frase del giorno
E’ solo rispettando se stessi che si può esigere il rispetto degli altri, è solo credendo in se stessi che si può essere creduti dagli altri.
(Oriana Fallaci – Lettera a un bambino mai nato)
aforisma del giorno
Nessuno è bugiardo come l’uomo indignato.
(Nietzsche – Di là dal bene e dal male)
e come è vera questa massima…chi fa la morale ed è peggio degli altri…
detto del giorno
articolo 21 della Costituzione Italiana
Art. 21
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo di ogni effetto.
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.
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Libertà di informazione non significa libertà di insulto e lo spaccio di gossip come fossero verità giudiziarie. Ricordiamoci che Santoro appare in TV solamente perchè un giudice ha stabilito così, imponendo addirittura che vada in onda in prima serata., non solo, ma lo lascia pure libero di invitare chi vuole, quindi i vari Travaglio, Vauro, escort etc etc. Quindi è vero, non c’è libertà di stampa, ma c’è la stampa in libertà (che è tutt’altra cosa).
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da "il Giornale", domenica 27 settembre 2009, 08:41
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mignottocrazia
Su indicazione di Mario ho guardato il seguente video. Come ho scritto nel post precedente, queste cose stanno ottenendo su di me l’effetto contrario. Io un personaggio pubblico lo giudico da come governa, e non da quello che fa sotto le lenzuola. E fino ad ora non posso che dare un giudizio positivo.
2 pesi e 2 misure
Libri
proverbio di oggi
Le bugie hanno le gambe corte
(molto corte…mi spiace solo di aver causato un dispiacere ad una persona della quale non sospettavo l’esistenza)
massima del giorno
Errare è umano; dar la colpa ad un altro lo è ancora di più.
Donne
23 settembre- primo giorni d’autunno
frase del giorno
La dignità non consiste nel possedere onori, ma nella coscienza di meritarli.
c’è prete e prete – 2
Notabene. Perché il Governo, o chi per esso, non fa una legge che almeno proibisca a chi è sposato e soprattutto ha dei figli di fare il militare nelle zone a rischio? (dal sito www.dongiorgio.it )
Questa qui sopra era la frase finale dell’intervento di don(?) Giorgio, che per distrazione ho saltato nel post "c’è prete e prete"…
Allora mandiamo nelle missioni all’estero non solo gli scapoli, ma anche gli orfani e figli unici…perchè? le loro madri, i loro padri, fratelli e sorelle forse non piangono? Ritorno poi ancora sulla frase di "mercenari" e "maschioni fascistoidi", che denotano un odio davvero inusuale in un cosiddetto prete. Mercenari? Solo perchè sono pagati per il rischio che corrono? Ma quell’uomo ha visto da dove proviene la maggior parte delle vittime? Da un Sud dove gli sbocchi lavorativi "regolari" sono ben pochi (quelli in nero e sottopagati invece abbondano). E li critica se, per il lavoro che fanno, in zone altamente a rischio, vengono pagati? Perchè invece non e la prende con certuni personaggi dello spettacolo o dello sport, loro sì pagati profumatamente, e senza nessun pericolo da correre (forse solo negli sports motoristici). Maschioni fascistoidi?…qui salta velatamente fuori l’invidia per qualcosa che a lui, prete, è negata, almeno io la intendo così.
Sempre ritornando allo sporco lavoro che fanno, il prete le conosce le "regole di ingaggio"? E’ a conoscenza che per via di queste disposizioni i nostri soldati possono aprire il fuoco SOLO SE ATTACCATI, ma in questo caso, essendosi verifcato un attentato con autobomba, guidata da guerrigliero suicida, non è stato possibile farlo. E dei soldati, cui nella maggior parte dei casi, è inibito l’uso delle armi, è chiaro che sono lì per una missione non di guerra, ma di pace o, come la chiamo io, di libertà. Bello parlare di missione seduto su un comodo cadreghino in una parrocchia confortevole.
Molto più obiettivo l’altro sacerdote, Don Diego Goso che, in data odierna, riporta un ricordo dei caduti e che ricopio qui sotto.
In questi giorni è stato, come è giusto e prevedibile, un susseguirsi di dichiarazioni di cordoglio e solidarietà verso i Soldati Caduti a Kabul e le loro famiglie. Mentre ricordiamo con affetto quei ragazzi e pensiamo che l‘Italia piange oggi sei soldati in Afghanistan ma ogni giorno le bombe ne ammazzano almeno 10 volte di più tra i civili, qualche spulciatura alle dichiarazioni dei “big“ di questi giorni si può fare:
– Tutti dicono che questo è il tempo del silenzio e non quello delle polemiche. Che fa tanto nobless oblìge, allontana l‘idea di non voler speculare per altri fini sui morti (per quello ci sono già quelli dell‘Abruzzo a disposizione…) perchè adesso bisogna dare spazio solo all‘umanità. Virtù che alcuni nostri politici si ricordano di avere solo davanti alle disgrazie altrui sotto i riflettori.
– Tutti dicono che questo è il tempo di restare uniti. Che è un pò come vedere quelle famiglie dove non ci si frequenta da anni ma che al funerale di un parente si ritrovano compatte a recitare il copione del clan unito da giuramento di sangue, da momenti indimenticabili vissuti insieme, da cari estinti defunti senza il quale non è possibile vivere. Certo una nazione si dimostra grande per come affronta le crisi. Ma così noi non le affrontiamo: ci limitiamo a piangere insieme che fa tanto melassa e opinione. Poi, seppelliti i morti, torniamo a litigare, spesso e volentieri soprattutto su di loro. Una grande nazione è tale quando da una crisi non ne esce con il funerale di stato. Ma con la strategia di combattere il male che l‘ha afflitta senza altri fini.
– Tutti, infine, dicono che bisogna rivedere le regole di ingaggio. Che siamo in una missione di pace. Che bisogna spiegare che cos‘è una missione di pace. Veniamo meno al coraggio e alla morte di questi soldati con questi giochi di parole. Loro sapevano che potevano morire, loro sapevano che la guerra per come la chiami sempre morte porta ma che alcuni morti sono necessarie per far sì che il Bene sconfigga il Male. E il male qui ha la faccia anonima di vigliacchi terroristi. Uno Stato che vuole rendere onore ai suoi caduti combatte il Male che li ha uccisi. Non scappa davanti alla perdita, seppur terribile. Chi lo sostiene al Male si arrende, sputa su quelle tombe dopo averle coperte con lo strascico della pace, scritto minuscolo perchè vuol solo dire viltà.
E a don Diego, un sentito ringraziamento
c’è prete e prete….
– tenente Antonio Fortunato, originario di Lagonegro (Potenza);
– primo caporal maggiore Matteo Mureddu, di Oristano;
– primo caporal maggiore Davide Ricchiuto, nativo di Glarus (Svizzera);
– primo caporal maggiore Massimiliano Randino, di Pagani (Salerno);
– sergente maggiore Roberto Valente, di Napoli;
– primo caporal maggiore Gian Domenico Pistonami, di Orvieto.
Disclaimer
Per un mio percorso personale già da tempo sono agnostica, anche se invidio chi, per il tramite della fede, riesce a sopportare le durezze e le ingiustizio della vita ed ho il massimo del rispetto per chi crede. Ho quindi riportato qui sopra lo scarno ricordo dei nostri caduti fatto da don Guido Goso, che leggo spesso, forse alla ricerca di un cammino che ho smarrito. Niente retorica, niente parole "tromboneggianti", solo una preghiera per chi ci ha lasciato, che può essere di conforto a chi resta. Una bandiera abbrunata, come listato a lutto è il logo del suo sito.
Di tutt’altro "stile" il blog di don (?) Giorgio De Capitani, che gronda odio da tutte le parti, (un vero esempio di carità cristiana) che definisce mercenari fascistoidi i nostri caduti (NB: gli epiteti già postati precedentemente il prete li ha cancellati, sembra su richiesta della curia, tra l’altro aveva dato della testa di c…o a La Russa), un blog dove invece che di chiesa si parla di politica, naturalmente antigovernativa, uno schifo insomma. Un prete il quale, invece della tonaca che probabilmente non porta, dovrebbe indossare la jellaba, e recarsi in Afghanistan o nelle missioni, mentre se ne sta qui tranquillo nella parrocchietta della sua città di provincia (Lecco). Qui di seguito il suo intervento che potete trovare sul sito www.dongiorgio.it Non ho altro commento da fare.
Sei militari italiani, parà della Folgore, sono morti e altri quattro sono rimasti feriti in Afghanistan in seguito a un attentato kamikaze che ha colpito un convoglio della Nato sulla strada che porta dal centro cittadino all’aeroporto della capitale, Kabul.
Tutti hanno espresso rabbia, disapprovazione, con le solite parole di rito. Ipocrite. Come si fa a non imprecare contro gli attentatori, vigliacchi, delinquenti, ecc. ecc. ? Il nostro Ministro Ignazio La Russa – a cui evito l’epiteto dell’articolo precedente che l’Avvocatura in persona della Curia m milanese mi ha costretto a cancellare, dietro velate minacce – è stato veramente efficace: “vigliacchi, infami, non ci fermeranno”. Contro chi l’onorevole (!) ha scagliato queste parole? Non lo sa nemmeno lui. “Non ci fermeranno”: ma dove vorrebbe andare il Ministro? Lo sapete voi? Io no.
Gli italiani, lo sappiamo, sono un popolo dalle lacrime facili, dalle emozioni immediate, pronti subito a parlare del milan o dell’inter. Ma si dicono cristiani, perciò dalla parte delle apparenti vittime, vittime di un sistema che le ha contagiate di una esaltazione paranoica patriottica.
Perché non riflettere seriamente?
Subito ci si lascia prendere dalla paura di essere tacciati di antipatriottismo o, ancor peggio, di quella anti-italianità che sembra la vergogna del miglior italiano.
Si ha paura a dire ciò che tanti pensano, proprio perché ci si sente addosso tutti i giudizi di un Paese che in certe occasioni, solo in certe occasioni, si sente in dovere di stare unito. Sembra che solo l’amor di Patria unisca gli italiani, non interessa se poi su tutto il resto si dividono fino a dilaniare la stessa Costituzione.
Perché, allora, non si ha il coraggio di dire che i nostri militari che si trovano nelle zone calde di una guerra non sono altro che mercenari, pagati profumatamente dal governo, cioè da noi, per svolgere un mestiere (perché parlare di “missione”, parola nobile da lasciare solo ai testimoni della carità?) che consiste nello sparare su bersagli umani, senza distinguere troppo se si tratta di bambini o di nemici armati?
Quanti bambini morti o feriti gravemente, effetti collaterali di quel brutto mestiere che si chiama guerra!
I nostri militari firmano, sanno quello a cui vanno incontro, vengono stipendiati, e perché allora idolatrarli quando ci lasciano la pelle?
Ma certo che sono persone, e che di fronte alla morte tutti meritano rispetto. Ma proprio tutti?
E chi piange i morti a causa della fame, della violenza, delle ingiustizie?
Perché onorare la morte di mercenari, quando ben pochi si ricordano dei veri testimoni della carità e della giustizia?
Chi si è ricordato e si ricorda di Teresa Sarti, moglie di Gino Strada? Una grande donna, altro che i maschioni fascistoidi della Folgore!
Perché a lei nessun riconoscimento dello Stato?
Lo Stato si è ricordato di Mike Buongiorno, e l’ha gratificato anche economicamente con un funerale di Stato, ovvero tutto a spese dei cittadini italiani.
Non parliamo della Chiesa che ha tributato al super-divorziato gli onori di un santo, con solenni esequie celebrate in quel Duomo che, se potesse parlare, urlerebbe tutta la propria rabbia. Perché due pesi e due misure?
Mercenari, sì, i nostri soldati, anche se, dicono, ormai si va verso un esercito di professionisti. In fondo, l’abbiamo voluto noi: abbiamo lottato, anche con l’obiezione di coscienza, perché si potesse rifiutare il servizio militare. Ed ecco i frutti: un esercito di gente altamente specializzata per sparare “meglio”, per colpire “meglio” l’avversario.
E, infine, non ci si arrabbia al pensiero di milioni di soldati che nelle precedenti guerre mondiali sono morti, senza ricevere una lira, senza alcun riconoscimento da parte dello Stato? Poveri cristi: obbligati, pena il delitto di diserzione, ad abbracciare una divisa e andare in guerra. Per quale scopo?
E noi siamo qui a onorare dei mercenari?
frase del giorno
Un uomo solo è sempre in cattiva compagnia
Paul Valery
estate
viva le posteeeee
Oltre un mese fa parlavo con Mario di un libro che aveva letto e che mi aveva consigliato. Poichè era una pubblicazione di parecchio tempo fa, mi ero riproposta di cercarla a Milano, in quanto qui da me l’offerta non è molto varia, e le vecchie edizioni vengono subito restituite alle varie case. Ho girato inutilmente varie librerie ed anche i remainder, sperando di trovarlo…ma nulla. Ritornata a Bolzano ed avvisato Mario che non l’avevo trovato, lui si è gentilmente offerto di spedirmelo, in quanto era un libro che probabilmente non avrebbe più riletto. Il libro è partito ancora sabato scorso 12 settembre…oggi siamo a venerdì 18…sei giorni…mah…non so se pensare che qualcuno si sia fregato il pacchetto o se le poste viaggino a passo di lumaca……
bastardi
Con la morte dei nostri militari in missione si ripete ancora una volta lo sciacallaggio mediatico urlato nell’anonimato dei blog e destinato a diventare quel vile tam tam troppe volte scandito da chi si nasconde tra la folla nelle piazze, magari dopo aver bruciato una bandiera d’Israele. È già successo, ed è facile prevedere che succederà ancora. Si è già sentito quel «Dieci, cento, mille Nassirya», coniato dopo la morte dei 19 italiani il 12 novembre 2003. Slogan che già la magistratura ha deciso essere reato, «istigazione a delinquere e oltraggio alla pietà dei defunti». Reato sì, ma senza colpevoli, anche se nel 2006 i due esponenti del Pdci Oliviero Diliberto e Marco Rizzo furono indagati per «concorso morale esterno» e s’indignarono, dicendosi ignari e incolpevoli per la «provocazione» dei disobbedienti e dei giovani dei centri sociali che il 18 febbraio del 2006 sfilavano con le bandiere rosse in difesa della Palestina.
Ma se certe farneticanti apologie di strage sopravvivono all’indignazione è anche perché da sinistra si insiste non solo nel chiedere il ritiro immediato da Kabul, ma perché si parla di «finto cordoglio da parte chi li ha mandati a morire» come la Confederazione unitaria di base, mentre c’è chi invita i politici a «giocare a Risiko anziché ingigantire la spesa militare». E ancora c’è chi, come i marxisti-leninisti, non si vergogna a definire pubblicamente gli assassini dei nostri soldati come «eroi che non sopportano di essere soggiogati dai Paesi imperialisti». E c’è anche «l’esperto» Claudio Fava di Sinistra e libertà che si pavoneggia dietro un laconico «l’avevo detto io, quella in Afghanistan è una strage di chi paga l’ambiguità e le menzogne della politica» e i redivivi Franco Turigliatto e Salvatore Cannavò, ex parlamentari di Sinistra critica, che si vantano: «Quando manifestavamo il nostro dissenso eravamo isolati e insultati dalla politica ma i fatti continuano purtroppo a darci ragione».
felice.manti@ilgiornale.it
Integrazione
Ma colpevoli non sono solo gli autori materiali dei delitti (i padri in questo caso), ma anche alcuni teorici che, manipolando le loro menti hanno, di fatto, armato le loro mani.
attentato
Senza titolo – Nazim Hikmet

Il più bello dei mari
è quello che non navigammo.
Il più bello dei nostri figli
non è ancora cresciuto.
I più belli dei nostri giorni
non li abbiamo ancora vissuti.
E quello che vorrei dirti di più bello
non te l’ho ancora detto.
(Nazim Hikmet 1942)
Politicamente corretto (a proposito di Oriana)
Da"Il Giornale" del 9 settembre 2009 (Blog Giordano Bruno Guerri)
Ieri il direttore del Corriere della Sera, Ferruccio De Bortoli, ha dato prova di grande onestà intellettuale, ricordando i giorni dopo l’11 settembre in cui convinse Oriana Fallaci a scrivere quell’articolo che – ampliato – sarebbe divenuto La Rabbia e l’Orgoglio. De Bortoli se ne compiace, a ragione, ma si rammarica di avere titolato, il giorno dopo: «L’Italia si divide nel nome di Oriana», che lui stesso definisce «Un titolo corretto, ma freddo, distaccato». Ebbe insomma, ammette, «il grande torto di seguire poi le maledette regole del politicamente corretto».
Al di là dell’episodio, colpisce che il direttore del più grande quotidiano italiano – quello tradizionalmente letto dalla buona borghesia politicamente corretta – si pronunci contro le «maledette regole del politicamente corretto».
A me capita di farlo, direttamente o indirettamente, un articolo sì e uno no, ma non sorprendo nessuno, essendomi guadagnata la fama di politicamente scorretto. (Ho addirittura raccolto e scritto, in un volume, una serie di aforismi appositi). Che lo faccia il direttore del Corriere è un’altra cosa. È il segno, forse, che i più sensibili e attenti non ne possono più. Non ne possono più di quel «politicamente corretto» che è quasi sempre l’apoteosi dell’ipocrisia, piuttosto che della correttezza, più o meno politica. Lo dimostra il fatto che ci troviamo in buona compagnia: da Schopenhauer a Voltaire, da Sartre a Wilde il pensiero occidentale abbonda di concetti «scorretti». Anzi, il «politicamente scorretto» costituisce l’ossatura del pensiero filosofico, estetico, artistico, sociale, almeno da Gesù in poi: senza l’andare controcorrente di pochi grandi, l’umanità avrebbe progredito ben poco.
L’apologia del politicamente corretto è una faccenda recente, ma non è detto che si tratti di una moda passeggera. Infatti ha radici saldissime nell’occhiuta vigilanza che ogni gruppo, ogni minoranza, esercita su ogni altro gruppo, su ogni maggioranza: per non esserne sminuito, contraddetto, offeso, sia pure involontariamente. Non mi sembra un fenomeno destinato a calare, ma l’esempio dato da De Bortoli può essere un buon inizio di un dibattito, di un ripensamento, di una lieve retromarcia, o almeno di una rinascita del senso del ridicolo.
Oggi, se vi capita di chiamare «spazzini» gli operatori ecologici sarete sospettati di disprezzare i lavori più umili e i relativi lavoratori, anche se intendete semplicemente usare la parola imparata nell’infanzia e sempre detta con innocenza. Il «politicamente corretto», inoltre, non riguarda più soltanto modi ipocriti quanto gentili di definire individui «diversi» o socialmente svantaggiati, bensì l’intero scibile umano. Per cui non basta più ironizzare, come fece Robert Hughes in La cultura del piagnisteo: «L’invalido si alza forse dalla carrozzella, o ci sta più volentieri, perché qualcuno ai tempi dell’amministrazione Carter ha deciso che lui è ufficialmente un “ipocinetico”?». Di recente, dopo un articolo in cui ho osato affermare che due bicchieri di vino non rendono ubriachi o incapaci di guidare, alcuni lettori – pochi, per la verità – mi hanno accusato di essere un irresponsabile e di voler provocare incidenti stradali. Già, perché il politicamente corretto non riguarda più soltanto le espressioni, ma le loro presunte conseguenze: per cui il «politicamente scorretto» rischia di trasformarsi, nel giudizio di molti, in un atteggiamento «socialmente pericoloso».
Il peggio che può capitare è l’accusa di razzismo, come accadde a Oriana Fallaci, quando ci si permette di giudicare altri popoli, altre culture, altre religioni: ogni valutazione negativa viene puntualmente presa per razzismo o, al minimo, per oscurantismo. Invece non c’entrano né l’uno né l’altro, se le differenze vengono spiegate con ragioni storiche e culturali, piuttosto che genetiche. Successe anche a me, prima dell’11 settembre 2001, ovvero nel marzo del 2000. Era l’epoca in cui gli albanesi (come i romeni oggi) costituivano buona parte della criminalità proveniente dall’estero.
Pubblicai un articolo, in proposito, e posso riproporlo ai lettori del Giornale perché allora scrivevo sul Tempo. Ecco l’inizio: «Insomma, è vero o no che gli albanesi sono – fra tutte le popolazioni che ospitiamo – i più violenti e portati al crimine? Dalle notizie quotidiane, come dalle statistiche delle questure, appare chiaramente di sì. Eppure non si può mai dirlo, soprattutto nei giornali, se non si vuole passare per razzisti, xenofobi e soprattutto (grave colpa in questo periodo) non-buonisti. Bisogna però non cedere al ricatto del politicamente corretto, del buonismo a tutti i costi e quindi fittizio, e cercare di capire i motivi, a costo di apparire odiosi. Ci sono precise ragioni storiche, anche lontane, all’origine del comportamento degli albanesi, motivi che si possono analizzare, interpretare, valutare e che niente hanno a che fare con il razzismo ma piuttosto con i traumi subiti da un popolo che in pochi anni è passato dal comunismo più arcaico al capitalismo più incolto. Ciò non significa che gli albanesi siano geneticamente inferiori: è un dato di fatto però, che per secoli sono vissuti schiacciati fra l’impero austriaco e quello ottomano, usati come carne da cannone, come forza-lavoro, come preda, nascosti su montagne selvagge, isolati fisicamente e anche culturalmente a causa di una lingua difficile e misteriosa. Quello albanese dunque è un popolo che non ha mai amato e potuto mischiarsi con nessuno: debole per numero, passato e miseria. ».
Le accuse di razzismo che ricevetti furono, nel mio piccolo, pari a quelle che avrebbe ricevuto Oriana Fallaci per i suoi scritti sull’Islam. Lei non se ne pentì. Io neppure. Anche perché nessuno mi ha ancora dimostrato che, in quell’articolo, esponevo concetti sbagliati.
in ricordo di Oriana
Ora De Bortoli ammette: «Non l’ho difesa abbastanza». Eufemismo. Fu grande a pubblicarla, con l’aria che tirava allora. Ma poi la lasciò sbranare da qualunque grande o piccola forma passasse da quelle parti. Sui giornali d’Italia si scatenò la guerra ad addentarle il polpaccio da dietro. Anche da destra, ovvio, siamo i più bravi a farci del male. Così Massimo Fini e Pietrangelo Buttafuoco. Ma a sinistra fu un coro assatanato. Si giunse persino a scrivere sulla prima pagina di Repubblica, il giorno in cui papa Ratzinger, nell’agosto del 2005, la ricevette, che era giusto così perché i Papa «non ricevono persone perbene». La penna era quella di Pietro Citati, con quell’aria snob, da letterato che usa la sciarpetta di seta per non respirare l’odore delle Torri Gemelle bruciate. Il colmo accadde nel giugno del 2004, quando Oriana osò scrivere al direttore della Gazzetta dello Sport una breve lettera per difendere il gesto di Totti che aveva sputato in faccia al danese Poulsen durante gli europei di Lisbona. Ci fu una sollevazione dei redattori unanimi contro Pietro Calabrese che dovette giustificarsi di aver lasciato parlare Oriana la maledetta. Non da noi, non da noi. Per noi benedetta. Benedettissima. Vera speranza di umanità audace, di giudizio pieno di rabbia ma anche di amore e di ragione, mentre si disfaceva la fibra interiore di tanti, si liquefaceva la nostra cifra interiore di umanità e di dignità dinanzi all’assalto di chi voleva la nostra sottomissione alla barbarie.
Che giorno fu quel giorno di settembre del 2001. Venne giù un muro. Un muro più duro di quello in fondo di carta velina delle Torri Gemelle, distrutte da Bin Laden. Venne giù il muro della nostra ipocrisia. Il Corriere della sera aveva pubblicato La Rabbia e l’Orgoglio di Oriana Fallaci. Vittorio Feltri mi telefonò di prima mattina. «Hai letto?». Avevo letto. «Qui viene giù tutto, cambia tutto». Ci mettemmo a lavorare. A me toccò la sintesi, capitolo per capitolo, di quel grido tremendo e insieme melodioso. Impossibile riassumere. Individuai due parole buone, dolcissime: campane, amore. Il resto era acciaio. Il tutto, questa opera di Oriana, fu la prima risposta formidabile, l’unica vincente finora a 2009 al tramonto, contro i kamikaze, contro Bin Laden, questo è sicuro. Ma anche contro la pancia molle dell’Occidente pantofolaio e adoratore del suo ombelico dialogante, pronto a dire meglio-musulmani-che-morti, senza sapere che mentre diceva così era già morto, cadavere. Se uno non è disposto a morire per qualcosa che gli è caro, vuol dire che non merita di durare un attimo di più. Per questo Oriana alla fine rese, dichiarandoli nemici giurati, onore agli islamici combattenti. Avevano qualcosa per cui morire.
Andò così fino alla sua morte. Carlo Azeglio Ciampi osò giocare con il suo cognome, come un goliarda vituperoso, pur sapendo che era divorata dal cancro. La compagnia di martiri professionisti del giro di Santoro, cioè la Sabina Guzzanti, la imitò con l’elmetto in testa, con odioso umorismo sul suo tumore. Una raccolta di firme promossa da Feltri perché fosse risarcita con il seggio di senatore a vita ebbe un clamoroso successo e un indecoroso silenzio in risposta.
Dopo la morte, una differenza. Si è cominciato subito a esaltarne la prosa, l’audacia di giornalista, il femminismo ante litteram. Tutto pur di non entrare nei contenuti. Non lo fa nessuno. Non si dice che alla fine combatté – chiamandosi al fianco di Papa Ratzinger – contro due totalitarismi: quello islamico e quello del relativismo nichilista dell’Occidente, per lei posti sullo stesso piano, uno funzionale all’altro. Be’, oggi lo facciamo noi. Oriana hai visto giusto. La tua memoria è una stella.
Cosa ne pensate?