cucina….



Iran
Bella e brava….
Michael Jackson
palloncini…..una storia commovente
i l Giornale
SENZA LIETO FINE
La triste favola di Colby
volata in cielo
su un cartone animato
Bambina malata senza speranza aveva come ultimo desiderio
vedere il suo film preferito. Ci è riuscita e se n’è andata subito dopo
Cristiano Gatti
Io non so quanto sarà bella la storia di «Up»,l’annuale appuntamento con la premiata ditta dei sogni Walt Disney-Pixar. Sarà certamente divertente, moraleggiante e comunque educativa, molto più del ciarpame made in Japan, a base di spade rotanti e mostri deformabili, che qualche responsabilità nefasta indubbiamente ha sul gusto, sull’estetica e anche sul carattere delle nostre generazioni più piccole.
Non so quanto sarà bella la storia di «Up», ma so che sulla storia di «Up» ne è già nata una bellissima, la più bella di tutte, così bella che soltanto la vita reale può averla ispirata. È la storia di Colby, la piccola Colby Curtin, una bambina californiana di dieci anni, che adesso sta già riposando
nell’angolo degli innocenti, l’angolo migliore del Paradiso. Colby se n’è andata serena e soddisfatta, nonostante da cinque anni soffrisse le sevizie di un cancro molto aggressivo. Prima di spegnersi, primadi raggiungere il parco giochi dell’Aldilà, Colby è riuscita a realizzare il suo ultimo
sogno: vedere «Up», il film che la Pixar lancerà prossimamente nelle sale. Per quanto prossimo,questo prossimamente non avrebbe mai combaciato con i tempi diversi di Colby. A dieci anni si ha davanti tutta una vita: la sua era ridotta a poca cosa.
Qualche giorno, qualche manciata di ore. Un tempo finito.
E forse la storia può cominciare proprio da qui.
È in primavera, un paio di mesi fa, che Colby vede in tv i provini di «Up». Sta già malissimo, ma da quella volta la sua curiosità corre forte come un tormento.
Alla mamma Lisa,che sa benissimo di averla con sé ancora per poco, la piccola confida tutti i giorni il suo candido cruccio:
«Non riuscirò a vederlo, vero mamma?».
Che cosa può rispondere, una madre, a una domanda tanto ingiusta?
Non dire così, piccola mia. Tu lo vedrai. Cascasse il mondo, tu vedrai «Up» come tutti i bambini del mondo. Te lo dice la tua mamma. Senti quello che ti dico: lo vedrai prima di tutti gli altri. Sicurissimo, Colby Curtin sarà la prima signorina a vedere «Up». Ti fidi della tua mamma?
Ci sono promesse che ogni genitore considera più importanti di qualunque giuramento solenne.
Sono impegni scritti con caratteri d’oro, sulla pergamena del cuore. La signora Lisa sa che l’impresa è impossibile, ma per la sua creatura è pronta a disintegrare l’impossibile. Diamine, la
mia Colby vedrà «Up». Altro che, se lo vedrà. Purtroppo, il tempo che le rimane è molto poco. Un tempo finito.
Gli amici, prima di tutto. Li consulta e li scatena ad uno ad uno, finché non trova la strada percorribile.
Un conoscente che lavora alla «Pixar» le consiglia di inviare la sua storia e la sua richiesta direttamente alla casa produttrice.
La lettera parte. Ma per alcuni giorni non c’è risposta. Dannazione, perché non rispondete, la mia Colby non può aspettare, fatemi almeno un cenno.
La signora Lisa si attacca al telefono. Tempesta di chiamate le impiegate. Lascia disperati messaggi in segreteria telefonica.
È il copione delle più commoventi pellicole disneyane: tutto sembra precipitare, la speranza ormai è agli sgoccioli, come quando Biancaneve giace dopo aver mangiato la mela, come quando Pinocchio finisce dentro la balena, come quando il piccolo Simba, candidato Re Leone, cade
nei raggiri del fetentissimo zio Skar. Ma proprio Walt Disney, che alla vita s’ispira, insegna come nel momento più buio possa sempre accendersi una luce, se la forza del coraggio non si spegne (nel ciarpame deforme del cartoon made in Japan, basta invece estrarre dalla pancia un mitra-laser e sterminare tutti quanti).
La nobile causa della signora Lisa, alla fine, trionfa. La sua richiesta arriva sulla scrivania di un funzionario «Pixar». A dimostrazione che la premiata ditta non solo vende i sentimenti a buon mercato, ma sa perfino provarli, in azienda scatta l’operazione Colby. «Up» è ancora in
lavorazione, ma qualcosa bisogna inventare. Cascasse il mondo, Colby vedrà «Up». Ragazzi, diamoci da fare: quella ragazzina sta aspettando e non ha più tempo da perdere. Purtroppo è così: Colby vive le ultime ore. La sera, mamma Lisa quasi la implora: piccola, resisti, devi aspettare fino a domani. La mattina dopo,quando un trafelato fattorino suona il campanello, Colby è allo stremo. Ma «Up» è lì, dentro la busta, nel DVD sfornato in via eccezionalissima solo per lei. La mamma infila il dischetto nel lettore e finalmente la sua sfida impossibile è vinta: Colby può gustarsi, con le poche forze rimaste, la storia di quest’anno, l’ultimo prodotto della fantasia educativa ed edificante di Walt Disney-Pixar, quell’ometto che resta vedovo dell’amatamoglie, ma che sollevando la casa con migliaia di palloncini colorati riesce finalmente a realizzare il
viaggio sognato assieme a lei, verso il Sud America…Colby nonriesce a vedere proprio tutto. Anche la sua vista è intaccata dal male. Intravede.
Ma la mamma lì vicina le spiega le singole scene e l’aiuta nella comprensione. Al loro fianco, impietrito sul divano il fattorino della «Pixar» piange come non ha èianto mai nemmeno ai tempi di «Bambi».Quando arrivano i titoli di coda, mamma Lisa accarezza la sua piccola e le chiede
intenerita: «Ti è piaciuto, il tuo Up?». Colby non ha più voce. Ma fa cenno col capo che sì, «Up» le è piaciuto, valeva proprio la pena aspettare.
Sarà l’ultimo segno vitale di Colby, l’ultimo che lamamma ricorderà per sempre, custodendolo come una gemma in mezzo a tanto dolore. Poche ore dopo, prima che sia sera, Colby si spegne dolcemente, portandosi via il suo sogno realizzato. «Non conoscevo la storia diUp– racconta
la mamma a mezza voce -, ma adesso mi piace pensare che anche Colby sia volata in cielo allo stesso modo, sollevata da migliaia di palloncini colorati».
La storia vera finisce qui. Per l’anno prossimo, la «Pixar» potrebbe già avere il film pronto.
Una traccia di titolo: Colby, la bambina che si è spenta nel sogno.
elezioni
c’è arte ed arte
apparenza – 2
Petru Birladeandu
Gheddafi
razzismo e xenofobia
Lo scrivo ora, ad elezioni concluse….
Puntualmente, specialmente quando si avvicinano le elezioni, i cosiddetti “democratici” (?) di sinistra riprendono a lanciare le accuse di razzismo nei confronti dei partiti di destra, in particolar modo della Lega Nord.
E’ gente che da una parte blatera di libertà, mentre non si perita di condannare i regimi illiberali di stampo comunista, quali quelli di Cina, Corea del Nord e Cuba, che anzi vengono costantemente osannati, o di difendere a spada tratta i palestinesi terroristi contro gli ebrei israeliani.
Secondo la definizione comune, razzista è colui che discrimina qualcun altro ritenendolo inferiore a lui per il solo fatto di avere una caratteristica differente dalla sua (colore della pelle, etnia, religione, sesso, orientamento sessuale).Xenofobia invece è la paura del diverso da noi e denuncia il PERICOLO che comporta la mancanza di volontà di integrazione da parte di gente che è estranea alla nostra cultura sia politica che religiosa. E’ un fatto noto che moltissimi extracomunitari, per lo più di religione islamica, non vogliono assolutamente adeguarsi alle nostre usanze, ma pretendono invece con prepotenza di imporre i loro modi di vita, pur se contrastanti con i nostri. Si viene così a creare un “RAZZISMO DI MINORANZA”, ossia il comportamento RAZZISTA di chi, denunciando il razzismo della parte più forte, vuole imporre ad essa le proprie regole sociali, pretendendo che vengano rispettate, ma in cambio non tollera e non rispetta le nostre usanze e convenzioni. Da qui le richieste di abolizione dei crocefissi nei luoghi pubblici ed altre "amenità" varie. (un sacerdote è arrivato perfino a chiedere di non fare il segno della croce per non offendere gli islamici…no comment).
I sostenitori dell’integrazione a tutti i costi sono socialmente molto pericolosi in quanto, volendo far convivere a tutti i costi dei gruppi di persone oggettivamente incompatibili tra di loro e non rendendosi conto che la loro è una posizione del tutto utopistica, fomentano all’opposto un razzismo “di ritorno”, innescando una vera e propria bomba ad orologeria, derivante da una convivenza “imposta” e non cercata.
Infine, i veri razzisti sono loro perché, con offese gratuite, si dimostrano molto intolleranti nei confronti di chi non professa le loro idee, e non trovano altro modo di difendersi se non quello di ingiuriare e demonizzare l’avversario.
Cosa ne pensate?