Lore
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14 febbraio 2012 alle 16:38